Disciplina fiscale, ruolo delle aspettative e contenimento della spirale prezzi-salari: sono i tre fattori che hanno permesso all’amministrazione Milei di ottenere un drastico calo dell’inflazione. La fiducia cresce, ma le difficoltà sociali restano.
La lotta all’inflazione
“Vamos a terminar con el cáncer de la inflación”: sono parole pronunciate da Javier Milei durante il dibattito pre-elettorale con Sergio Massa, ministro dell’Economia uscente e candidato presidente dell’Argentina per il peronismo. Nella stessa frase, Milei aveva anche ribadito l’intenzione di dollarizzare l’economia e chiudere la banca centrale. Non lo ha fatto, ma sull’inflazione ha mantenuto la promessa, riuscendo in una missione straordinariamente difficile.
Subito dopo l’elezione di Milei, l’inflazione mensile in Argentina ha raggiunto il 25 per cento ovvero il 1400 per cento circa a tasso annualizzato. Il dato mensile era già stabilmente sopra il 5 per cento sin dal 2022 e aveva superato il 10 per cento poco prima delle elezioni presidenziali di novembre 2023. La figura 1 mostra che l’inflazione è poi rapidamente scesa ai livelli pre-crisi per l’indice generale e nella componente di fondo, sia per i beni che per i servizi. Per ora, i costi della disinflazione ci sono, ma ci sono anche segnali positivi e, soprattutto, la maggioranza degli argentini sembra apprezzare la direzione in cui va il paese.
Come è stato possibile? E quali lezioni trarne?
I tre canali della disinflazione
Il “piano Milei” combina uno shock negativo di domanda (aggiustamento fiscale) a uno shock positivo di offerta (liberalizzazioni). Secondo la teoria economica di base, l’effetto sui prezzi è disinflattivo in quanto ognuno dei due shock contribuisce in tal senso, mentre l’effetto sull’attività economica è ambiguo poiché dipende da quale dei due risulti predominante. Detto in altri termini, la dinamica dei prezzi nell’ultimo anno non può stupire, anche se la rapidità della disinflazione non ha precedenti storici. Ma attraverso quali canali le autorità argentine hanno disinflazionato l’economia?
Il primo canale è una ferrea disciplina fiscale. Dopo molti anni di deficit (figura 2), largamente finanziati dalla banca centrale attraverso emissioni monetarie, il governo ha raggiunto un surplus di bilancio, non solo primario ma totale; e le autorità hanno segnalato un forte impegno a mantenerlo anche in futuro. Così facendo, il governo scongiura il fatto che le famiglie e le imprese perdano fiducia nella volontà e capacità del governo di stabilizzare il debito in futuro, ovvero che si aspettino che prima o poi la stabilizzazione avvenga attraverso una “tassa monetaria”, che altro non è che la tassa da inflazione. L’azione fiscale ha anche dato margine di manovra alla banca centrale che ha già potuto normalizzare il tasso di rifinanziamento principale, compensando gli effetti recessivi dell’aggiustamento fiscale.
Il secondo canale è quello delle aspettative. La figura 3 mostra l’andamento di quelle di mercato sull’inflazione a 12 e 24 mesi; anch’esse sono calate drasticamente nell’ultimo anno. Il ruolo delle aspettative è cruciale perché determina la persistenza del processo inflattivo attraverso le decisioni di spesa di oggi delle famiglie e attraverso la negoziazione salariale per gli anni a venire. In altri termini, aver comunicato e attuato un piano giudicato credibile dal mercato ha già portato benefici per le famiglie che non devono anticipare (o devono farlo meno) spese future perché ritenute più costose o negoziare salari sempre più alti solo per evitare che siano erosi dall’inflazione futura.
Il terzo canale è quello dei costi delle imprese. Il “piano Milei” agisce su due fronti. Il primo è il contenimento della spirale prezzi-salari. La figura 4 mostra l’andamento dell’inflazione mensile dei salari nominali (in discesa, cosa cruciale per i costi delle imprese), con i salari reali che hanno iniziato il recupero del potere d’acquisto perso.
Il secondo è attraverso la riduzione dei prezzi all’importazione, ottenuta sia stabilizzando il tasso di cambio, sia riducendo il livello dei dazi. Per questo, l’inflazione dei prezzi alla produzione e all’ingrosso (figura 5) è già tornata ai livelli pre-crisi, circostanza che lascia ben sperare per le dinamiche future dei prezzi al consumatore.
La povertà è la prima preoccupazione degli argentini
Cosa accadrà nei prossimi mesi? Prevedere il futuro è operazione complicata e rischiosa. Ci sono senz’altro segnali positivi. Ad esempio, l’inchiesta (Manpower) delle imprese sull’occupazione rimane in territorio espansivo (figura 6). Per il momento, infatti, non vi sono state conseguenze negative sull’occupazione nonostante la portata del piano fiscale (anzi, gli analisti di JP Morgan stimano che il Pil argentino sia cresciuto al tasso annualizzato dell’8,5 per cento nel terzo trimestre di quest’anno).
Eppure, le difficoltà sociali restano gravi e pongono interrogativi sul futuro. Secondo l’Indec, la povertà in Argentina ha raggiunto il 52,9 per cento e l’indigenza il 18,1 per cento nel primo semestre del 2024, rispetto al 40,1 per cento e al 9,3 per cento di un anno prima. Dati di “Equipo_mide” pubblicati da La Nacion mostrano un cambiamento nelle preoccupazioni degli argentini: ad agosto 2023, il 31 per cento considerava l’inflazione il problema principale contro l’8 per cento che indicava la povertà. A maggio 2024, la povertà supera l’inflazione come principale preoccupazione. A novembre, l’inflazione è segnalata dal 12 per cento e la povertà dal 21 per cento (figura 7). La stessa rilevazione evidenzia che, nonostante le difficoltà, per la prima volta nel 2024 una maggioranza del 52 per cento degli argentini approva le misure economiche del governo, pur se il 61 per cento dichiara di subirne effetti negativi. Parallelamente, migliorano anche le aspettative riguardo al futuro del paese. A gennaio 2024, il 46 per cento prevedeva un peggioramento per il paese, contro il 29 per cento che si aspettava un miglioramento. A novembre, il 39 per cento si aspetta un futuro migliore e solo il 30 per cento teme un peggioramento. Un andamento simile si osserva a livello personale, con aspettative positive che salgono al 35 per cento e negative che scendono al 21 per cento.
Questi dati suggeriscono che, pur in un contesto di gravi difficoltà sociali, le politiche del governo raccolgono un consenso crescente e influenzano positivamente le aspettative, sia a livello nazionale che personale.
Lezioni dall’Argentina
Insomma, la lezione Argentina è chiara: il “piano Milei” sembra dimostrare quanto si insegna nei corsi base di macroeconomia, ovvero che il lato dell’offerta è importante quanto quello della domanda. E mostra anche che un’autorità fiscale determinata è cruciale nel controllo dell’inflazione quanto una banca centrale autonoma e con target chiaro. La combinazione di shock scelti sembra saggia poiché ha raggiunto due obiettivi contemporaneamente: disinflazione e stabilizzazione macroeconomica. La speranza è che nei prossimi mesi i salari reali proseguano il recupero e che l’economia continui a crescere grazie alle riforme attuate. Tuttavia, la missione non è ancora compiuta: il paese resta in una situazione di forti fratture politiche e sociali e Milei, che ha pochi parlamentari, governa utilizzando la decretazione d’urgenza. Oltre a monitorare l’opinione pubblica attraverso i sondaggi, un test importante ci sarà nell’ottobre del 2025, quando gli argentini saranno chiamati alle urne per rinnovare metà della Camera dei deputati e un terzo del Senato.
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