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Se è il giudice a stabilire il salario minimo

Un nuovo orientamento giurisprudenziale vede la magistratura assumersi il compito di determinare direttamente la giusta retribuzione. Evidenzia l’urgenza di istituire per legge uno standard minimo universale, che tenga conto delle differenze del costo della vita.

Il nuovo orientamento giurisprudenziale

Due sentenze della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione pubblicate il 2 ottobre 2023 (n. 27711 e n. 27769), entrambe sul tema dell’applicazione del principio costituzionale della retribuzione sufficiente, di contenuto tra loro quasi identico, vengono giustamente indicate come fortemente innovative: una vera e propria svolta giurisprudenziale.

La stessa Corte di Cassazione aveva in passato ripetutamente affermato che il parametro fondamentale per determinare la “giusta retribuzione” dovuta al lavoratore dipendente è costituito dallo standard minimo stabilito dal contratto collettivo nazionale di settore, stipulato dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Alcune sentenze ammettevano la possibilità che il giudice si scostasse da quel parametro, condannando il datore di lavoro al pagamento di una retribuzione superiore; ma questa possibilità era prevista in via eccezionale, in riferimento a circostanze particolari: la regola generale era quella del riferimento ai minimi previsti dai Ccnl stipulati dai sindacati maggiori di ciascuna categoria produttiva, quasi sempre Cgil, Cisl e Uil. Proprio su questo orientamento giurisprudenziale dominante si fondava l’idea di una “estensione erga omnes di fatto” dell’efficacia di quei contratti, nonostante la perdurante inattuazione dell’articolo 39 della Costituzione. Ora, invece, la Corte di Cassazione afferma in modo molto incisivo il dovere del giudice di controllare l’idoneità dello standard (anche se previsto dal contratto collettivo stipulato dai sindacati maggiori) a soddisfare i requisiti indicati dall’articolo 36 della Costituzione, cioè a stabilire una retribuzione “sufficiente ad assicurare una esistenza libera e dignitosa al lavoratore e alla sua famiglia”. Lo fa individuando nuovi parametri che dovrebbero essere considerati dal giudice di sua iniziativa, quali la soglia di povertà individuata dall’Istat, il salario medio o mediano individuabile attraverso i dati Uniemens censiti dall’Inps, e numerosi altri, precisando altresì che la retribuzione non deve soltanto proteggere dalla povertà, ma deve anche assicurare un’esistenza “libera e dignitosa”, implicante qualche cosa di più rispetto all’emancipazione dalla povertà: per esempio – dicono le due sentenze della Corte – la possibilità di assistere a uno spettacolo o a iniziative di carattere culturale e sociale.

Con queste decisioni la Cassazione annulla due sentenze di merito, rispettivamente della Corte d’Appello di Milano e di Torino, che avevano invece considerato rispettosa dei principi sanciti dall’articolo 36 della Costituzione la retribuzione determinata secondo il contratto collettivo nazionale rinnovato pochi mesi fa da Cgil, Cisl e Uil per il settore dei servizi fiduciari come guardiania, reception e altro – nonostante che il compenso orario complessivo ivi previsto si collocasse al di sotto, sia pur di poco, dei 7 euro l’ora.

Le questioni irrisolte

Le due sentenze di Cassazione pubblicate il 2 ottobre costituiscono una sorta di costituzione in mora e di sollecitazione nei confronti del sistema delle relazioni industriali, incapace di debellare per mezzo della contrattazione collettiva il lavoro povero nei settori dei servizi a basso livello di qualificazione professionale e di produttività. Qualcuno ha ritenuto però di ravvisare in esse anche una risposta all’inerzia del potere legislativo, che lascia il paese privo di quello strumento – lo standard retributivo minimo universale, il cosiddetto minimum wage – che è invece in vigore nella maggior parte dei paesi dell’Occidente sviluppato.

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Se solo di questo si trattasse, si potrebbe salutare la svolta giurisprudenziale come uno scossone utile per convincere il Parlamento a provvedere. Senonché la svolta giurisprudenziale va oltre i limiti della denuncia di un ritardo del legislatore; nelle due sentenze della Cassazione si afferma che il controllo da parte del giudice sui livelli retributivi non si estende soltanto ai contenuti della contrattazione collettiva, bensì anche ai contenuti delle leggi ordinarie che regolano la materia (come accade nel caso delle cooperative di lavoro). Ben potrebbe accadere, dunque, che anche lo standard minimo universale in ipotesi fissato domani dal legislatore non superasse il vaglio di un giudice, il quale lo ritenesse inidoneo ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa. La determinazione degli standard retributivi “giusti” verrebbe in questo modo sottratta non solo alla contrattazione collettiva, ma anche allo stesso legislatore, per essere affidata alle sensibilità dei singoli magistrati, assai differenti tra loro anche all’interno di uno stesso ufficio giudiziario. Con la conseguenza di un’enorme dilatazione dell’alea dei giudizi.

Bene, dunque, che queste sentenze pongano in evidenza i ritardi e l’inadeguatezza del nostro sistema delle relazioni industriali e della legislazione su questa materia. Ma il ruolo di supplenza giudiziaria che in esse si delinea appare eccessivo: il singolo giudice ordinario non può assumersi il compito – costituzionalmente proprio della politica e del sistema delle relazioni sindacali – di stabilire il bilanciamento migliore tra il valore della piena occupazione e quello del necessario sostegno ai livelli salariali più bassi; né tanto meno il compito di vagliare la legittimità costituzionale di una ipotetica norma legislativa su questa materia, compito che spetta soltanto alla Corte costituzionale.

Come se ne può uscire

Non è eccessivo paventare il caos che potrebbe derivare dal consolidarsi di un regime nel quale il minimum wage fosse stabilito dal giudice caso per caso: un caos dal quale la sola categoria che trarrebbe vantaggio sarebbe quella degli avvocati. Proprio questo rischio dovrebbe consigliare al Governo di porre mano con urgenza a due interventi che appaiono indispensabili per rimettere in piedi un sistema delle relazioni industriali efficiente, capace di governare in modo ordinato gli standard retributivi minimi anche in ottemperanza alla direttiva Ue n. 2022/2041 sulla materia.

Il primo è l’intervento legislativo necessario per risolvere finalmente l’annosa questione dell’efficacia generale dei contratti collettivi nazionali e dei possibili conflitti fra di essi. La maggior parte dei giuslavoristi concorda sul punto che l’unica soluzione praticabile passa attraverso la sostituzione degli ultimi tre commi dell’articolo 39 della Costituzione con un comma che dica semplicemente: “La legge regola l’estensione dell’efficacia del contratto collettivo, stipulato dalle associazioni sindacali e imprenditoriali maggiormente rappresentative, a tutto il settore cui il contratto stesso si riferisce”. La legge ordinaria, poi, potrebbe prevedere che sia il Cnel a verificare la rappresentatività delle associazioni, secondo i criteri stabiliti dagli accordi interconfederali, nell’ambito della categoria definita dal contratto; e che, nel caso di sovrapposizione di contratti riferiti a “perimetri” diversi, prevalga quello stipulato dalle associazioni più rappresentative nell’ambito del perimetro minore (così prevalendo la disciplina collettiva negoziata al livello più vicino al luogo di lavoro, in coerenza con quanto previsto dall’Accordo interconfederale 28 giugno 2011).

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L’altro intervento legislativo del quale il nuovo orientamento giurisprudenziale sottolinea l’urgenza è quello volto a istituire uno standard retributivo orario minimo universale, questo sì destinato a realizzare il bilanciamento migliore tra il valore della piena occupazione e quello del necessario sostegno ai livelli salariali più bassi. Qui è lo stesso contenuto delle due sentenze della Corte di Cassazione a evidenziare un problema che solo il legislatore e le parti sociali – non certamente il singolo giudice – possono e devono risolvere, là dove si sottolinea la necessità che nella determinazione dello standard minimo si tenga conto delle condizioni particolari di ciascuna zona, di ciascun contesto: ciò che significa tenere conto anche del potere d’acquisto effettivo della moneta, assai diverso tra regione e regione, ma anche tra zone metropolitane e zone circostanti. Altrimenti lo standard minimo stabilito in termini nominali, senza alcuna modulazione in relazione al potere d’acquisto effettivo, in un paese come il nostro sarà sempre troppo basso per le zone più ricche (con conseguente effetto controproducente sui livelli salariali rispetto alle finalità perseguite) o troppo alto per le zone più povere, dove causerà aumento del lavoro nero o della disoccupazione.

L’unica soluzione possibile del problema è che si affidino all’Istat la determinazione e l’aggiornamento periodico di un coefficiente del costo della vita in ciascuna provincia, regione o area metropolitana. La norma dovrà poi consentire che lo standard minimo sia modulato e aggiornato di volta in volta in relazione a quel coefficiente, in modo da garantire lo stesso livello minimo sostanziale di “vita libera e dignitosa” in ogni parte del paese.

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10 commenti

  1. Savino

    Una volta lo deve decidere il giudice, una volta si tenta di stabilirlo per legge, salvo, poi, non riuscirsi, con motivazioni più politiche che tecniche. E’ in corso uno smantellamento degli schemi della disciplina contrattualistica previsti negli anni ’70 e ’80, dallo Statuto dei Lavoratori in poi. Quando saltano tutti gli schemi, il primo che si alza al mattino decide. Non era questo l’intento di Gino Giugni e di altri Padri nobili della disciplina giuslavoristica e del diritto sindacale. Soprattutto da parte delle organizzazioni sindacali, si sono traditi quei buoni propositi di organizzazione del contratto di lavoro, delle relazioni industriali, dello stesso diritto di sciopero.

  2. Savino

    na volta lo deve decidere il giudice, una volta si tenta di stabilirlo per legge, salvo, poi, non riuscirci, con motivazioni più politiche che tecniche. E’ in corso uno smantellamento degli schemi della disciplina contrattualistica previsti negli anni ’70 e ’80, dallo Statuto dei Lavoratori in poi. Quando saltano tutti gli schemi, il primo che si alza al mattino decide. Non era questo l’intento di Gino Giugni e di altri Padri nobili della disciplina giuslavoristica e del diritto sindacale. Soprattutto da parte delle organizzazioni sindacali, si sono traditi quei buoni propositi di organizzazione del contratto di lavoro, delle relazioni industriali, dello stesso diritto di sciopero.

  3. Savino

    Una volta lo deve decidere il giudice, una volta si tenta di stabilirlo per legge, salvo, poi, non riuscirci, con motivazioni più politiche che tecniche. E’ in corso uno smantellamento degli schemi della disciplina contrattualistica previsti negli anni ’70 e ’80, dallo Statuto dei Lavoratori in poi. Quando saltano tutti gli schemi, il primo che si alza al mattino decide. Non era questo l’intento di Gino Giugni e di altri Padri nobili della disciplina giuslavoristica e del diritto sindacale. Soprattutto da parte delle organizzazioni sindacali, si sono traditi quei buoni propositi di organizzazione del contratto di lavoro, delle relazioni industriali, dello stesso diritto di sciopero.

  4. Mahmoud Abdel

    Articola da incorniciare, complimenti: “La determinazione degli standard retributivi giusti verrebbe in questo modo sottratta anche allo stesso legislatore, per essere affidata alle sensibilità dei singoli magistrati, assai differenti tra loro anche all’interno di uno stesso ufficio giudiziario. Con la conseguenza di un’enorme dilatazione dell’alea dei giudizi”.

    Già ora 7 euro lordi l’ora sarebbero uno stipendio per certe mansioni svolte in certe zone del Paese incredibilmente elevato, molti lavoratori saranno costretti a non poter più ottenere un regolare contratto poiché delle due l’una: o quel posto non esiste più a quel costo per il datore o quel posto continua ad esistere ma diviene in nero. Assurdo.

  5. Renato Fioretti

    Ormai le posizioni assunte da Pietro Ichino non meravigliano più nessuno. Come, purtroppo, noto a tutti i lavoratori italiani, egli è stato artefice di quelle ipotesi di contro riforme che, in nome di ciò che amava definire “il dualismo nel mercato del lavoro” hanno prodotto la riduzione delle tutele e delle garanzie – previste dallo Statuto dei lavoratori e dalla previgente Legislazione del lavoro – a favore dei lavoratori che definiva “protetti”, riducendoli nelle condizioni di quelli che definiva “paria”! Oggi, intenderebbe convincerci che la semplice sostituzione degli ultimi tre commi dell’art. 39 della Costituzione – con la conseguente estensione automatica a tutti i lavoratori dello stesso settore del Ccnl sottoscritto dalle parti più rappresentative – rappresenterebbe il primo intervento per impedire che sia il giudice di turno a stabilire il . La mia obiezione è che ciò non risolverebbe il problema perchè : se è vero che la estensione erga omnes del Ccnl sottoscritto dalle parti più rappresentative sarebbe comunque una grande conquista, in quanto eviterebbe l’applicazione dei c.d. “Contratti pirata”, è altrettanto vero che – proprio come nel caso rispetto al quale sono intervenute le due sentenze delle quali si parla nell’articolo, relative al trattamento previsto da un Ccnl “rinnovato pochi mesi fa” da Cgil, Cisl e Uil – il giudice potrebbe sempre intervenire qualora ritenesse le retribuzioni previste non rispondenti al dettato dell’art. 36 della Costituzione. Ci si troverebbe, quindi, nella stessa situazione! Rispetto al secondo intervento suggerito dal Prof. Ichino, sono assolutamente contrario a che l’eventuale introduzione di un salario minimo legale rappresenti l’occasione per rispolverare l’odioso meccanismo delle famigerate , con retribuzioni minime, sebbene fissate dalla legge, ancora più differenziate di quelle formalmente abbandonate nel luglio del 1972.

  6. Renato Fioretti

    Integrazione:
    dopo “di turno a stabilire il”, aggiungere: minimum wage
    dopo “meccanismo delle famigerate”, aggiungere: gabbie salariali
    grazie

  7. B&B

    Premesso che i lavoratori italiani, specie nei settori produttivi, devono essere protetti da leggi chiare inequivocabili e non interpretabili da chicchessia men che meno dai giudici. Inoltre i giudici in Italia (anche se per colpa di pochi) non hanno piu’ credibilità. Troppi casi di giudizi strampalati, inventati e di parte (mi riferisco alla sinistra, precedentemente il problema non si avvertiva anxzi ci si rivolgeva ai tribunali con grande fiducia e serenità).
    Oggi, invece, siamo tutti molto preoccupati della presenza eversiva di giudici comunisti, ( i partiti comunisti sono contro la proprietà privata, nemici delle professioni intellettuali, sfruttano i lvoratori e non consentono loro di votare ) addirittura si permettono di non rispettare le leggi o partecipare ai cortei contro il governo democraticamente eletto dai cittadini.
    Sentenze della cassazione che addirittura dichiarano falsa applicazione della legge ed errate decisioni in alcuni giudizi, in mio possesso, della corte di appello di Firenze. Nonostante siano stati dichiarati dei “Fuorilegge” dalla suprema corte di cassazione , nessuno li sanziona con pene a loro carico.

  8. Firmin

    Come spesso accade in questo paese, la magistratura supplisce alla politica ed una costituzione “vecchia” di oltre 70 anni si rivela più moderna e lungimirante. L’ art. 36 della carta non parla di un inutile salario minimo orario (facile da eludere), ma piuttosto di una retribuzione COMPLESSIVA che consenta una esistenza dignitosa. I padri costituenti avevano dunque in mente qualcosa che somiglia di più al reddito di cittadinanza per i soli lavoratori, piuttosto che al SM. Se la magistratura si è svegliata tardi e rischia di dare risposte disomogenee, questo non è un buon motivo per dare più potere ad organizzazioni sindacali di cui non si conosce neanche la reale rappresentanza, come mostra un articolo su questo sito.

  9. Pietro Della Casa

    Che la magistratura italiani debordi volentieri nella politica è cosa che mi era nota, che i giudici diventino oggi anche economisti mi pare uno sviluppo più recente, ma forso sono male informato.

  10. Pietro Della Casa

    … e togliendo un paio di errori di battitura:
    Che la magistratura italiana debordi volentieri nella politica è cosa che mi era nota, che i giudici diventino oggi anche economisti mi pare uno sviluppo più recente, ma forse sono male informato.

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