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Giovani italiani “condannati” all’esclusione sociale *

Dinamiche demografiche, precarietà lavorativa e limitata mobilità sociale rendono difficile l’inserimento dei giovani italiani nella società. Ma investire nelle nuove generazioni contribuisce a una crescita del paese più inclusiva e sostenibile.

La vulnerabilità dei giovani

Negli ultimi decenni, dinamiche demografiche, precarietà lavorativa e limitata mobilità sociale hanno compromesso le opportunità di un’ampia parte dei giovani italiani. Secondo i dati dell’ultimo rapporto Istat, nel 2022, il 47,1 per cento dei giovani tra i 18 e i 34 anni si trovava in condizioni di deprivazione, ossia non raggiungeva soglie minime di accesso a servizi/beni cruciali per il benessere, articolati in cinque diverse dimensioni: Istruzione e Lavoro, Coesione sociale, Salute, Benessere soggettivo e Territorio. 

La maggiore incidenza dei fenomeni si riscontra nell’Istruzione e Lavoro, nella Coesione sociale e nel Territorio, dove la quota di giovani in condizioni di deprivazione si attesta rispettivamente al 20,3 per cento, 18,2 per cento e 14 per cento. Il livello di benessere nella dimensione Istruzione e Lavoro è legato all’iscrizione alla scuola, al possesso del diploma superiore e alla partecipazione ad attività culturali. La dimensione Coesione sociale è influenzata dai legami interpersonali e dalla partecipazione politica, mentre la dimensione Territorio dipende dal rapporto con l’ambiente ma anche dalla difficoltà a raggiungere i servizi (vedi la tabella a pagina 45 del rapporto Istat). 

Nella figura 1 si può notare come la pandemia abbia intensificato l’incidenza di fenomeni di deprivazione, soprattutto nell’ambito Istruzione e Lavoro. Nel complesso, la fascia più colpita è quella tra i 25 e 34 anni. 

Figura 1 – Giovani di 18-24 anni (sinistra) e 25-34 (destra) in condizione di deprivazione per dimensione di esclusione (istruzione e lavoro, coesione sociale, territorio, salute, benessere soggettivo). Anni 2019-2022 (valori per 100 giovani)

La situazione dei giovani lontani dalla scuola e dal lavoro

La presenza significativa in Italia di giovani Neet (Not in employment, education or training) è strettamente collegata alla loro vulnerabilità nella dimensione Istruzione e Lavoro. Nel 2022, si trovavano in questa condizione quasi 1,7 milioni di persone tra i 15 e i 29 anni, con un tasso di oltre 7 punti percentuali superiore alla media europea, che è dell’11,7 per cento (figura 2). Le cause sono riconducibili alla debolezza dell’offerta formativa, alla carenza di politiche attive sul lavoro e alla staticità del mercato del lavoro italiano (rapporto Istat 2023).

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Figura 2 – I giovani Neet tra i 15 e i 29 anni per genere nei paesi Ue-27. Anno 2022 (percentuali sul totale)

Fonte: Eurostat, Labour Force Survey e rapporto annuale Istat 2023

La percentuale di Neet si sta riducendo, ma permangono forti differenze regionali. La figura 3 evidenzia come le aree del Meridione siano in posizione ancora più svantaggiata rispetto alla media europea, con la Sicilia che ha il tasso di Neet più elevato in Europa.

Figura 3 – I giovani 15-29 Neet nell’Ue-27 e in Italia, per genere (sinistra) e per regione (destra). Anni 2004-2022 e 2022 per le regioni (percentuali sul totale)

Quali sono le ragioni principali di esclusione per i giovani?

Nascere da famiglie povere è il primo ostacolo per i giovani. Secondo il rapporto Istat, in Italia la trasmissione intergenerazionale delle condizioni di vita sfavorevoli è particolarmente forte. La figura 4 illustra come quasi un terzo degli adulti (25-49 anni) a rischio di povertà vivevano all’età di 14 anni in una famiglia in condizioni finanziarie precarie, il dato più alto tra i paesi europei. In particolare, l’intensità del legame intergenerazionale tra le condizioni economiche dei genitori e dei figli aumenta nel nostro paese più che altrove in Europa, come illustra la figura 4.

Figura 4 – Adulti 25-49 anni a rischio di povertà che all’età di 14 anni vivevano in famiglie in cattive condizioni finanziarie nelle maggiori economie dell’Ue-27. Anni 2011 e 2019 (valori percentuali e variazioni in punti percentuali

In Italia, 1,4 milioni di minori crescono in contesti di povertà assoluta. Dato il legame intergenerazionale nella povertà, l’interconnessione tra le condizioni di vita dei giovani e degli adulti rappresenta una problematica che trascende l’individuo, assumendo un carattere collettivo.

Vivere in condizioni di povertà da piccoli ha effetti fortemente negativi in termini di sviluppo del capitale umano: uno studio dell’Ocse ha evidenziato che già a 5 anni, provenire da contesti familiari con uno status socio-economico più elevato si traduce in un vantaggio di 12 mesi nei livelli di alfabetizzazione, ovvero nelle capacità di lettura e scrittura che un bambino acquisisce nell’età pre-scolare (tra i 2 e i 5 anni).

Un secondo ostacolo per i giovani italiani proviene dalla minor spesa pubblica loro destinata rispetto agli altri paesi europei, sia in termini di Pil sia sulla spesa totale (rapporto Istat 2023). Come mostra il grafico nella figura 5a, non solo la spesa pubblica per istruzione in Italia è inferiore, ma a partire dagli anni Duemila è diminuita, così come è accaduto in Francia.

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Figura 5a – Spesa delle amministrazioni pubbliche per la funzione istruzione nelle maggiori economie dell’Ue (2001, 2011 e 2021).

Figura 5b – Spesa per le prestazioni di protezione sociale totale e nella funzione famiglia e minori nelle maggiori economie dell’Ue (2020)

In termini di destinazione della spesa pubblica totale, la figura 5b mostra che l’Italia dedica alle famiglie e ai minori una quota molto più bassa rispetto ad altri paesi europei (1,2 per cento rispetto al 2,5 per cento della media europea), nonostante una spesa sociale percentualmente maggiore (33,2 per cento rispetto al 30,3 per cento). Inoltre, rispetto agli altri paesi Ocse, la spesa italiana per le politiche attive del lavoro è destinata proporzionalmente più ai sussidi che ai servizi di formazione, ostacolando lo sviluppo delle competenze necessarie ai giovani nel mercato del lavoro.

Questi fattori contribuiscono a creare un ambiente in cui i giovani trovano estrema difficoltà a essere inclusi nella società, specialmente se provengono dalle famiglie più povere. Investire nelle nuove generazioni, fornendo loro le opportunità e le risorse necessarie per superare le barriere socioeconomiche, non solo favorirà il loro benessere individuale, ma contribuirà anche a una crescita economica e sociale più inclusiva e sostenibile per l’intera società italiana.

* L’autore è attualmente consigliere municipale presso il Municipio 2 di Milano.

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Vale la pena ospitare un’Esposizione universale?

  1. Savino

    Ci sono adulti 60enni e oltre che, in modo arrogante, pensano di fare la stessa vita con lo stesso benessere( e gli stessi posti di lavoro) che fanno oggi per i prossimi 30 anni. Negli uffici pubblici assistiamo all’assunzione, con consulenza, per i pensionati. Sono proprio curioso di vedere dove questa arroganza, fino alla negazione di ciò che è biologico, cioè l’avanzamento dell’età, possa arrivare. Tutti i sacrifici dei giovani provenienti da ceto sociale medio o basso sono vani. Gli unici giovani considerati sono i rampolli o quelli che si chiamano Apache. Loro, certo, non saranno in grado di salvare la nostra economia come possa essere in grado il figlio di una persona normale.

    • nn

      L’ unico modo per ripristinare l’ascensore sociale, mediante la cultura, occorre ritornare ai vecchi ordinamenti, con gli antichi rigorosi metodi di selezione scolastica.

  2. Riccardo

    Credo che dovremmo cambiare tutti i nostri politici e i nostri amministratori , magari prendendoli in prestito dall’estero, in modo che non abbiano interessi personali anche solo ad essere rieletti. Solo così potremmo sperare che agiscano nell’interesse generale, anche se è ugualmente difficile.

  3. Tommaso

    Questo NON E’ UN PAESE PER GIOVANI………CHE NO SIANO GIA’ FIGLI DI PAPA’!!!!(e lo si era già capito)

  4. Giovanni Rossi

    Tutto condivisibile ciò che è stato scritto e documentato, il tema è che una notevole fetta della classe dirigente ( ehm si fa’ per dire ) una discreta fetta di #prenditori e la maggioranza della politica italiana, non sono realmente interessati ai giovani e questo crollo demografico che la stragrande maggioranza degli italiani non ha ancora percepito sortirà effetti devastanti sulla situazione economica delle famiglie aumentando ancora di più il divario tra ricchi e poveri

  5. Roberto

    Per i giovani italiani scappare è l’unica soluzione possibile per evitare di essere spennati come polli

  6. L’Art. 4 della Costituzione prevede politiche per la piena occupazione e rimane inattuato per giovani, donne e meno giovani. L’Italia continua ad avere livelli altissimi di inattività. Più che difendere i posti di lavoro esistenti occorrerebbe difendere i cittadini/ lavoratori potenziali con formazione, orientamento, ecc…Processi che il programma europeo Garanzia Giovani ha avviato con successo in regioni come Veneto e Lazio dove c’è stato un impegno delle istituzioni ma che ha ricevuto le bordate (superficiali) dei soliti “benaltrisri”,

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