La proposta di riforma della governance economica della Commissione darebbe a questa il controllo sulla gestione dei debiti eccessivi, non garantendo la titolarità nazionale delle politiche economiche e sollevando questioni di legittimità democratica.

Le indicazioni della Commissione europea

Gli orientamenti della Commissione europea per la riforma del quadro della governance economica rendono esplicita la dimensione intertemporale delle politiche di gestione dei debiti eccessivi accumulati dai paesi dell’Eurozona nell’ultimo decennio e aprono la porta a un approccio “caso per caso” che consente un’adeguata differenziazione tra gli stati membri in base alla gravità dei loro squilibri finanziari. Tuttavia, il metodo di coordinamento delle politiche, sviluppato nell’ambito dei programmi di ripresa e resilienza di nuova generazione (Prr), porta l’identificazione delle riforme e degli investimenti nazionali e il percorso operativo della spesa pubblica sotto il controllo legale della Commissione europea, sollevando questioni fondamentali di legittimità democratica nella determinazione delle politiche di bilancio nazionali.

Comunque, se la Commissione accettasse alcuni cambiamenti (certamente importanti) nel suo approccio, potrebbe mantenere i principali aspetti innovativi della sua proposta. La chiave del successo nei prossimi negoziati in seno al Consiglio è il decentramento dei programmi nazionali di riduzione del debito.

Il decentramento dei programmi nazionali di riduzione del debito

Un progetto per il decentramento dei programmi di riduzione del debito nel Patto di stabilità e crescita è stato presentato da vari autori e dai membri dell’European Fiscal Board, ma la Commissione ha scelto di non tenerne conto. Ripropongo qui, in una mia sintesi. gli elementi chiave di quelle proposte:

a. La preparazione dei piani nazionali di riduzione del debito sarebbe completamente delegata al livello nazionale. Come suggerito dai membri dell’European Fiscal Board, fintanto che i risultati a medio termine rimangono compatibili con i parametri di riferimento fissati dalle regole di bilancio dell’Ue, i quadri nazionali pluriennali potrebbero essere basati su obiettivi nominali per la spesa pubblica, il saldo strutturale o la piena discrezionalità nella definizione delle traiettorie del debito; potrebbe essere mantenuta anche l’opzione dell’applicazione diretta delle regole di riferimento dell’Ue.

b. L’evoluzione dei rapporti debito-Pil e di altri parametri di riferimento nazionali verrebbe valutata, come proposto dagli orientamenti della Commissione, su un lungo intervallo di tempo (4-5 anni), lasciando così margini adeguati di stabilizzazione fiscale anticiclica. Tuttavia, se gli sviluppi di misure nazionali dovessero minacciare la stabilità finanziaria dell’Eurozona, le politiche di bilancio del paese verrebbero immediatamente riportate nell’ambito delle procedure di sorveglianza della Commissione.

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c. Il ruolo centrale nella sorveglianza delle politiche di bilancio nazionali, in particolare degli obiettivi operativi di spesa pubblica, dovrebbe essere assegnati agli istituti finanziari indipendenti di sorveglianza sulle politiche nazionali di bilancio. Di conseguenza, questi istituti dovrebbero soddisfare requisiti rafforzati di indipendenza e disporre di mezzi finanziari adeguati e di poteri effettivi di intervento nei confronti delle autorità nazionali, tali da garantire la necessaria riduzione dei rapporti debito-Pil.

d. Un Consiglio di bilancio europeo rafforzato potrebbe operare come centro di una rete degli istituti finanziari indipendenti, contribuendo a svilupparne gli strumenti per la pianificazione del debito e della spesa nel tempo, compresi, ma non solo, i modelli stocastici di sostenibilità del debito.

Secondo questo approccio, la Commissione manterrebbe poteri indipendenti per monitorare gli sviluppi fiscali nazionali, concentrandosi sugli “errori grossolani” nell’attuazione dei piani fiscali nazionali per la riduzione del debito. Tutti i piani di riduzione del debito presentati dagli stati membri al Consiglio sarebbero accompagnati dalla valutazione della Commissione. Le divergenze tra la Commissione e i governi nazionali sarebbero gestite dal Consiglio.

Il ruolo della Commissione nel Psc rivisto

Anche se limitato ai soli paesi con debito eccessivo (sopra il 90 per cento del Pil) – secondo gli orientamenti sarebbero sette paesi, che rappresentano circa il 53 per cento del Pil dell’Eurozona – il consolidamento del debito avrebbe un impatto deflazionistico sostenuto in tutta la zona euro. Per questo è necessario accompagnare i programmi di riduzione dei debiti eccessivi con l’istituzione di una capacità fiscale centrale, o almeno un’esplicita politica comune per la gestione della domanda aggregata e la produzione di beni pubblici europei (come proposto da Marco Buti e Marcello Messori).

Solleva poi perplessità la decisione di mantenere invariato al 60 per cento il rapporto debito-Pil di riferimento del Protocollo 12 del Tfue in un’Unione monetaria in cui il rapporto medio è nel frattempo salito a circa il 90 per cento. A questo proposito, pur riconoscendo le difficoltà politiche, è utile ricordare che, secondo alcuni giuristi, ai sensi dell’articolo 126, paragrafo 14, del Tfue, il Protocollo 12 potrebbe essere modificato dal Consiglio (decidendo all’unanimità) senza la necessità di convocare una conferenza intergovernativa.

In ogni caso, anche se lo scopo preciso dell’obiettivo del 60 per cento del rapporto debito-Pil nel nuovo quadro fiscale è tutt’altro che chiaro, la sua esistenza apre la possibilità che a un certo punto il disaccordo tra gli stati membri in seno al Consiglio e al consiglio direttivo della Banca centrale europea sul percorso di aggiustamento appropriato per un determinato paese possa generare una nuova fuga degli investitori (su questo punto, si veda Jacopo Carmassi e Stefano Micossi per l’esperienza della crisi dell’Eurozona).

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Liberare la Bce da interventi di natura fiscale

Un serio difetto nella governance economica europea – che la Commissione ha deciso di non modificare – è legato ai massicci acquisti di titoli del decennio scorso e, più recentemente, alla decisione della Bce di utilizzare i rimborsi sui titoli in scadenza per contrastare gli aumenti degli spread generati dalla riemergente frammentazione dei mercati finanziari nella fase di restrizione monetaria in corso, in particolare (ma non solo) con il Transmission Protection Instrument.

In pratica, è stato stabilito che tali interventi sarebbero accettabili per il Consiglio direttivo solo nella misura in cui uno shock finanziario esogeno possa essere considerato del tutto indipendente dai fondamentali economici, condizione ovviamente difficile da verificare. Inoltre, la decisione sul Tpi contempla esplicitamente la possibilità che “gli acquisti possano essere interrotti (…) sulla base della valutazione che le tensioni persistenti siano dovute ai fondamentali del paese”.

La notizia di una decisione del consiglio direttivo di non intervenire, pur in condizioni di stress sui mercati, costituirebbe un invito agli investitori a cercare l’uscita il più in fretta possibile. A mio avviso, il mandato della Bce non è (e non dovrebbe essere) esteso a garantire il rispetto delle politiche fiscali comuni, ma purtroppo il Tpi ha formalizzato questa possibilità. Su queste scelte, è opportuno che la Bce si ravveda, ritornando ai suoi compiti originari di tutela della stabilità dei prezzi.

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