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Economisti in carriera

I risultati di una ricerca sulle carriere accademiche degli economisti italiani rivelano l’assoluta irrilevanza della qualità o quantità di pubblicazioni e quindi della produttività scientifica in qualsiasi modo essa venga misurata. Un esito inaspettato per un settore a forte internazionalizzazione. Occorre garantire maggiore trasparenza ai processi di selezione degli accademici definendo alcuni requisiti scientifici minimi, misurabili oggettivamente con tabelle non modificabili e predisposte in autonomia dai settori scientifici disciplinari.

Uno degli elementi centrali del dibattito sulla riforma dell’università riguarda le modalità con le quali avviene il reclutamento del personale docente. Le varie iniziative di riforma che si sono succedute a partire dagli anni Ottanta non sembrano aver contribuito a una maggiore meritocrazia e chiarezza se ancora oggi il reclutamento è lo scoglio principale sul quale i progetti di cambiamento sembrano infrangersi.

La letteratura

La nostra ricerca sembra confermare il giudizio negativo già emerso nei lavori di Daniele Checchi (2002) e Roberto Perotti (1999) sulle dinamiche dei concorsi universitari. L’analisi ha come oggetto i percorsi di carriera degli accademici italiani che rientrano nel gruppo disciplinare dell’economia politica, scelto perché tra i più esposti a fenomeni di internazionalizzazione. La nostra ipotesi implicita era che un settore a forte internazionalizzazione e caratterizzato da un approccio empirico rigoroso potesse rappresentare un contesto ideale per l’emergere nel tempo di una maggiore meritocrazia.
L’analisi accurata dei processi di selezione del personale docente rappresenta una tradizione di ricerca importante nel contesto sociologico e organizzativo d’oltre oceano, ma non ha trovato spazi rilevanti nell’accademia italiana.
La letteratura alla quale facciamo riferimento è di natura empirica e si basa sulla ricostruzione completa del percorso accademico e scientifico a partire dall’ottenimento del titolo di PhD. Questo richiede la costruzione di ampi dataset di natura longitudinale che rilevano per ogni individuo i dati salienti sulla carriera pregressa e che si prestano ad analisi di eventi. La maggior parte degli studi esaminati nella nostra rassegna della letteratura si concentra sui settori scientifici di punta nelle istituzioni accademiche statunitensi e ha dato luogo a due approcci contrapposti:
la teoria universalista presuppone che il merito e la produttività rappresentino i fattori determinanti il successo accademico;
la teoria particolarista, invece, ipotizza un ruolo fondamentale di elementi quali le relazioni, il prestigio dell’istituzione di provenienza o il caso.
Diversi studi hanno confermato l’approccio particolarista, rilevando l’importanza del prestigio dell’istituzione di provenienza, dello sponsor e talvolta anche l’effetto del caso (Hargen and Hagstrom, 1967). Altri autori, ad esempio Rosenfeld and Jones (1987), al contrario hanno riscontrato una relazione positiva tra produttività e carriera sebbene limitata ai primi sei anni successivi al dottorato di ricerca. In conclusione, la ricerca empirica ha fornito risultati contradditori nel caso delle scienze cosiddette dure e nel contesto nord-americano.

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La ricerca

La nostra ricerca ha analizzato una popolazione composta dai 1.231 economisti (settori disciplinari da SECS-P/01 a SECS-P/06) presenti sul sito del ministero dell’Università e della ricerca scientifica suddivisi tra ricercatori (216 – 17,5 per cento), associati (433 – 35,2 per cento) e ordinari (582 – 47,3 per cento). Tutti i docenti sono stati contattati a più riprese per recuperare le informazioni rilevanti. Qualora non fosse disponibile un curriculum vitae, abbiamo cercato di ricostruire almeno gli eventi di carriera. Lo sforzo di raccolta dei dati ha condotto a un campione finale di 372 docenti (rispettivamente 10,7 per cento ricercatori; 36,0 per cento associati e 53,3 per cento ordinari). I dati così ottenuti sono stati codificati creando degli indicatori di produttività multipli. Accanto al numero delle pubblicazioni per tipo e per anno, abbiamo creato un indice annuale di rilevanza delle pubblicazioni stesse sentito il parere di esperti del settore.

Nella tabella riportiamo i dati di sintesi del nostro campione per i professori ordinari.

Variabile

Obs

Media

Std. Dev.

Min

Max

Evento (dummy: 1 = promozione)

1868

.0829764

.2759205

0

1

Età all’evento

1799

50.01112

8.147411

30

67

Phd (dummy: 1 = sì)

1839

.3882545

.4874856

0

1

Sesso (dummy: 1 = femmina)

1868

.243576

.4293547

0

1

Mobilità geografica (dummy: 1 = spostamento in una nuova città)

1821

.2888523

.4533536

0

1

Anzianità nella posizione

1868

12.32227

6.662416

0

38

Valore pesato delle pubblicazioni

1861

2.751746

4.609207

0

46

Numero delle pubblicazioni

1861

1.304138

1.850292

0

15

Indice di pubblicazione

1861

1.189654

1.447656

0

10

Di seguito invece i dati per i professori associati

Variabile

Obs

Media

Std. Dev.

Min

Max

Evento (dummy: 1 = promozione)

2303

.1298307

.33619

0

1

Età all’evento

2231

43.27835

7.53179

29

64

Phd (dummy: 1 = sì)

2256

.4534574

.4979394

0

1

Sesso (dummy: 1 = femmina)

2303

.2848459

.451439

0

1

Mobilità geografica (dummy: 1 = spostamento in una nuova città)

2195

.4068337

.4913553

0

1

Anzianità nella posizione

2303

4.446374

4.274626

0

24

Numero di professori ordinari promossi

2290

5.735371

7.166424

0

33

Valore pesato delle pubblicazioni

2295

2.607407

4.412339

0

46

Numero delle pubblicazioni

2295

1.237037

1.784249

0

15

Indice di pubblicazione

2295

1.162311

1.438368

0

10

I risultati dell’analisi statistica rivelano l’assoluta irrilevanza della qualità o quantità di pubblicazioni e quindi della produttività scientifica in qualsiasi modo essa venga misurata, rafforzando l’ipotesi particolarista nel caso italiano.
Per lo più in linea con i risultati presenti nella tradizionale letteratura sulle carriere appaiono quelli relativi alle altre variabili indagate: età, anzianità, sesso e mobilità.
La nostra aspettativa era completamente diversa. Avevamo scelto questo segmento della popolazione universitaria perché ci aspettavamo di trovare legami significativi e forti tra produttività e carriera. Il risultato ci lascia perplessi.
Come sempre, può trattarsi di un qualche problema metodologico al quale cercheremo di ovviare. Ma segnala con maggiore urgenza che la riforma del reclutamento universitario deve affrontare un tema prioritario, ovvero definire requisiti scientifici minimi e misurabili oggettivamente con tabelle predisposte in autonomia dai settori scientifici disciplinari, e non modificabili se non in archi temporali medio-lunghi.
Una volta chiarito il valore di diversi prodotti della ricerca in modo univoco, starà ai singoli ricercatori decidere come investire il loro tempo sapendo che esistono soglie minime non derogabili. Dopo di che, come accade anche all’estero, il fisiologico spazio per la cooptazione continuerà a esserci, ma solo su candidati realmente in gamba.

Per saperne di più

È possibile richiedere agli autori il loro working paper “Career Mobility in Italian Academia: in Search of Antecedents“.

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  1. Alessandro Figà-Talamanca

    Avete provato a fare una ricerca comparativa? Ad esempio facendo uno studio il più possibile identico sulle promozioni dei professori francesi (che appartengono come i nostri a due fasce, oltre la classe eccezionale) Più difficile, ma certamente foriero di sorprese, sarebbe uno studio sulle promozioni negli SU, prendendo in esame ad esempio tutte le università che offrono studi di livello “graduate” in Economia, o almeno tutte quelle che offrono un Ph.D. Un confronto, come si fa di solito, e sulla base di impressioni, con le migliori 10 università degli SU non avrebbe senso.

    • La redazione

      Il lavoro attuale non aveva obiettivi comparativi. eravamo
      interessati ad analizzare gli impatti delle diverse strutture
      concorsuali sulla dinamica di carriera. Tuttavia, allo stato attuale non appare che i mutamenti intercorsi abbiano dato un contributo rilevante all’incremento della meritocrazia. Va detto che stiamo ancora lavorando su un raffinamento della strategia di analisi empirica. I riferimenti teorici alla letteratura US sono pertanto legati alla formulazione delle ipotesi e alle strategie di analisi empirica, non alla comparazione tra sistemi. L’idea di osservare un sistema
      articolato in maniera simile è suggestiva. L’unico ostacolo che vedo è la raccolta dei dati. Mi chiedo se l’osservazione nasca da una conoscenza di specifiche fonti che potremmo essere molto interessati a recuperare. In tal caso ti preghiamo di contattarci.

  2. paolo bertoletti

    Purtroppo non sono molto sorpreso dal risultato della ricerca, ma mi preoccupa la vostra proposta di definire per legge, se ben capisco, in sede di riforma dell’ordinamento universitario relativo ai concorsi, “requisiti scientifici minimi e misurabili oggettivamente con tabelle predisposte in autonomia dai settori scientifici disciplinari, e non modificabili se non in archi temporali medio-lunghi”.
    Il problema è che una definizione ottenuta per legge e che dovrebbere valere per tutti gli atenei e per tutti i candidati mi sembra impossibile da realizzare: temo cioè che burocratizzerebbe inutilmente (e costosamente) il processo di selezione (l’attuale esperienza del ministero con i requisiti minimi (bisognerebbe dire infimi) didattici mi sembra per inciso imbarazzante). Quello che si deve fare è responsabilizzare ex post le scelte autonome delle sedi universitarie (dipartimenti, facoltà e atenei): per fare questo è invece ragionevole che il Ministero (o un’eventuale autorità indipendente) possa utilizzare dei criteri bibliometrici quali quelli che, mi pare, voi proponete.

    • La redazione

      comprendo che ogni istanza di centralizzazione in un sistema
      altamente burocratico e con scarse competenze specifiche negli organi ministeriali si può tradurre solo in un sistema inceppato.
      Condivido l’ipotesi di responsabilizzare ex-post mantenendo
      l’autonomia decisionale delle sedi decentrate, ma ritengo che non rappresenterebbe un ostacolo insormontabile obbligare i settori scientifici-disciplinari a identificare una lista di riviste in ordine di rilevanza scientifica e un sistema di pesi per valutare le pubblicazioni scientifiche con un relativo livello minimo necessario. la discrezionalità si eserciterebbe sulla valutazione di merito e sull’integrazione della valutazione di altre attività didattiche e scientifiche, nel frattempo tutti saprebbero che cosa è considerato meritevole e cosa non lo è.

  3. Alessandro Figa'Talamanca

    No, non ho suggerimenti per fonti alternative. Il mio commento, ingenuo, deriva dalla mia impressione che, almeno nell’area che conosco (la matematica), “tutto il mondo e’ paese”. In altre parole i criteri di promozione, comprendono nei fatti, anche se talvolta non di diritto, l’anzianita’, il servizio didattico reso, l’impegno organizzativo, ecc. ecc. La mia impressione e’ che uno dei difetti principali del sistema italiano e’ che questi criteri non vengono chiaramente alla luce e si prestano quindi a falsificazioni. Una vita accademica malvissuta finisce per rendere, con la commissione giusta, che fa finta di prendere in considerazione solo la produzione scientifica, quanto un vero impegno a favore degli studenti e dell’universita’. In matematica, poi, in Italia, succede spesso che l’anzianita’ di ottimo servizio didattico, anche di alto livello (ad esempio curando i laureandi piu’ bravi, ed indirizzandoli a continuare gli studi altrove, come i “baroni” raramente fanno) non venga affatto premiata.
    Mi sembra invece che in altri paesi, ad esempio la Francia, un sistema di promozioni meno “drammatico”, e quindi piu’ umano, consenta di prendere in considerazione esplicitamente questi criteri. Forse e’ l’esistenza dei “professeur de classe exceptionelle” (cui non si fanno sconti per la ricerca) che fa la differenza.

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