Occorrono misure correttive per evitare che fattori climatici o epidemie modifichino il regolare andamento dei coefficienti di trasformazione, fino a pregiudicare la sostenibilità e l’equità attuariale del sistema contributivo. La Svezia è un esempio.
Il sistema pensionistico fra lacune ed errori
La riforma Dini del 1995 fu una rozza semplificazione del modello pensionistico che il meno giovane degli scriventi aveva proposto nella prima metà degli anni Novanta e che, nella seconda metà, trovò autonoma applicazione in vari paesi nordeuropei.
Gli errori e le lacune più gravi riguardano i coefficienti di trasformazione, aggiornati ogni due anni e deputati a presidiare la sostenibilità e l’equità del sistema contributivo. Agli errori “strutturali”, discussi qui e qui, se n’è aggiunto uno “occasionale”, che ha indebitamente aumentato i coefficienti del biennio 2023‑2024 nelle misure indicate dalla tabella 1, complice l’effetto della pandemia sulla tavola di sopravvivenza rilevata dall’Istat nel 2021.
Spiegare l’errore è importante per individuare misure atte a evitarne la ripetizione. La spiegazione è complessa, ma può essere semplificata pagando il prezzo di qualche inesattezza.
Cosa sono i coefficienti di trasformazione
In primo luogo, giova ricordare la natura del coefficiente (crescente con l’età al pensionamento) e il metodo per calcolarlo. Riguardo alla natura, il coefficiente è la “pensione unitaria” generata da ciascun euro che concorre al montante contributivo, cioè alla somma dei contributi versati dopo la riforma Dini, rivalutati in base alla crescita media quinquennale del Pil nominale. Ciò spiega perché le quote contributive delle pensioni miste e le ancor poche pensioni interamente contributive sono ottenute moltiplicando il coefficiente per il montante.
Riguardo al calcolo, ai fini presenti si possono ignorare le complicazioni derivanti dalla reversibilità e dagli altri aspetti discussi qui, così da poter dire che il coefficiente è semplicemente ottenuto reciprocando la vita residua, coincidente con la durata della pensione.
Coefficienti e aspettative di vita
Sfortunatamente, la vita residua è sconosciuta per la semplice ragione che la lettura della mano non è affidabile, né esiste una sfera di cristallo dove poterla scoprire. Perciò deve essere stimata. La stima si chiama “aspettativa di vita” ed è basata sui cosiddetti “tassi di sopravvivenza” alle età dal pensionamento in poi, recati dalla tavola Istat più recente.
Nel 2022 l’aspettativa di vita di chi sarebbe andato in pensione nel biennio 2023‑2024 è stata basata sulla tavola rilevata nel 2021. In particolare, per i 61enni è stata basata sui tassi di sopravvivenza indicati dalla tavola per le età da 61 anni in poi. Semplificando, basterà dire che il primo misura in che percentuale i 61enni del 2020, nati nel 1959, sono sopravvissuti fino a compiere 62 anni nel 2021. In altri termini, misura la “capacità” dei nati nel 1959 di sopravvivere un anno al 61esimo compleanno. Analogamente, il secondo tasso misura la capacità dei nati nel 1958 di sopravvivere un anno al 62esimo. Il terzo quella dei nati nel 1957 di sopravvivere un anno al 63esimo, e così via. In sintesi, l’aspettativa di vita di coloro che sarebbero andati in pensione a 61 anni nel biennio 2023‑2024, nati nel 1962‑1963, è stata basata sull’ipotesi che, nei decenni successivi al pensionamento, avrebbero replicato i tassi di sopravvivenza sperimentati nel 2021 dai nati negli anni 1959 e precedenti.
Le conseguenze di tale ipotesi (valida, mutatis mutandis, per ogni biennio e ogni età al pensionamento) sull’obsolescenza dei coefficienti sono discusse qui, mentre lo scopo odierno è quello annunciato nell’introduzione.
I premi alle pensioni decorrenti dal biennio 2023-2024
Nel 2021 i tassi di sopravvivenza furono abbattuti dalla pandemia in tal misura che l’aspettativa di vita a 61 anni prese il valore indicato dalla curva azzurra in figura 1, di gran lunga inferiore al trend crescente che, fra il 1990 e il 2019, aveva fatto guadagnare 4,43 anni al passo di quasi 1,83 mesi all’anno. La menzionata ipotesi della replica equivalse quindi ad assumere che gli andati in pensione a 61 anni nel biennio 2023‑2024 sarebbero stati perseguitati dalla pandemia fino alla fine dei loro giorni. Lungi dall’essere un malaugurio, l’assurdità si è risolta in un premio rappresentato dalla sottovalutazione dell’aspettativa di vita e dalla conseguente sopravvalutazione del coefficiente che ne è il reciproco.
Figura 1 – Aspettativa di vita dal 1990 al 2023 espressa in anni
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L’età di 61 anni non è scelta casualmente. Infatti, è quella media delle pensioni anticipate che ammontano al 60 per cento del totale. La curva rossa mostra che il premio ha riguardato anche le pensioni di vecchiaia, cioè i 67enni anni nati nel biennio 1956‑1957, la cui aspettativa di vita è stata basata, nel 2022, sui tassi di sopravvivenza sperimentati nel 2021 a 67 anni dai nati nel 1953, a 68 anni dai nati nel 1952, a 69 anni dai nati nel 1951, e così via. Perciò il loro premio è superiore, avendo la pandemia colpito soprattutto i più anziani.
A quanto ammontano i premi
I premi hanno implicato costi nel biennio 2023‑2024, ma altri ne implicheranno in futuro fino all’esaurimento delle coorti premiate. Oltre che costosi, sono iniqui nei confronti delle pensioni decorrenti dai bienni limitrofi.
Distintamente per età, le colonne (4) e (5) della tabella 2 stimano la sottovalutazione, assoluta e percentuale, dell’aspettativa di vita confrontando quella assunta dai coefficienti con quella depurata dall’effetto pandemico che si ottiene estrapolando il trend 1990‑2019. La colonna (6) stima la conseguente sopravvalutazione percentuale del coefficiente, pari all’indebita maggiorazione della pensione.
La figura 1 mostra che inferiori al trend restano anche le aspettative di vita del 2023 su cui, nel 2024, sono stati basati i coefficienti in vigore nel biennio 2025‑2026. Anche questi ultimi sono quindi “premianti” benché in misura ridotta.
Come evitare che si ripeta
Al cospetto di shock violenti come quelli subiti dalle aspettative di vita nei primi anni Venti, non c’è altra via che la rinuncia alla revisione dei coefficienti, cioè la conferma di quelli in vigore nel biennio precedente.
Tuttavia, eventi del genere sono improbabili, mentre è certa la continuazione dei micro‑shock generati dalle instabilità climatiche o epidemiologiche che la figura 2 evidenzia in forma di istogrammi. Le divergenze dal trend disturbano il regolare andamento delle aspettative di vita, e quindi dei coefficienti, lasciando al caso l’insensato compito di premiare le pensioni decorrenti da un biennio e penalizzare quelle decorrenti da un altro.
Figura 2 – Shock subiti dalle aspettative di vita espressi in mesi
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Il sistema contributivo svedese evita tali effetti indesiderati basando i coefficienti su aspettative di vita “convenzionali”, ottenute mediando quelle degli ultimi cinque anni.
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