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Boom degli occupati, ma non è tutto oro quel che luccica

Nel 2023, l’occupazione in Italia ha registrato un picco storico, con 23,6 milioni di persone impiegate a giugno. Ma il nostro mercato del lavoro resta ancora afflitto da una serie di carenze. Basta la riforma del Reddito di cittadinanza a risolverle?

I numeri dietro al “boom” occupazionale  

Nel 2023 l’occupazione in Italia ha vissuto un picco storico, con il numero di persone occupate che ha sfiorato i 23,6 milioni a giugno. Dopo la flessione registrata in seguito alla pandemia, che aveva visto il tasso di occupazione scendere al 56,5 per cento, quest’anno la percentuale di occupati è arrivata al 61,5 per cento. Rispetto al 2019, alla fine del secondo trimestre del 2023 in Italia ci sono stati quasi 500 mila lavoratori in più. L’aumento degli occupati è stato abbastanza omogeneo sia in termini geografici che di genere. A livello territoriale, i dati Istat mostrano come il maggior numero di nuovi occupati sia al Nord. Tuttavia, in termini relativi, la suddivisione territoriale degli occupati è rimasta pressoché invariata se confrontata al 2019, con il 52 per cento al Nord, il 21 per cento al Centro e il 26 per cento al Sud e nelle Isole. Discorso analogo per quanto riguarda il genere dei nuovi occupati, che per il 64 per cento è di sesso maschile. In termini relativi, è rimasto invariato anche il rapporto tra donne (42 per cento) e uomini (58 per cento) nel numero di occupati. Bisogna sottolineare, poi, che a giugno il tasso di occupazione femminile è arrivato al 52,3 per cento, il massimo storico per il nostro paese.

Guardando alla posizione professionale dei nuovi occupati, sono aumentati soprattutto i lavoratori dipendenti con contratti a tempo indeterminato. Rispetto al 2019, nel secondo trimestre del 2023 il saldo dei lavoratori dipendenti è positivo (circa 630 mila unità), mentre quello dei lavoratori autonomi è negativo (circa 230 mila unità). Per capire l’andamento del numero di occupati per categoria professionale, è utile guardare alla variazione rispetto a tre mesi prima, meno volatile rispetto alla variazione mensile. Come mostra la figura 3, il picco di occupati è dovuto in larga parte a lavoratori a tempo indeterminato e autonomi, mentre l’andamento dei lavoratori con contratto a tempo determinato è addirittura in calo. I nuovi occupati hanno per la maggior parte un contratto a tempo indeterminato e sono occupati in posizioni a tempo pieno. Diminuiscono, invece, i lavoratori dipendenti part-time, che passano da 3,65 milioni nel 2019 a 3,47 milioni nel primo trimestre 2023.

La maggior parte dei nuovi occupati ha più di 55 anni. Facendo riferimento ai dati del 2019, infatti, nei primi tre mesi del 2023 gli occupati nella fascia d’età tra 35 e 49 anni sono diminuiti (circa 530 mila), mentre sono aumentati quelli tra i 50 e gli 89 anni (circa 490 mila). In particolare, nel primo trimestre del 2023 sono 38 mila i nuovi occupati con più di 65 anni, rispetto al 2019. Per quanto riguarda le fasce più giovani, sono circa 178 mila gli occupati in più tra i 15 e i 34 anni.  

La suddivisione settoriale dei nuovi occupati, infine, evidenzia come la maggior parte appartenga al settore delle costruzioni: su 393 mila nuovi lavoratori dipendenti nel primo trimestre del 2023 rispetto al 2019, circa 205 mila sono in questo settore. Secondo diversi commentatori, l’incremento potrebbe essere dovuto agli effetti del Superbonus 110 per cento, che ha creato una forte domanda di lavoro nel settore edilizio.  

Contratti a termine e mismatch: tanti problemi nel mercato del lavoro  

Nonostante il risultato positivo raggiunto con il livello dell’occupazione ai massimi storici, non è tutto oro quel che luccica. Qualche mese fa avevamo proprio parlato di come i numeri record dell’occupazione non potessero essere associati a una situazione totalmente favorevole nel mercato del lavoro. Dicevamo, infatti, che si stava allungando l’ombra della precarizzazione. Istat sottolinea però che a luglio 2023 sono aumentati sia i lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato sia i lavoratori autonomi, che insieme hanno più che compensato la diminuzione dei dipendenti a termine. Tuttavia, bisogna ampliare lo sguardo: l’Italia resta il paese europeo in cui l’incidenza dei lavori a tempo determinato è aumentata di più tra 2013 e 2022 (+3,4 per cento). Oltre al problema dei lavoratori precari, non va sminuito quello del mismatch all’interno del mercato del lavoro, soprattutto per quanto riguarda i neolaureati. Infatti, l’Italia risente particolarmente del problema del non allineamento tra domanda delle imprese e offerta a livello di profili dei candidati.

Il bollettino di settembre del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal, ha confermato che le imprese affrontano crescenti difficoltà nell’assunzione di personale, con un tasso che ha raggiunto il 47,6 per cento a settembre (e il 51 per cento tra i giovani), in aumento del 5 per cento rispetto all’anno precedente. In particolare, la ricerca di operai specializzati (64,2 per cento) e tecnici nell’area di installazione e manutenzione (67 per cento) è particolarmente critica, con difficoltà maggiori nel Nord-Ovest e nel Nord-Est. I migliori risultati occupazionali per indirizzo di studio nel mese di settembre 2023 sono stati ottenuti da coloro che hanno seguito corsi universitari di insegnamento e formazione, da chi ha completato il diploma di scuola secondaria in amministrazione, finanza e marketing e da chi ha conseguito qualifiche o diplomi professionali nel settore meccanico. Le assunzioni previste per questi indirizzi di studio a settembre sono rispettivamente 38.680, 39.380 e 20.060 persone. Le tendenze indicano che nel corso degli anni c’è stata una convergenza nelle scelte degli studenti verso le aree di specializzazione più richieste dal mercato. Ciononostante, ci sono ancora posti di lavoro destinati ai laureati che rimangono vacanti. Mentre un quinto dei laureati non riesce a trovare occupazione e un’altra buona porzione opta per cercare lavoro all’estero, il fenomeno noto come “fuga di cervelli”.  

In linea generale, è importante considerare questi aspetti alla luce della struttura economica italiana, che sembra necessitare di professionisti altamente specializzati ma non necessariamente laureati, soprattutto in settori chiave come l’industria, l’edilizia e il commercio.  

Come affrontare le sfide  

Il mercato del lavoro italiano continua a essere afflitto da una serie di carenze, che inevitabilmente ne influenzano la stabilità. La legge di bilancio 2023, che contiene il bilancio di previsione dello stato per l’anno finanziario 2023 e il bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025, oltre alle numerose novità introdotte in ambito fiscale, si è proposta di affrontare le sfide legate al mondo del lavoro, sia nel settore pubblico sia nel settore privato. Nel corso di questi mesi, il dibattito pubblico si è polarizzato, in particolare, attorno alle disposizioni di riordino del Reddito di cittadinanza (Rdc), misura introdotta nel 2019 dal governo guidato da Movimento 5 stelle e Lega. Se, nel corso degli anni, il Reddito di cittadinanza è parzialmente riuscito nell’obiettivo di sostenere economicamente le fasce più povere della popolazione, non ha invece raggiunto i risultati sperati nell’ambito occupazionale. Numerosi politici, spesso mediante argomentazioni fuorvianti ed erronee, hanno addirittura affermato che un sostegno del genere non facesse altro che disincentivare i beneficiari dal cercare lavoro. La convinzione ha poi portato a una riforma che ne prevedesse l’abolizione. Tra i commenti più critici rivolti verso tale misura vi è quello, piuttosto recente, del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso (esponente di Fratelli d’Italia), che ritiene che “dopo la revisione del reddito di cittadinanza, siamo cresciuti di più, siamo cresciuti meglio, perché appunto, avendo abolito il reddito di cittadinanza, nella prima parte di quest’anno sono stati creati oltre mezzo milione di nuovi posti di lavoro in tre mesi”. Ma non esiste alcuna prova o evidenza numerica per affermare che l’aumento dell’occupazione nel primo trimestre del 2023 sia merito dell’ancora annunciata e non del tutto avviata riforma sul Rdc, che esiste ancora e sarà definitivamente abolito dal prossimo anno. In questi mesi, si è solo avviato un lungo percorso di transizione, che prevede la sostituzione del Rdc con due nuovi interventi: l’Assegno di inclusione (Ai) e il Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl). Il primo, in vigore dal prossimo gennaio, ha numerose somiglianze con l’attuale reddito, ma potrà essere richiesto solo dalle famiglie che includono almeno una persona con disabilità, un minore o un individuo di età superiore ai 60 anni; il secondo, invece, già attivo da settembre, consiste in un’indennità destinata a coloro che partecipano a progetti di formazione, di qualificazione e riqualificazione professionale, di accompagnamento al lavoro o simili, erogata per un periodo non superiore a 12 mesi. Mentre molti nutrono l’aspettativa che queste nuove iniziative possano portare a un miglioramento della situazione economica e occupazionale, c’è anche una considerevole fascia di popolazione che rimane scettica, temendo che possano configurarsi nell’ennesimo tentativo inefficace di affrontare le sfide strutturali del mercato del lavoro italiano. La loro validità, dunque, sarà da verificare nel tempo.    

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Il Punto

  1. Claudio Resentini

    Articolo interessante e in generale ben scritto. Suggerirei però agli autori di evitare l’utilizzo del termine “nuovi occupati”, molto fuorviante in questo contesto perché porta a confondere i dati di stock con i dati di flusso.
    Quando si dice che dal 2019 al 2023 gli occupati sono aumentati di 500.000 unità, tale dato è ovviamente ottenuto confrontando i dati di stock (quello del 2023 e quello del 2019), ma nulla ci dice sui dati di flusso del periodo 2019-2023. Non sappiamo infatti se tale cifra sia il risultato dell’ingresso nel mercato del lavoro di 3 mil. di lavoratori e dell’uscita di 2,5 mil. oppure dell’ingresso di 4 mil. di lavoratori e dell’uscita di 3,5 mil. o di qualsiasi altra coppia di valori la cui differenza risulti 0,5 mil.
    I “nuovi occupati” sono quelli che sono entrati nel mondo del lavoro tra il 2019 e il 2023, cioè 3 mil. nel primo caso, 4 milioni nel secondo, ecc. Non sono i 500.000 occupati in più, cifra che rappresenta invece una mera differenza numerica. Nel testo sembra proprio che si parli di questo mezzo milione di lavoratori (che nella realtà, come abbiamo visto, non esiste), “reificando” in tal modo la differenza tra dati di stock come se fosse, appunto, un dato di flusso, cioè 500.000 persone entrate nel modo del lavoro, quando invece sappiamo che il numero dei nuovi occupati, cioè delle persone che sono entrate nel mondo del lavoro è probabilmente più alto.
    Questo rischia di creare molti equivoci. Dire ad es. che “la maggior parte dei nuovi occupati ha più di 55 anni” perché è aumentato il numero degli over 55 suggerisce: 1) che siano stati assunti molti over 55 nel triennio; 2) che di quel mezzo milione di “nuovi occupati” (in realtà inesistente) la maggior parte siano over 55.
    E’ molto più probabile invece che l’aumento degli over 55 sia dovuto non tanto all’entrata nel mondo del lavoro degli over 55, quanto alla loro mancata uscita, dovuta da una parte alle dinamiche demografiche che vedono le classi di età più elevate numericamente più consistenti (il noto fenomeno dei cosiddetti “boomer”) e d’altra al mancato pensionamento di molti di questi per l’incremento generale dell’età di pensionamento.

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