Nel quadro delle nuove regole europee gli impegni presi dagli stati si distribuiscono su più anni. Dunque, le manovre da attuare con le leggi di bilancio annuali hanno margini di azione ridotti. Ma quella del nostro governo è particolarmente asfittica.
Il Dpfp nel quadro delle nuove regole europee
La valutazione del Documento programmatico di finanza pubblica 2025, approvato dal Parlamento il 9 ottobre, deve considerare tanto lo strumento – ossia la completezza e l’affidabilità delle informazioni trasmesse alle Camere – quanto il contenuto – l’adeguatezza delle misure economiche e di finanza pubblica prospettate rispetto al contesto economico e sociale.
Come già evidenziato (qui), la manovra di quest’anno è la prima a essere predisposta nell’ambito del nuovo quadro delle regole di bilancio europee, riformate nell’aprile 2024. L’elemento portante della nuova governance è l’impegno di ciascun paese a mantenere l’evoluzione della finanza pubblica su un sentiero di variazione pluriennale (4-5 anni) della spesa pubblica primaria (al netto di una serie voci e, in particolare, delle spese collegate al ciclo economico e delle entrate derivanti da specifiche decisioni di politica fiscale), tale da mettere nel lungo periodo il debito pubblico lungo un trend permanentemente decrescente. Il sentiero limite della spesa primaria netta è stato fissato per ciascuno degli anni 2025-2029 con il Piano strutturale di bilancio di medio termine (Psb) approvato dal Consiglio della Ue nella primavera scorsa e di regola non può essere rivisto. Pertanto, le manovre da attuare con le leggi di bilancio annuali finiscono per essere, almeno in termini netti, soltanto aggiustamenti “al margine” necessari per riportare l’evoluzione effettiva dell’indicatore di spesa al di sotto dei tetti concordati o, al contrario, per utilizzare spazi di bilancio che dovessero emergere.
Aggiustamenti solo marginali
È in questo ambito che va visto il quadro finanziario complessivo riportato nel Dpfp, nel quale si colloca la manovra di quest’anno. Il confronto (vedi tabella 1, sezione superiore) tra i tetti concordati per l’evoluzione annuale dell’indicatore di spesa e l’andamento tendenziale stimato per gli anni 2025-2028 evidenzia la necessità di un aggiustamento marginale (riduzione della spesa) per il 2026, mentre per il 2027-2028 si aprirebbero margini per una manovra leggermente espansiva. Lo scenario programmatico, quello cioè che include gli effetti della manovra in cantiere, oltre a correggere il lieve deragliamento del 2026, sceglie di utilizzare integralmente nel 2027, e quasi integralmente nel 2028, gli spazi di bilancio disponibili, ma comunque assai limitati. La scelta di collocare i conti pubblici costantemente sul limite, o quasi, dei vincoli fissati con il Psb espone la finanza pubblica al rischio di non disporre di margini sufficienti per far fronte a eventuali shock futuri.
Gli spazi ristretti disponibili per la manovra evidenziati dall’indicatore di spesa si riflettono ovviamente anche sull’indebitamento netto (vedi la tabella 1, sezione inferiore). Anche in questo caso, il confronto tra l’andamento tendenziale e quello programmatico mostra la portata molto limitata della manovra netta (un decimo di Pil nel 2026, due decimi nel 2027 e 2028), che tuttavia resta espansiva in tutti e tre gli anni di previsione, ampliandosi leggermente nel biennio finale. Già nel 2025 l’indebitamento dovrebbe ridursi al 3 per cento, il che consentirebbe, un anno prima di quanto previsto, di uscire dalla procedura per disavanzi eccessivi nella prossima primavera.
Per il 2026 la discordanza tra il segno della manovra secondo l’indicatore di spesa – restrittiva – e secondo l’indebitamento netto – espansiva – potrebbe essere ricondotta alla necessità, richiamata dal ministro Giorgetti in audizione parlamentare, di prevedere spese una tantum determinate da contenziosi europei in corso (rimborso dell’Irap a favore di banche e assicurazioni). Si tratta di spese che incidono sull’indebitamento netto ma, in quanto non ricorrenti, non entrano nella determinazione dell’indicatore di spesa.
Le revisioni del Pnrr
Il disegno della manovra di finanza pubblica si incrocia, tra l’altro, con un altro cantiere aperto delle politiche del governo: l’attuazione del Pnrr e le sue ricorrenti revisioni e rimodulazioni. Il Dpfp precisa che il quadro tendenziale di finanza pubblica tiene conto esclusivamente dell’aggiornamento dei cronoprogrammi di spesa dei progetti finora attuati, mentre gli effetti della revisione del Piano approvata dal governo a fine settembre e in corso di valutazione dalla Commissione europea sono riflessi soltanto nel quadro programmatico. Tutto ciò rileva nella misura in cui gli interventi del Pnrr oggetto di posticipo siano finanziati mediante sovvenzioni Ue – e non invece, prestiti Ue – che, in quanto tali, non entrano nella determinazione dell’indicatore di spesa. È probabile che la crescita tendenziale dell’indicatore di spesa netta per gli anni 2027-2028 sia rallentata proprio dallo slittamento verso quel biennio di spese Pnrr finanziate da sovvenzioni Ue inizialmente previste nel 2025-2026. Ne derivano spazi di bilancio aggiuntivi nella fase finale del periodo di previsione, che coincide proprio con i tempi delle elezioni politiche.
Pochi stimoli alla crescita
Le nuove regole di bilancio europee, che costringono il governo a manovre di impatto netto pressoché nullo (meno di 5 miliardi nel 2027 e 2028), non pongono invece vincolo alcuno sul livello e sulla composizione della manovra lorda. A parità di indebitamento e di dinamica dell’indicatore di spesa primaria – che è calcolato al netto delle entrate derivanti da misure discrezionali – sarebbe infatti possibile aumentare parallelamente il livello di spese ed entrate, nonché rivedere la composizione delle une e delle altre in modo più favorevole alla crescita e all’equità. E invece, anche qui il governo sembra viaggiare con il freno tirato: il Dpfp annuncia che la manovra 2026-2028 dovrebbe attivare maggiori impieghi (maggiori spese o minori entrate) per un ammontare medio annuo intorno a 0,7 punti percentuali di Pil (circa 16 miliardi), meno della metà di quanto previsto, ad esempio, dall’ultima legge di bilancio per il 2025.
Da una manovra, sia netta sia lorda, così asfittica non possono ovviamente derivare stimoli significativi per sollevare l’economia dallo “zero virgola” in cui è nuovamente impantanata (crescita reale dello 0,5 per cento nel 2025, 0,7 per cento nel 2026-2027, 0,8 per cento nel 2028): il quadro macroeconomico programmatico del Dpfp prevede infatti un impulso della manovra alla crescita di appena un decimo di punto percentuale nel 2027 e nel 2028 (vedi qui).
Il Dpfp dedica poche righe all’articolazione della manovra futura. Si accenna a una riduzione del carico sui redditi da lavoro (probabilmente via alleggerimento dell’Irpef), a un nuovo rifinanziamento del Fondo sanitario, a misure di sostegno degli investimenti privati, al proseguimento degli investimenti pubblici. Questi interventi verrebbero finanziati, oltre che con il ricorso al deficit, con misure non specificate di incremento di entrate (per il 40 per cento) e di riduzioni di spese (per il restante 60 per cento). Nulla di più è detto. Tuttavia, il governo si era impegnato con le risoluzioni parlamentari approvate lo scorso settembre a fornire nel Dpfp l’articolazione delle misure e dei relativi effetti finanziari. E invece, anche quest’anno – nonostante che, con il nuovo calendario del processo di bilancio, la presentazione del Dpfp sia stata posticipata rispetto a quella della precedente Nadef – la struttura fondamentale della manovra e i suoi effetti finanziari saranno resi noti prima alla Commissione europea – il 15 di ottobre con il Documento programmatico di bilancio previsto dai regolamenti europei – che al Parlamento nazionale.
Come si inserisce la spesa per la difesa?
In questo scenario, in cui il governo sembra muoversi di conserva, manca però il convitato di pietra, che qui si chiama spesa per la difesa. Il governo – che, come gli altri paesi Nato, ha assunto l’impegno di accrescere la spesa per la difesa al 5 per cento del Pil entro il 2035 – ha deciso di non includere le spese addizionali per la difesa nella finanza programmatica nel Dpfp e quindi nella prossima legge di bilancio. Il Dpfp si limita soltanto a preannunciare un incremento graduale della spesa per la difesa, fino a circa lo 0,5 per cento del Pil entro il 2028 (0,15 nel 2026 e nel 2027, 0,2 punti percentuali nel 2028). E a sottolineare che il rafforzamento della difesa “non comporterà riduzioni delle voci di spesa più orientate alla crescita e al benessere economico e sociale degli italiani, come il sostegno alle famiglie e la sanità”.
Se ne riparlerà a primavera, quando l’Ue darà sperabilmente il via libera all’uscita dell’Italia dalla procedura per disavanzi eccessivi. Sarà allora possibile, sulla base della clausola di salvaguardia nazionale prevista dal piano ReArm Europe, scomputare fino al 2028 le addizionali spese per la difesa dal calcolo dell’indebitamento netto e dell’indicatore di spesa netta entro il limite di 1,5 punti percentuali di Pil. Peraltro, il governo ha recentemente manifestato interesse ad accedere a Safe (Security Action for Europe) – lo strumento finanziario Ue che concederà prestiti ai paesi membri per sostenere il rafforzamento delle loro capacità di difesa attraverso appalti comuni – per ben 14,9 miliardi. Insomma, la vera manovra arriverà allora.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Lascia un commento