Sul contrasto dell’evasione, la legge delega sembra suggerire l’intenzione di agire in sostanziale continuità con le politiche degli ultimi anni, nonostante dichiarazioni del governo di segno opposto. Anche sul concordato preventivo non tutto è chiaro.

Gli elementi di continuità

Il disegno di legge delega per la riforma del fisco si occupa dell’azione amministrativa di contrasto dell’ evasione dettando alcuni principi generali nell’articolo 2 e delineando alcune linee di intervento più specifiche nell’articolo 15. Nel suo insieme, il testo sembra suggerire che il governo abbia intenzione di operare in sostanziale continuità con le politiche adottate negli ultimi anni, contrariamente a quanto pubblicamente annunciato. Anche il disegno del concordato preventivo presenta alcune caratteristiche contraddittorie.

I principi dell’articolo 2 indicano l’intenzione di arrivare a consentire il “pieno” utilizzo dei dati, in particolare quelli della fatturazione elettronica e dei corrispettivi, e la “piena” interoperabilità delle banche dati, con il potenziamento dell’analisi del rischio, che sarebbe, finalmente, collocata all’interno di una cornice normativa definita. Concretamente, l’attuazione di questi principi potrebbe portare all’adozione di provvedimenti normativi, previsti dall’articolo 15 comma 1 lettera c), che generalizzano a tutte le banche dati le procedure di analisi del rischio oggi previste, dopo un faticosissimo iter applicativo durato oltre due anni, solo per l’anagrafe dei conti correnti e dei rapporti finanziari. L’analisi sarebbe poi funzionale a circoscrivere l’attività di controllo nei confronti dei soggetti a più alto rischio e a prevenire l’evasione e l’elusione (articolo 15, comma 1 lettera e). L’intenzione di ampliare il ricorso al regime di cooperative compliance (articolo 15, comma 1 lettera f) è a sua volta coerente con la logica della prevenzione attraverso l’incentivo all’adempimento spontaneo anche se, per dare un giudizio compiuto sulla questione, sarebbe opportuno disporre di analisi più specifiche degli impatti che la cooperative compliance ha avuto sulle grandi imprese che hanno aderito al regime. Si dovrebbe anche tenere conto del mutato contesto, in cui le iniziative dell’Ocse e dell’Unione europea potrebbero ulteriormente contribuire a ridurre gli spazi di pianificazione fiscale aggressiva.

Nel loro insieme, comunque, queste parti della delega appaiono direttamente ispirate dal disegno di legge approvato dal governo Draghi e si collocano in continuità con le linee seguite negli ultimi anni. È una scelta ragionevole considerando sia i risultati che sono stati ottenuti, con la riduzione del tax gap complessivo di quasi 4 punti percentuali tra il 2014 e il 2019, sia gli obiettivi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che prevedono un’ulteriore diminuzione del tax gap di poco meno di 3 punti percentuali entro il 2024.

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La discontinuità annunciata e il concordato preventivo biennale

Tuttavia, diverse dichiarazioni pubbliche da parte sia della presidente del Consiglio sia del viceministro Leo sembrano suggerire una volontà di discontinuità rispetto alle politiche di contrasto dell’evasione che “numeri alla mano” (non è chiaro quali) sarebbero state fallimentari.

Come e dove si dovrebbe estrinsecare la discontinuità rispetto ai governi precedenti?

La risposta potrebbe trovarsi al secondo comma dell’articolo 15, dove si prevede l’introduzione del concordato preventivo biennale per i titolari di reddito da lavoro autonomo e di impresa di minore dimensione. Con questo istituto, si ipotizza che il contribuente si impegni, previo contraddittorio con modalità semplificate, ad accettare e a rispettare la proposta per la definizione biennale della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap formulata dall’Agenzia delle entrate. Dall’altro lato, sono irrilevanti ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap, nonché dei contributi previdenziali obbligatori, gli eventuali maggiori o minori redditi imponibili rispetto a quelli oggetto del concordato, fermi restando gli obblighi contabili e dichiarativi.

Non si tratta di un istituto nuovo nel nostro ordinamento. Fu originariamente previsto nel disegno di legge delega del 2001, e se ne tentò l’introduzione con l’articolo 6 della legge 289/2002, poi inattuato. L’unica ipotesi di concreta attuazione è stata quella del concordato preventivo sperimentale previsto per il biennio 2003-2004 dall’articolo 33 del decreto legge 69/2003 e adottato da pochi contribuenti, presumibilmente perché non sufficientemente “attraente”.

Per capire cosa potrebbe cambiare con il “nuovo” concordato preventivo il punto fondamentale è: sulla base di quali elementi l’Agenzia delle entrate formulerà la proposta di definizione biennale della base imponibile? Il testo suggerisce che ciò avverrà, “anche utilizzando le banche dati e le nuove tecnologie a sua disposizione”. Alcune dichiarazioni del viceministro Leo indicano che potrebbero essere utilizzati gli Isa (indicatori sintetici di affidabilità fiscale), introdotti dal 2018 in sostituzione degli studi di settore. Gli Isa generano un voto da 1 a 10 sull’affidabilità fiscale del contribuente, che deriva dalla conformità della sua dichiarazione rispetto ad alcuni valori presunti dei ricavi, del valore aggiunto e del reddito, e già prevedono un regime premiale. La definizione biennale della base imponibile pari a quella presunta potrebbe rinforzarlo. Si tratterebbe, ancora una volta, di una scelta in sostanziale continuità con le politiche perseguite negli ultimi anni, che, nel caso degli Isa, sembrano avere avuto un impatto positivo sulla compliance. Ma anche in questo caso rimangono dubbi sostanziali perché l’articolo 14, comma 1, lettera a) prevede, invece, il graduale superamento degli Isa. Come possono gli Isa essere utilizzati per formulare la proposta di concordato preventivo se ne viene previsto il graduale superamento? E se i dati che alimentano gli Isa non fossero più disponibili, sulla base di quali elementi l’Agenzia potrebbe formulare una credibile proposta di definizione della base imponibile che non sia semplicemente una variazione percentuale di quanto dichiarato in passato dal contribuente? Quest’ultima ipotesi sarebbe sì un elemento di discontinuità, ma nel senso che si tornerebbe indietro all’epoca in cui il contraddittorio tra Agenzia e contribuente consisteva in una mera trattativa priva di qualsiasi fondamento e trasparenza, alimentando, in questo modo, i sospetti sul corretto esercizio dei pubblici poteri.

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