La nuova contabilità ci regala qualche miliardo di Pil in più, che arriva soprattutto dalle costruzioni. La nota positiva è il miglioramento dell’andamento della produttività del lavoro. Aumenta la domanda di lavoro, ma la caduta dei salari reali è forte.

La revisione delle statistiche di contabilità nazionale

L’Istat ha recentemente rivisto le statistiche di contabilità nazionale. Si tratta di una revisione che avviene regolarmente ogni cinque anni, per integrare nuove fonti statistiche e tenere conto dei cambiamenti intervenuti nella struttura produttiva. Alla revisione corrisponde anche il cambiamento dell’anno che definisce il “benchmark” per i conti; il nuovo anno di riferimento è il 2021, anno che peraltro presentava ancora diverse peculiarità nella composizione della struttura della produzione e della domanda rispetto al 2020, anno della pandemia. La base per la serie storica dei deflatori (di fatto l’anno in cui i livelli dei prezzi sono pari a 100) è invece il 2020.

La revisione dei conti nazionali ha portato l’Istat a rivedere interamente le serie storiche. Tuttavia, le differenze rispetto alla contabilità precedente si concentrano negli ultimi anni. D’altra parte, considerando l’eccezionalità degli andamenti che hanno caratterizzato il periodo della pandemia e quello della successiva fase delle riaperture, un progressivo affinamento delle stime è del tutto normale, ed è possibile che anche nei prossimi anni i dati sul 2022-2023 possano subire nuove revisioni.

Cosa è cambiato

In generale, se concentriamo l’attenzione sui principali cambiamenti intervenuti nel profilo delle serie storiche, possiamo evidenziare una maggiore crescita del Pil nominale nel corso dell’ultimo triennio. Nel 2023 il Pil nominale supererebbe quello indicato nella precedente contabilità di circa il 2 per cento, ovvero poco più di 40 miliardi. Dal punto di vista della domanda, l’aumento del Pil rifletterebbe una combinazione di meno consumi delle famiglie e più investimenti, tanto nella componente di quelli fissi che in quella della variazione delle scorte. Vengono anche rivisti al rialzo i consumi della pubblica amministrazione, mentre peggiora leggermente il saldo degli scambi con l’estero.

A partire da questo quadro generale, la lettura dei nuovi conti nazionali può concentrarsi sulle tendenze che hanno caratterizzato il periodo più recente. Nella tabella 1 si mostra in particolare l’incremento cumulato di alcune variabili tra le più significative fra il 2019, anno precedente la pandemia, e il 2023.

Fra i vari aspetti, emergono almeno tre spunti di riflessione: il primo relativo al ciclo degli investimenti in costruzioni; il secondo all’andamento della domanda di lavoro e alla produttività; il terzo all’effetto della revisione del livello del Pil sul rapporto fra debito pubblico e Pil.

Figura 1

Il ciclo delle costruzioni

Negli anni scorsi uno degli andamenti che hanno caratterizzato le tendenze dell’economia in Italia è rappresentato dal notevole ciclo dell’edilizia, verificatosi a seguito di specifiche misure di politica economica che hanno sostenuto la domanda. Innanzitutto, il cosiddetto “Superbonus” e poi le misure di rilancio delle opere pubbliche.

A prescindere dalla valutazione degli effetti del Superbonus sulla crescita e sulle poste del bilancio pubblico, un aspetto che aveva sollevato alcune perplessità nei dati precedenti di contabilità nazionale era l’ingente ammontare di risorse che il Superbonus aveva assorbito nel bilancio pubblico nel 2023, a fronte di un ciclo degli investimenti in costruzioni che sembrava averne beneficiato solo in misura parziale. La nuova contabilità risolve la parziale incoerenza rivedendo al rialzo gli investimenti in costruzioni in maniera decisa, ben 27 miliardi a prezzi correnti, ovvero il 13,5 per cento in più, che portano l’incremento cumulato fra il 2019 e il 2023 al 79 per cento. La revisione ha interessato quasi integralmente il volume degli investimenti in costruzioni, con una revisione marginale dell’andamento dei deflatori.

Naturalmente questo aspetto è fondamentale per le tendenze della congiuntura dell’economia italiana dei prossimi trimestri, alla luce dell’interruzione (opportuna) della spinta del Superbonus e del probabile arretramento della domanda che ne dovrebbe derivare. Già i dati relativi alla nuova contabilità nazionale con frequenza trimestrale che l’Istat diffonderà il 4 ottobre chiariranno il tono della domanda nella prima parte dell’anno, anche se le incertezze maggiori si concentrano al momento soprattutto sugli andamenti del 2025.

La domanda di lavoro e i salari

L’altro aspetto che ha caratterizzato in maniera decisiva le tendenze degli ultimi anni è stato il forte incremento della domanda di lavoro. La contabilità nazionale non rivede, se non marginalmente, i dati sulla crescita dell’input di lavoro, tanto nella misura delle unità di lavoro, quanto in quella delle ore lavorate.

Dato il miglioramento dei dati sul Pil, ne discende che sale la crescita della produttività del lavoro. Se utilizziamo la misura rappresentata dal valore aggiunto a prezzi costanti rapportato alle ore lavorate, la nuova contabilità mostra un aumento dell’1,9 per cento in quattro anni, contro una crescita quasi nulla evidenziata dalla contabilità precedente. È questa probabilmente la nota più positiva del nuovo quadro di contabilità nazionale e c’è da sperare che la tendenza trovi conferma nei dati dei prossimi anni.

D’altra parte, la dinamica salariale del periodo è confermata poco al di sotto dell’8 per cento nel quadriennio. Al netto della crescita del deflatore dei consumi del periodo, che risulta più bassa di sette decimi, l’aumento dei salari reali migliora (si fa per dire) di mezzo punto, dal -6,4 al -5,7 per cento.

Comunque, anche nei nuovi dati, peggiora ulteriormente lo scollamento tra l’andamento dei salari reali e quello della produttività, rendendo probabilmente questa fase quella di maggiore arretramento delle retribuzioni nella storia recente dell’economia italiana.

Figura 2

Il rapporto debito pubblico-Pil

Un terzo aspetto da citare è che la revisione al rialzo della crescita del Pil nominale degli ultimi anni influenza naturalmente l’andamento del rapporto debito-Pil, determinando un profilo più favorevole, tant’è che lo scorso anno la variabile si sarebbe riportata sugli stessi livelli di prima della crisi. L’andamento, unitamente alla maggiore crescita degli investimenti legati al Superbonus, ha dato vita a un dibattito in relazione alla capacità di questo tipo di politica di sostenere la crescita, al punto da non generare un aumento del debito pubblico, a fronte degli elevati livelli raggiunti dal deficit. D’altra parte, come diversi commentatori hanno fatto osservare, in realtà gli effetti del Superbonus, pur avendo inciso sull’andamento del deficit pubblico, non si sono ancora manifestati sull’andamento del debito, dato che questo si verifica solo quando vengono esercitati i crediti d’imposta che riducono le entrate di cassa dello stato. L’effetto prevalente sul debito lo osserveremo quindi fra il 2024 e il 2027.

In secondo luogo, la vivace crescita del Pil nominale degli ultimi anni pur riflettendo un discreto incremento del Pil a prezzi costanti è largamente spiegata dall’inflazione. È il forte e inatteso aumento dei prezzi che, in Italia come in altri paesi, ha contenuto l’andamento del rapporto debito-Pil. Di contro, vi è naturalmente il rendimento inferiore alle attese ottenuto dai possessori di titoli di stato. Più che di un dividendo della crescita, si è trattato quindi di una tassa da inflazione, un processo che riflette più i fattori di contesto internazionali che le dinamiche interne dell’economia e che è auspicabile non si ripeta nei prossimi anni, anche alla luce delle conseguenze sulla stessa finanza pubblica che deriverebbero da maggiori aspettative d’inflazione e tassi d’interesse più elevati.

Tabella 1

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