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Argentina, la crisi continua

Ai cronici problemi economici dell’Argentina si è aggiunta la siccità. Svalutazione del peso, monetizzazione del deficit fiscale, debito elevato, impotenza della banca centrale e irresponsabilità politica portano il paese a un passo dall’iperinflazione.

La crisi economica

L’avvicinarsi delle elezioni presidenziali del 22 ottobre in Argentina corrisponde con l’acuirsi di una crisi finanziaria ed economica dalle radici profonde. Ai problemi cronici del paese si somma la siccità dell’ultimo anno e, soprattutto, una crisi politica senza precedenti. Il tutto mentre il paese si trova a un passo dall’iperinflazione.

Da almeno vent’anni le crisi economiche non sono una notizia per l’Argentina. La sua recente storia economica è stata caratterizzata prima da default, prestiti del Fondo monetario internazionale e nazionalizzazioni. Poi da stagnazione economica e inflazione. Negli ultimi 25 anni il suo Pil pro capite è cresciuto meno che nei paesi confinanti.

Figura 1

Fonte: Fmi

Secondo il Fmi, a fine 2023 il Pil registrerà una contrazione del 2,5 per cento a causa dell’impatto della siccità e delle politiche macroeconomiche. Nel 2022 Buenos Aires ha esportato beni e servizi per 88 miliardi, di cui 40 di prodotti agricoli. I beni più esportati sono stati la soia (24,9 miliardi di dollari) e il mais (9,6 miliardi). Il grano è al quinto posto tra i prodotti più esportati (4,7 miliardi). Ma per il 2023 le stime del raccolto sono state riviste al ribasso, soprattutto per la soia. Per la Bolsa de Cereales de Buenos Aires le perdite nelle esportazioni agricole ammontano a circa 20 miliardi di dollari. Nel complesso, si stima una flessione delle esportazioni totali del 25 per cento.

Figura 2

Fonte: Bolsa de Cereales de Buenos Aires.

Nel frattempo, l’inflazione interannuale ha raggiunto il 124 per cento ad agosto (136 per cento a settembre secondo stime non ufficiali) e potrebbe arrivare al 170 per cento a fine anno. Pesa, inoltre, un debito di 400 miliardi di dollari, per due terzi in valuta straniera.

Figura 3

Fonte: Indec

La crisi politica

Eppure, l’attuale crisi è diversa dalle precedenti. Non è solamente l’ennesimo capitolo del disastro economico argentino. Perché stavolta alla crisi economica si affianca lo sfaldamento della politica. È una novità assoluta per un paese che, nonostante tutto, era abituato alla stabilità politica.

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Il favorito per le elezioni presidenziali del 22 ottobre è l’outsider Javier Milei. Un economista che si autodefinisce anarco-capitalista e si presenta come candidato antisistema. Il suo partito personale ha trionfato nelle elezioni primarie di agosto, superando sia i peronisti (al governo dal 2003 al 2015 e dal 2019 a oggi) sia l’opposizione rappresentata da Juntos por el Cambio e guidata da Patricia Bullrich, al governo dal 2015 al 2019.

Subito dopo le primarie il governo è stato costretto a svalutare il peso argentino del 22 per cento. Una decisione già concordata prima delle elezioni con il Fmi e necessaria per ricevere un esborso di 7,5 miliardi di dollari. Ad agosto l’inflazione mensile è arrivata al 12,4 per cento.

Ma la crisi valutaria è ancora più grave perché, per tutti gli argentini, il valore del dollaro non è quello ufficiale deciso dalla banca centrale, ma il dollaro del mercato nero, il cosiddetto dolar blue. È a quel tasso che gli argentini possono cambiare i propri pesos in dollari per proteggere i risparmi dall’inflazione. Il gap tra il dollaro ufficiale (365 pesos) e quello blue (1.000 pesos) ha raggiunto negli ultimi giorni il livello record del 170 per cento. Da inizio anno il peso ha perso il 65 per cento del proprio valore, il 40 per cento da agosto.

Figura 4

Fonte: investing.com

Alla crisi di fiducia si somma l’irresponsabilità politica del governo e dei candidati presidenziali. Sergio Massa, attuale ministro dell’Economia e candidato presidente del peronismo, ha promosso una legge per alzare il limite non imponibile per le imposte sul reddito. La legge, passata grazie anche all’appoggio di Milei, esenta dall’imposta tutti i redditi mensili inferiori a 2 milioni di pesos (5.500 dollari al cambio ufficiale). Il 99 per cento degli argentini sarà esentato dall’imposta. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio si genererà così, nel 2024, un ammanco di 3 mila miliardi di pesos (8,6 miliardi di dollari). Deficit che verrà coperto con emissione monetaria visto che lo spread tra i bond argentini e americani si aggira sui 2700 punti. Ma soprattutto è un deficit che allontana l’Argentina dall’obiettivo fissato con il Fmi a marzo, e riconfermato ad agosto, di un disavanzo primario dell’1,9 per cento a fine 2023. Meta ormai virtualmente impossibile da raggiungere considerata la caduta del Pil e le minori entrate.

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Nel frattempo, Milei propone di dollarizzare l’economia e suggerisce di non comprare titoli in pesos perché in poche settimane quella moneta potrebbe non valere “neanche un escremento”. Dichiarazioni funzionali alla sua strategia elettorale, che però alimentano la svalutazione del peso. In un giorno il prezzo del dollaro blue è aumentato del 7 per cento, il tutto mentre la banca centrale non riesce più a intervenire sul mercato dei cambi perché le sue riserve nette sono in rosso per 5 miliardi di dollari. Se eletto, Milei si troverebbe in un labirinto: la dollarizzazione eviterebbe l’iperinflazione ma né il Tesoro né la banca centrale disporrebbero dei dollari necessari per l’operazione. Paradossalmente però l’iperinflazione lo aiuterebbe a dollarizzare l’economia. Poco importa del costo sociale. Si spiegano così le dichiarazioni del candidato-presidente sul peso e il suo assenso alla legge sulla tassazione del reddito da lavoro.

La corsa del peso, la monetizzazione del crescente deficit fiscale, l’elevato debito, l’impotenza della banca centrale e l’irresponsabilità politica portano così l’Argentina a un passo dall’iperinflazione.

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  1. Serafino Franco

    è il carattere degli argentini che si fanno sfruttare nonostante le grandi risorse naturali che hanno…….

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