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Il punto di forza della scuola italiana? La tutela degli studenti deboli

I risultati dell’indagine Pisa confermano tendenze già emerse dalle rilevazioni Invalsi. In matematica abbiamo il gender gap più alto dell’Oecd, oltretutto in crescita rispetto al 2018. La scuola italiana, però, protegge meglio gli studenti “deboli”.

Gli obiettivi dell’indagine Pisa

I risultati dell’indagine Ocse-Pisa (Programme for International Student Assessment) del 2022, presentati il 5 dicembre, sono i primi dopo la pandemia: pertanto consentono di verificare le tendenze già emerse dalle rilevazioni annuali Invalsi – pur nelle differenze di obiettivi, perimetro e metodologia delle due indagini – anche alla luce di quello che è successo negli altri paesi. La rilevazione misura i livelli di competenza in lettura, matematica e scienze di quasi 700 mila studenti provenienti da 81 paesi. In Italia il campione è di 10.552 studenti, che frequentano 345 scuole. 

Prima di commentare i principali risultati, è utile ricordare che Pisa è un’indagine condotta su studenti quindicenni (in qualsiasi grado scolastico si trovino) attraverso le stesse prove in tutto il mondo. L’obiettivo è rilevare in che misura ragazzi e ragazze abbiano acquisito alcune conoscenze e competenze fondamentali per partecipare pienamente alla vita sociale ed economica. Devono, quindi, essere in grado di estrapolare informazioni da ciò che conoscono o hanno appreso, pensare oltre i confini delle discipline, applicare le conoscenze a situazioni nuove in modo creativo.

I risultati in matematica e in lettura

I risultati in matematica in Italia sono in linea con quelli della media dei paesi Ocse. Non è però una notizia positiva. Infatti, i nostri studenti fanno registrare un peggioramento di 15 punti rispetto all’ultima rilevazione del 2018, equivalente all’apprendimento di tre quarti di anno. Se a livello internazionale si parla di un (preoccupante) trend negativo in corso già prima della pandemia, nel nostro paese il risultato è ancora più deludente, perché sono stati bruciati tutti i progressi che avevano caratterizzato le ultime quattro rilevazioni, tornando ai livelli del 2006 (figura 1).

Figura 1 – Andamento nel tempo dei risultati in matematica

I divari che caratterizzano il nostro sistema educativo sono confermati. Al nostro paese spetta la “maglia nera” per le differenze di genere: il divario a favore dei maschi è di 21 punti, cioè circa un anno di scolarità, ed è in aumento rispetto alle precedenti rilevazioni.

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Il background socioeconomico (Escs), invece, pesa un po’ meno che a livello internazionale: la differenza di apprendimenti tra gli studenti nel primo e nell’ultimo quartile di Escs è di 85 punti contro i 93 a livello internazionale.

A livello territoriale i divari rimangono profondissimi: tra Nord-Est e Sud e Isole la differenza è di 60 punti (equivalente a circa 3 anni di scuola) e la lieve diminuzione dei gap rispetto alla precedente edizione è dovuta esclusivamente a una perdita molto più consistente da parte di chi andava meglio: il Nord-Est perde 20 punti, mentre il Sud e Isole “solo” 4.

Andamento parallelo si riscontra per gli indirizzi di scuola superiore: gli unici che “tengono” sono gli istituti professionali (la diminuzione di 7 punti non è statisticamente significativa), mentre tutti gli altri tipi di scuola perdono oltre 20 punti.

Questa “anomalia” pare confermata dalla figura 3 che presenta la perdita di punteggio tra il 2018 e il 2022 nei diversi percentili della distribuzione dei punteggi: nel nostro paese nei percentili bassi, ovvero dove si trovano quelli con risultati più modesti, la diminuzione è inferiore rispetto alla media Ocse, mentre è più marcata dalla mediana in su.

Figura 2 – Perdite di punteggio rispetto al 2018 per percentile

Per quanto riguarda irisultati in lettura siamo tra i venti migliori paesi come risultato medio, con un punteggio sostanzialmente invariato rispetto al 2018, mentre paesi quali Francia, Portogallo, Svezia, Norvegia, Canada, Danimarca, tradizionalmente fra i migliori, registrano peggioramenti tra i 15 e i 25 punti. Rimangono però forti differenze: la distanza tra gli studenti più forti (90° percentile) e quelli più deboli (10° percentile) è in media di 240 che, seppure inferiore a quella Ocse pari a 262, equivale a circa 8 anni di scolarità.

A differenza di quanto si osserva per la matematica, nel corso del tempo i divari tra studenti migliori e peggiori sono rimasti costanti, perché costanti sono stati i risultati ottenuti nei due gruppi. È una peculiarità italiana rispetto all’andamento internazionale, dove il divario tra studenti con punteggi alti e quelli con i risultati più bassi si è di fatto ampliato rispetto al 2012, a causa di un peggioramento di quasi 30 punti degli studenti più deboli.

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La capacità di tenuta

In generale la scuola italiana ha mostrato una capacità di tenuta rispetto al Covid superiore a quella di molti paesi che ci hanno storicamente sopravanzato nelle rilevazioni, come quelli scandinavi, l’Olanda, la Polonia, oltre a Francia e Germania. Non è chiaro perché questi sistemi abbiano subito un contraccolpo della pandemia maggiore del nostro: una possibilità, certo non rassicurante, è che il Covid abbia reso molto complesso adottare metodologie di insegnamento avanzate, basate su ruoli attivi degli studenti, mentre una formazione più tradizionale di natura trasmissiva perde meno efficacia quando è online. È comunque positivo che la scuola in Italia sia riuscita a proteggere gli studenti più fragili meglio di altre.

Per chiudere riportiamo una figura che ribadisce con chiarezza come “i soldi contino, ma solo fino a un certo punto”: l’Italia corrisponde al n. 19 nel grafico e questo punto corrisponde a 75 mila dollari (a parità di potere di acquisto) di spesa cumulativa per studente. Fino a quella soglia c’è un aumento nel punteggio per un investimento aggiuntivo di risorse; dopo la linea diventa sostanzialmente piatta. Ciò significa che la differenza non la fanno più i soldi, ma la capacità di spenderli in modo efficace, ovvero attuando politiche in grado di migliorare la qualità del sistema educativo. Finora l’Italia non si è mostrata un paese particolarmente capace di farlo (si veda quanto successo con i fondi Pon). Allo stato dell’arte, c’è da dubitare che – nonostante la grande iniezione di nuove risorse con il Piano nazionale di ripresa e resilienza – le cose andranno meglio.

Figura 3 – Relazione tra spesa per istruzione e punteggio in Pisa

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  1. Professore Salernitano

    Il problema in Italia è dovuto:
    a) non si può più bocciare perchè i genitori sono diventati i sindacalisti dei figli.
    b) non si possono tirare ceffoni e gessetti come una volta agli studenti più indisciplinati e per farli sospendere bisogna prima che diano fuoco ad una scuola (quindi assenza di punizioni)
    c) l’inclusione forzata è solo un modo per reprimere le eccellenze. Chi proprio non ce la fa a studiare o NON vuole studiare, deve fare altro
    d) conseguenza della c): il diritto all’istruzione deve fermarsi alla quinta elementare. Deve andare avanti solo CHI VUOLE STUDIARE. Il buonismo indiscriminato sta distruggendo tutto

    • Francesca M

      Concordo. Bocciare è visto come una punizione, quando in realtà la vera punizione è mandare avanti uno/a studente senza preparazione, condannandolo/a a non capire più nulla per tutti gli studi successivi.

    • Denise

      Ma anche no. Inclusione non significa promuovere i pigri.
      Inclusione significa includere gli scolari e studenti con bisogni speciali. Difficile ma importantissimo. Ed inclusione significa anche includere gli scolari e studenti superdotati. Altrettanto difficile e altrettanto importante.

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