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Le conseguenze economiche della guerra in Medio Oriente

Anche se il conflitto in Medio Oriente non si espanderà, i mercati finanziari continueranno a risentire delle tensioni internazionali. Le economie dei paesi europei saranno le più colpite. L’allargamento dello spread segnala i rischi che l’Italia corre.

Cosa accadrà?

Come era logico attendersi dopo il week-end di atrocità scatenato da Hamas e la dura reazione israeliana, il prezzo del petrolio è leggermente salito, il dollaro e l’oro, da sempre considerati beni rifugio, si sono rivalutati, mentre le borse e i tassi d’interesse hanno conosciuto lievi oscillazioni. Tutto sommato reazioni contenute, coerenti con l’ipotesi che la guerra fra israeliani e palestinesi, al momento, rimanga un conflitto in un’area relativamente piccola e priva di materie prime importanti.

Ma cosa succederà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane? Molto dipenderà dal fatto se il conflitto si estenderà o meno, ad esempio, coinvolgendo il Nord-Est di Israele ai confini con il Libano, in altri termini se gli Hezbollah attaccheranno il paese a supporto di Hamas. In quel caso, il coinvolgimento iraniano sarebbe più evidente, la minaccia contro Tel Aviv più seria e l’intervento americano a fianco dell’alleato più probabile. Tutti gli analisti ritengono infatti che le milizie sciite degli Hezbollah siano molto meglio armate e preparate di quelle sunnite di Hamas. Immediatamente il conflitto assumerebbe un’altra portata e i mercati reagirebbero in maniera più violenta, ma questa svolta è nelle mani degli ayatollah. E si possono immaginare altre possibili tensioni nell’area. 

L’Occidente si troverebbe allora a dover combattere, non solo in Europa a fianco all’Ucraina, ma anche in Medio Oriente, senza dimenticare le tensioni in Asia, dove Cina e Corea del nord già combattono una guerra fredda contro gli Stati Uniti e i suoi alleati.

I rischi per Europa e Italia

In fondo, come abbiamo ricordato in un precedente articolo, la Russia, la Cina, la Corea del Nord, l’Iran e l’Arabia Saudita negli ultimi mesi hanno rafforzato i loro legami e deciso di aiutarsi a vicenda economicamente e in alcuni casi anche militarmente. Basti ricordare il recente accordo all’Opec+, l’allargamento del gruppo dei paesi Brics o l’aggiramento dell’embargo imposto alla Federazione Russa. Per non parlare dei droni iraniani forniti alla Russia o l’accordo sugli armamenti fra Putin e Kim Jong-un, capo di stato della Corea del Nord.

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A questi governi autocratici si sono poi affiancati in maniera più defilata democrazie incompiute come quella indiana, turca, brasiliana o sudafricana, che in questi mesi hanno avuto una posizione ambigua e opportunistica nei confronti dell’invasione russa in Ucraina e degli embarghi decisi dall’Occidente.

In questo contesto, il brutale attacco di Hamas andrebbe a inquadrarsi in uno scenario più vasto e preoccupante di accerchiamento alle democrazie occidentali.

Tuttavia, anche ipotizzando che non ci sia un simile disegno, è probabile che la situazione politica internazionale continui a essere molto tesa e i mercati finanziari percepiscano tali tensioni. Ovviamente, le economie più colpite da questa situazione sono quelle dei paesi europei, geograficamente più vicine alle guerre in Ucraina e in Medio Oriente e più aperte al commercio internazionale, nonché più dipendenti dal petrolio, gas e altre materie prime energetiche. Così l’inflazione europea potrebbe calare più lentamente, perché soggetta ad altri shock da offerta. Soprattutto la crescita economica, già oggi fragile, si mostrerà ancora più debole. Pertanto, l’ipotesi di un soft landing risulta sempre più improbabile.

In questo scenario di maggior tensione, l’Italia ha indubbie fragilità sia perché la crescita attesa appare particolarmente bassa, sia perché rispetto al debito pubblico più alto al mondo dopo quello del Giappone non ha alcun serio piano di rientro. Già nelle scorse settimane, a seguito dell’aumento dei tassi a lungo americani prima e dell’inizio della guerra in Medio Oriente poi, lo spread dei titoli pubblici italiani si era allargato non solo nei confronti di quelli tedeschi e francesi, ma anche di quelli spagnoli, portoghesi e persino greci. È il cosiddetto fly to quality o fly to safety che si verifica sempre nei momenti di tensione. Non lamentiamoci poi della solita speculazione che colpisce senza motivo, poiché sono solo investitori che non vogliono correre troppi rischi.

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  1. Savino

    Non si vuole mettere mano alla spesa pubblica, soprattutto quella corrente e improduttiva, ecco perchè si è indebitati e fragili. Ci siamo scordati delle Partecipate negli Enti, dei compensi ai manager pubblici, della spesa pensionistica. Qualcuno vuole anche infilare nel debito pubblico gli NPL del superbonus 110%.

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