Con un’Europa titubante, un’America nel migliore dei casi assente e una Cina assertiva, è difficile aspettarsi risultati storici dalla Cop30 che si apre a fine mese in Brasile. Molte discussioni ruoteranno probabilmente proprio attorno al ruolo di Pechino.

Aspettando Cop30

Mentre il navigatore del negoziato sul cambiamento climatico punta dritto sulla città brasiliana di Belém, dove dal 10 novembre si terrà la Cop30, l’annuale appuntamento internazionale sul clima, è opportuno riassumere gli orientamenti e il posizionamento dei principali attori registrato negli ultimi mesi.

Il negoziato sul clima naviga in condizioni precarie. L’equilibrio costruito con l’Accordo di Parigi vacilla sotto la spinta di una congiuntura politica globale mai così difficile dalla fine del secondo conflitto mondiale, finendo per essere segnato da disimpegno, divisioni interne e ambizioni ridotte. In sintesi, le dichiarazioni e la posizione di Donald Trump, le esitazioni dell’Unione europea sul Green Deal e i nuovi obiettivi climatici annunciati da Xi Jinping compongono un quadro che potrebbe ridefinire significativamente i rapporti di forza della diplomazia ambientale.

Il negazionismo di Trump

Nel suo discorso alle Nazioni Unite del 23 settembre, il presidente americano ha ancora una volta ribadito le sue convinzioni: il cambiamento climatico è “la più grande truffa mai perpetrata al mondo”, mentre le energie rinnovabili non funzionano e rischiano di causare la bancarotta di interi paesi. È appena il caso di ricordare che nel giorno del suo insediamento, il 20 gennaio di quest’anno, Trump aveva firmato un ordine esecutivo che ordinava all’ambasciatore Usa presso l’Onu di presentare immediatamente formale notifica scritta del ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, considerando la revoca della firma e gli eventuali obblighi che ne derivino immediatamente efficaci, nonché notifica del ritiro da qualsiasi accordo, patto o impegno analogo nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc).

L’articolo 28 dell’Accordo di Parigi stabilisce che “il ritiro ha effetto alla scadenza di un anno dalla data di ricevimento della notifica di ritiro da parte del depositario, o a una data successiva eventualmente specificata nella notifica del ritiro”. Gli Usa potrebbero dunque essere presenti a Cop30, anche se il cambiamento della politica statunitense potrebbe concretamente frenare, se non ostacolare, l’impegno globale ad attenuare i cambiamenti climatici.

A parte la retorica apertamente negazionista, il nuovo ritiro dall’Accordo di Parigi riporta gli Stati Uniti in una posizione di isolamento che mina la credibilità dell’intero regime multilaterale con conseguenze non solo simboliche: senza il contributo politico e finanziario di Washington, la capacità di negoziare impegni concreti e di sostenere la finanza climatica globale si riduce drasticamente. Il risultato è un vuoto di leadership che rischia di trasformare il tavolo di Belém in un’arena competitiva più che cooperativa.

L’Unione europea manterrà la leadership?

Da “front runner” del negoziato, l’Unione europea sta pericolosamente perdendo lo smalto del passato. In questa legislatura, altri temi occupano il dibattito e tormentano le notti degli uomini e delle donne di Bruxelles. L’evoluzione del conflitto russo-ucraino, il crescente senso del pericolo sul fianco Est dell’Unione, i dazi di Trump e la concorrenza cinese che già domina comparti industriali cruciali per la transizione energetica (moduli fotovoltaici, batterie, auto elettriche), l’ondivaga e altalenante politica estera americana verso la Russia, l’Ucraina e la Ue stessa dominano l’agenda politica. Tutto ciò ha l’oggettivo effetto di relegare in secondo piano il tema del cambiamento climatico, mentre all’interno della Ue cresce la tensione tra chi vuole accelerare la transizione e chi teme di pagare un prezzo economico e sociale troppo alto. Il Green Deal, in passato bandiera di un’Europa leader nella decarbonizzazione all’interno e all’esterno, oggi è terreno di scontro politico tra coloro che vogliono preservare l’ambizione climatica e coloro che spingono per un rallentamento “realista” all’insegna della crescente divaricazione tra i benefici di lungo periodo delle direttive e regolamenti di riduzione delle emissioni e i costi immediati dell’impatto sull’industria, l’occupazione, i salari e i redditi dei ceti sia bassi che medi. Così, tra l’altro, diventano incerti la data del 2035 per il blocco delle vendite di auto con motori a combustione interna e l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra del -90 per cento al 2040 (rispetto al 1990), mentre già si discute – e si teme – l’effetto sui prezzi dell’energia dell’Ets2, il nuovo meccanismo di scambio dei permessi di emissione per trasporti ed edifici che dovrebbe entrare in vigore nel 2027, dopo che il 90 per cento degli importatori (resteranno assoggettati solo i “grandi” importatori) è stato esentato dal Cbam, la tassa sul carbonio contenuto nelle importazioni di beni da paesi privi di analoga legislazione climatica.

Nel complesso, il timore è che l’Unione europea perda la leadership del negoziato e che la sua reputazione venga indebolita, soprattutto in presenza del concreto rischio che un altro grande paese conquisti quel ruolo: la Cina.

Se Xi Jinping diventa il difensore dell’ambiente

Il presidente cinese Xi Jinping sta spingendo sull’acceleratore del progetto di rafforzamento del Sud globale in contrapposizione ai paesi occidentali, guidato naturalmente dal suo paese, come si è visto prima nel vertice dei paesi del Brics+ a Rio de Janeiro a luglio e ancor più al vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco) a Tianjin in settembre.

In questo quadro va iscritta la risposta del leader cinese alla “truffa” di Donald Trump: intervenendo al vertice delle Nazioni Unite a New York mercoledì 25 settembre, Xi Jinping ha annunciato nuovi target climatici e confermato l’impegno verso la neutralità carbonica. Entro il 2035 la Cina ridurrà le emissioni nette di gas serra dal 7 al 10 per cento rispetto ai livelli di picco “impegnandosi a fare di meglio”. Oltre a ciò, aumenterà la quota di rinnovabili e nucleare sul consumo energetico totale, verrà ampliata la capacità installata di eolico e solare, verrà incrementato il patrimonio forestale, i veicoli elettrici rappresenteranno la principale tipologia di vendita di nuovi mezzi, mentre il mercato nazionale per lo scambio delle emissioni di carbonio verrà esteso a coprire i principali settori ad alte emissioni.

Diverse fonti hanno notato la prudenza e l’ambizione tutto sommato limitata nei numeri e nelle modalità della nuova posizione cinese. Ma non c’è dubbio che di fronte al disimpegno americano e all’incertezza europea, Xi può presentarsi come il garante della continuità e della riaffermata responsabilità nella lotta al cambiamento climatico. In questo modo il leader cinese riuscirebbe a prendere due piccioni con una fava: la riaffermazione di una guida del Sud globale, dove la giustizia climatica e la finanza dell’adattamento sono temi molto sentiti, e la conquista di quel ruolo di campione della lotta ai cambiamenti climatici che l’Unione europea rischia di (o si avvia a?) perdere.

Cosa aspettarsi da Belém

Belém avrà dunque un importante significato geopolitico e non solo climatico. Fare delle previsioni diventa arduo, ma par di potere dire che – al di là del solito tentativo dell’ultimo minuto di salvare la faccia – gli impegni sul fronte della mitigazione e della finanza non faranno molti progressi con un’Europa titubante, un’America assente (sempre che non remi contro) e una Cina assertiva. Forse proprio il ruolo di Pechino animerà alla fine il dibattito tra coloro che guardano alle implicazioni geopolitiche e paventano una leadership anche su questo fronte e coloro che invece accettano di buon grado un primato cinese anche nel negoziato sul clima purché sia sufficientemente ambizioso. Insomma, non importa da chi proviene la spinta purché sia una spinta decisa. Una posizione, quest’ultima, che rischia di rimanere delusa.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!