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E LA CHIAMANO RIFORMA

La scuola secondaria italiana ha bisogno di un’opera di razionalizzazione. Il riordino presentato dal ministro Gelmini riesce certamente a garantire un risparmio di spesa pubblica perché prevede una diminuzione dell’organico. Dubbi maggiori si hanno sulla sua efficacia nell’innalzare il livello medio degli apprendimenti o nel ridurne la varianza territoriale. Soprattutto, si riafferma in modo netto la differenziazione tra licei e istituti professionali. Invece di promuovere l’uguaglianza delle opportunità, si opta per la chiusura verso le aspirazioni di ascesa sociale.

La recente riforma degli ordinamenti della scuola secondaria promossa dal ministero dell’Istruzione può essere analizzata seguendo due chiavi di lettura, che vengono riaffermate come principi generali in apertura di ciascun progetto di riordino: “(…) volti ad una maggior razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili, tali da conferire efficacia ed efficienza al sistema scolastico”. (1)

L’EFFICIENZA E L’EFFICACIA A SCUOLA

Che il sistema scolastico secondario, sia del primo che del secondo ciclo, abbia bisogno di un’opera di razionalizzazione, è opinione largamente diffusa, essendo a tutt’oggi mancato un riordino della stratificazione di sperimentazioni cumulatesi nel tempo per l’incapacità dei legislatori precedenti di arrivare a una riforma condivisa degli assetti. Il numero degli indirizzi esistenti nella scuola secondaria del secondo ciclo è nettamente sovradimensionato e rappresenta una delle cause del più basso numero di studenti per docente che la caratterizza in rapporto alla media dei paesi Oecd: 11 studenti per docente contro una media di 12,6 degli altri paesi. (2)
Nel linguaggio aziendalistico “razionalizzare l’utilizzo delle risorse umane” suole indicare lo spostamento di persone da mansioni o comparti dove sono meno produttivi a collocazioni dove sono più produttivi. In questo modo si può ottenere maggior produzione a parità di risorse impiegate, oppure la stessa produzione con un minor utilizzo di risorse. In entrambi i casi, si ottiene un abbassamento del costo di produzione per unità di prodotto, che rimane uno degli indicatori principali di efficienza. Che questo sia probabilmente l’imperativo principale che guida il ministero dell’Istruzione lo possiamo desumere, tra l’altro, dal rinvio della bozza di riordino al Dl 25/6/2008 n. 112, convertito in legge 6/8/2008 n.133, meglio noto come “decreto Tremonti”.
E infatti gli interventi principali del riordino sono sostanzialmente due: ridefinizione di un numero massimo di indirizzi per tipologia di scuola: sei per i licei – di cui quello artistico articolato in tre sottoindirizzi – contro gli attuali dieci; undici per gli istituti tecnici contro i quarantatré attuali; sei per gli istituti professionali contro i trentuno attuali. E riduzione dell’orario di insegnamento: nei licei scende a 27 ore settimanali nel primo biennio, per un totale annuo di 891 ore annue, e a 31 ore nel successivo triennio, pari a 1023 ore annue. Per istituti tecnici e istituti professionali l’orario diventa di 32 ore settimanali, pari a 1.056 ore annue: la corrispondente media Oecd a 15 anni nei programmi curriculari oscilla tra 971 ore nei programmi più esigenti e 890 ore per quelli meno esigenti. (3)
Entrambi gli interventi vanno sicuramente nella linea dei risparmi di bilancio della pubblica amministrazione. Ma le riduzioni di organico potranno migliorare anche l’efficacia della spesa, l’altro obiettivo che almeno a parole sembra interessare il ministero dell’Istruzione? Questo dipende da quali effetti si potranno produrre sugli apprendimenti degli studenti.
Sappiamo infatti che per quanto riguarda gli apprendimenti l’Italia soffre di due mali relativamente antichi. Le analisi internazionali ci segnalano che nella nostra scuola secondaria il livello medio degli apprendimenti è basso, sia nelle indagini Timss che Pisa, mentre la varianza territoriale è molto alta, in particolare tra regioni settentrionali e regioni meridionali.
Le stesse indagini internazionali sono però spesso avare di indicazioni chiare sulle ricette che spieghino il successo dei paesi in cima alle graduatorie. Sappiamo che uno degli elementi cruciali è la comparabilità orizzontale degli esiti degli apprendimenti, o attraverso un esame finale gestito centralmente o attraverso lo svolgimento di test periodici (si veda per esempio al riguardo la proposta avanzata al ministro dell’Istruzione.  Sappiamo che un secondo elemento è legato al grado di competizione esistente tra le scuole. Più incerti sono invece i risultati relativi alla presenza o assenza del settore privato nell’istruzione. Sappiamo infine che i sistemi scolastici che funzionano meglio sono quelli capaci di attrarre nella professione docente gli studenti migliori che escono per ogni coorte di età. Alla attrattività della professione contribuiscono diversi elementi: la retribuzione in primis, ma anche il tempo di attesa per l’ingresso, le modalità di selezione, la formazione all’ingresso, l’aggiornamento periodico, il carico di lavoro, la verifica periodica e, non meno importante, il prestigio sociale goduto dalla professione (si veda il saggio con Giuseppe Bertola sugli insegnanti). Sappiamo infine che le correlazioni esistenti tra apprendimenti, numerosità degli insegnanti e dimensione media delle classi sono ambigue, perché dipendono da una molteplicità di fattori, quali organizzazioni curriculari, orari di insegnamento, strutture di supporto.

RIBADITA LA TRADIZIONE GENTILIANA

Di tutti questi temi non si trova traccia nei progetti di riordino varati dal Consiglio dei ministri. Viene quindi da domandarsi quali siano le strategie del ministero in merito, e perché abbia scelto proprio questo momento per varare una riforma che, sulla base delle conoscenze esistenti (quanto meno di chi scrive) ha, nel migliore dei casi, la possibilità di non fare danni al livello degli apprendimenti. Stupisce per altro l’assoluta mancanza di dibattito pubblico che invece ha generalmente accompagnato interventi di questo tipo, considerati nel nostro paese qualcosa di simile a un bene pubblico. (4)
A voler peccare di dietrologia, sorge il sospetto che il ministero dell’Istruzione avesse due obiettivi: da un lato, soddisfare l’aspettativa del ministero dell’Economia di riduzione degli organici, intervento che ovviamente non era realizzabile a ordinamenti esistenti. Dall’altro, ribadire la continuità con la tradizione gentiliana di una scuola secondaria che ha nella sua mission la riproduzione della stratificazione sociale.
È illuminante a questo proposito la lettura dell’articolo 2 di ciascun progetto di revisione, relativo all’identità del tipo di scuola. Gli studenti dei licei devono acquisire le capacità critiche necessarie per poter svolgere in autonomia compiti di responsabilità. (5) Gli studenti degli istituti tecnici devono focalizzare le proprie competenze ai fini di una rapida applicabilità nel mondo del lavoro. (6) Così come gli studenti degli istituti professionali devono limitarsi alla dimensione operativa delle proprie conoscenze. (7) Coerentemente con questo assetto, la valutazione e il monitoraggio degli apprendimenti verrà seguito dall’Invalsi per i primi e dall’Isfol per i secondi e i terzi.
Tuttavia la letteratura esistente (8) mette in luce come la stratificazione del sistema scolastico secondario (ovverosia la separazione degli studenti in curricula distinti, sulla base delle capacità e delle aspettative degli studenti e/o delle loro famiglie) tenda a peggiorare il livello degli apprendimenti degli studenti. Anche immaginando che l’assegnazione degli studenti sia basata su principi strettamente meritocratici (ovverosia gli studenti migliori vengano indirizzati verso i licei, gli studenti con capacità intermedie vadano agli istituti tecnici e quelli meno capaci siano orientati verso gli istituti professionali)(9), non è chiaro quali siano gli effetti che si producono sul livello medio degli apprendimenti. Da un lato infatti coloro che finiscono in percorsi professionali ricevono una formazione scolastica che rende molto improbabile la loro prosecuzione a livello terziario. Dall’altro, nella misura in cui l’effetto di interazione con i propri compagni (peer effect) influenzi il processo di apprendimento, gli studenti si troveranno esposti ad ambienti molto diversificati, che tendono ad ampliare le differenze originarie di potenzialità. Coloro che frequentano i licei (che con maggior probabilità sono figli di genitori laureati) si troveranno in compagnia (cooperativamente e/o competitivamente) di studenti con potenzialità analoghe alle loro. E simmetricamente, coloro che frequentano gli istituti professionali, si misureranno con stili di comportamento scolastici molto simili ai propri.
Tanto più precoce è la scelta dell’indirizzo scolastico, tanto più forti si rivelano questi effetti di potenziamento per chi sceglie l’indirizzo accademico e di scoraggiamento per chi sceglie l’indirizzo professionale. Se a questo si aggiunge che la scelta in età precoce viene in massima parte determinata dall’ambiente familiare, ci si rende conto di come la stratificazione del sistema scolastico secondario sia associata nei confronti internazionali ad un minor livello medio di apprendimento, ad una sua maggior dispersione e ad una maggior persistenza intergenerazionale degli effetti dell’ambiente familiare. Per queste ragioni nel corso degli anni ’70 in diversi paesi (Svezia, Finlandia, Gran Bretagna) si avviò un processo di progressiva destratificazione (detracking) che andava sostituendo agli indirizzi differenziali un segmento unitario di formazione scolastica a livello secondario. Gli effetti di tali politiche segnalano un incremento della scolarità media, una riduzione dei divari degli apprendimenti, così come un aumento del grado di partecipazione sociale da parte delle popolazioni coinvolte. In Italia fu approvata dal parlamento nel 2000 una legge di riforma della scuola secondaria che andava nella stessa direzione con l’introduzione di un biennio unificato (la cosiddetta riforma Berlinguer-DeMauro), la cui attuazione fu però bloccata per la mancata emanazione dei decreti attuativi da parte del successivo Ministro Moratti.
Vale allora la pena di domandarsi quale possa essere l’ordinamento scolastico più opportuno per la società italiana corrente. Da un lato i dati sugli apprendimenti segnalano un preoccupante divario nei livelli di apprendimento non solo a livello territoriale, ma anche per tipologia di scuola frequentata. A questo bisognerebbe aggiungere che la società italiana ha espresso negli anni più recenti una domanda crescente di istruzione post-secondaria, anche per effetto delle riforme che si sono realizzate a livello universitario (link ad articoli Bratti-Checchi-Deblasio e Leonardi-Fiorio). In questo senso, il riaffermare in modo netto la differenziazione degli indirizzi desta motivi di preoccupazione, in quanto sicuramente non contribuisce a ridurre la varianza degli apprendimenti per gli studenti delle scuole secondarie, e nel contempo rischia di porre un tetto alla espansione della domanda di istruzione terziaria. Quest’ultimo risultato potrebbe essere desiderabile se le politiche di accesso rispettassero un principio di uguaglianza nelle opportunità di accesso. Se invece questa riduzione si scaricasse principalmente sugli studenti frequentanti gli istituti professionali, occorrerebbe preoccuparsi per il rafforzamento delle diseguaglianze intergenerazionali.
In questo senso sembra rintracciarsi un filo rosso tra le proposte di riordino della scuola secondaria e le politiche di riduzione dei finanziamenti all’università (link ad articolo Checchi-Jappelli), seguendo gli orientamenti espressi dal ministero dell’Economia. Lo stesso ministro dell’Economia aveva infatti apertamente dichiarato in un’intervista alla Padania del 13 agosto 2008  (ribadendolo in un successivo articolo sul Corriere della Sera il 22/8/2008 (10)) che la malattia della scuola italiana fosse da rintracciare nella pretesa egualitarista introdotta con il 1968 (simbolicamente rappresentato dalla canzone “Contessa” di Paolo Pietrangeli dove ci si lamenta del fatto che “anche l’operaio vuole il figlio dottore”).
Il problema di fondo resta quindi quello della diagnosi che si ritenga appropriata per la società italiana. Se si ritiene che essa sia caratterizzata da un eccesso di egualitarismo e da una adeguata fluidità sociale, allora sono auspicabili politiche che rafforzino la differenziazione sociale, ivi incluso il rafforzamento della stratificazione degli indirizzi della scuola secondaria. Se invece si ritiene che i dati suggeriscano una diseguaglianza eccessiva nel nostro paese e/o una elevata immobilità sociale, allora potremmo esprimere una fondata preoccupazione della riforma prevista nella scuola secondaria.

(1)Comma 1 dell’art.1 dello schema di regolamento “revisione dell’assetto ordinamentale e didattico dei licei” – versione del 1/6/2009. Testo identico compare come comma 1 dell’art.1 dello schema di regolamento recante norme concernenti il riordino degli istituti tecnici – versione del 13/5/2009 e dello schema di regolamento recante norme concernenti il riordino degli istituti professionali – versione del 13/5/2009.
(2) Oecd 2008, Education at a glance, indicatore D2.
(3) Oecd 2008, Education at a glance, indicatore D1
(4)Si veda al riguardo la ricostruzione di alcuni momenti topici nel saggio di Adolfo Scotto di Luzio, La scuola degli italiani, Mulino 2008.
(5)“I percorsi liceali forniscono allo studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita della realtà, affinché egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi, ed acquisisca conoscenze, abilità e competenze sia adeguate al proseguimento degli studi di ordine superiore, all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro, sia coerenti con le capacità e le scelte personali” (art. 2 comma 2 dello schema di regolamento recante “Revisione dell’assetto ordinamentale e didattico dei licei” – versione dell’1/6/2009 – sottolineature mie).
(6)“L’identità degli istituti tecnici si caratterizza per una solida base culturale di carattere scientifico e tecnologico (…) costruita attraverso lo studio, l’approfondimento e l’applicazione di linguaggi e metodologie di carattere generale e specifico ed è espressa da un limitato numero di ampi indirizzi, correlati a settori fondamentali per lo sviluppo economico e produttivo del Paese, con l’obiettivo di far acquisire agli studenti, in relazione all’esercizio di professioni tecniche, i saperi e le competenze necessari per un rapido inserimento nel mondo del lavoro, per l’accesso all’università e all’istruzione e formazione tecnica superiore”. (art. 2 comma 1 dello schema di regolamento recante norme concernenti il riordino degli istituti tecnici – versione del 13/5/2009 – sottolineature mie).
(7)“L’identità degli istituti professionali si caratterizza per una solida base di istruzione generale e tecnico-professionale, che consente agli studenti di sviluppare, in una dimensione operativa, i saperi e le competenze necessari per rispondere alle esigenze formative del settore produttivo di riferimento, considerato nella sua dimensione sistemica.” (art. 2 comma 1 dello schema di regolamento recante norme concernenti il riordino degli istituti professionali – versione del 13/5/2009 – sottolineature mie).
(8)  Si vedano per esempio Hanushek, E. e Wößmann, L. (2006), Does Educational Tracking Affect Performance and Inequality?, Economic Journal 116: C63-C76, e anche G.Brunello e D.Checchi 2006 "Does School Tracking Affect Equality of Opportunity? New International Evidence", IZA Discussion Paper No. 2348/2006 (versione rivista pubblicata in Economic Policy 2007, 52: 781-861). Sugli effetti della stratificazione scoalstica sul grado di civicness dei cittadini si veda van de Werfhorst, H.G. 2007. Vocational Education and Active Citizenship Behavior in Cross-National Perspective. AIAS working paper 2007-62, Amsterdam: University of Amsterdam.
(9) Che questo non sia il caso della scuola italiana, in confronto per esempio con il sistema tedesco (che pure separa gli studenti ad una età ancora più precoce) è studiato nel capitolo “Mobilità intergenerazionale e decisioni scolastiche in Italia” (coautorato con Luca Flabbi) in “Sistema scolastico e disuguaglianza sociale. Scelte individuali e vincoli strutturali”, Mulino 2006 (curato con Gabriele Ballarino).
(10) “A me sembra che quello della scuola italiana si presenti come un mondo fatto al contrario. Un mondo in cui non è la scuola a servire le famiglie, ma il “kombinata buro-scolastico” a servirsi di loro salassandole per sopravvivere esso stesso. Una volta c’era un maestro per tre classi. Adesso ci sono tre mebri per una classe. Era meglio prima o è meglio adesso ? È una kombinata che si nutre con le tasse e che lavora contro le famiglie: più figli hai, più sei costretto a pagare la tassa odiosa e impropria dei libri “nuovi” che ti costano ogni anno centinaia di euro. Forse anche questa, a favore dei “vecchi” voti e contro i “nuovi” libri è una frontiera di quel cambiamento che la gente chiede. Un cambiamento che non è un salto nel vuoto, come nel ’68, ma un ritorno al passato. Al buon senso e alla logica, ai valori e alle tradizioni di un passato che deve e può tornare”.


 [dc1]ho inviato il documento da linkare in questo punto.

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23 commenti

  1. Lettore attento

    Sono largamente d’accordo con l’autore e, per uleriormente rafforzare quanto esposto, ricordo alcune cose: 1. Si è parlato dei pessimi risultati della scuola ma la regione FVG è classificata al 3° posto mondiale dopo Finlandia e Giappone e con lo stesso ordinamento del Sud (che sia per la scarsa presenza dello Stato e per la criminalità organizzata poco contrastata?) 2. Non so se sia meglio il modulo o l’insegnante unico certo che il problema nasce principalmente (Libro Bianco su riforma PA) dal numero eccessivo di sedi (dura litigare con regioni e comuni sui bimbi piccoli?). 3. Pur riducendo le ore, le materie sono rimaste troppe e la frammentazione dell’ultima ora ha innalzato notevolmente le opzioni alle secondarie di secondo grado (bisognava litigare con l’Università per le lauree con sbocco principalmente scolastico? Bisognava spendere per riconvertire i docenti?). Nell’insieme la manovra appare coordinata tra Brunetta e Tremonti (con Gelmini a far da spalla)per tagliare la spesa aizzando la gente contro gli insegnanti (dimenticassero mai di rompere le scatole ai politici?).

  2. Marino

    Delle due l’una: o l’elettorato popolare di riferimento della ministro è masochista e apprezza che ai propri figli venga ridotta la possibilità di mobilità sociale, o ha il mito dell’andare a lavorare in fabbrica a 16 anni, stile Nord-Est. Poi che faranno, manderanno le ronde a caccia agli ingegneri indiani che dovranno importare? Raccapriccianti le dichiarazioni del ministro sul kombinat e i libri nuovi: scarpe, vestiti e telefonini vanno bene, spendere per i libri…che orrore, signora mia…"Fijoli miei, li libri nun so’ robba da cristiani, nun li leggete" Ma Belli non era di Roma ladrona?

  3. Marcello Battini

    E’ indubbio che la mobilità sociale non è peculiare alla società italiana, come del resto, non lo è la mobilità fisica (trasporti pubblici ed affitti d’alloggi a prezzi popolari). Il profitto scolastico, in ogni caso, è irrilevante. Se la riforma Gelmini, riuscirà a ridurre gli sprechi nel settore, dobbiamo tutti esserne lieti. Speriamo che gli sprechi si possano ridurre rapidamente anche in altri settori della vita pubblica. L’accrescimento della mobilità sociale, al quale sono molto sensibile, deve essere affrontato con una manovra corale, che parta dalla scuola, come ogni riforma, ma prenda in considerazione, contemporaneamente e coerentemente, molteplici aspetti della vita collettiva (ad esempio: giustizia, criminalità organizzata, speculazioni, etc.) perché, in caso contrario, come già avvenuto, il tutto si risolverebbe in una grande e poderosa prese in giro dei cittadini.

  4. Bruno Stucchi

    Si da’ per scontato che i docenti siano competenti. Non è sempre così. Da una scuola zoppa escono docenti gobbi (qualche volta).

  5. Rossi Giovanni

    Trovo l’articolo assolutamente mirable perchè evidenzia in modo analitico e lucido il disegno che stà dietro al progetto e cioè che i figli appartenenti ai ceti sociali più ricchi, continuino ad occupare ruoli egemoni, indipendentemente dai propri meriti o capacità; questa situazione è ben evidente nel mondo delle professioni, in cui gli studi dei soci vengono ereditati dai figli; a quasi trentanni dalla mia laurea in Ingegneria, io figlio di un operaio non potrei ripercorrere lo stesso cammino.

  6. giuseppe

    L’articolo coglie perfettamente il nocciolo della questione, la riforma ha due obiettivi: la riduzione dei costi a prescindere dalla qualità, e la volontà di tenere "al proprio posto" chi non ha possibilità economiche. Faccio un esempio: la media degli insegnanti delle scuole superiori è di circa 52 anni, il taglio di organico riguarderà soprattuto i docenti più giovani e anche più motivati ( soprannumerari e precari ), per cui le scuole saranno piene di docenti sulla soglia della pensione. Immaginatevi un’azienda, la quale, anzicchè puntare sui prepensionamenti licenzia quelli più giovani. Naturalmente Tremonti non lo consiglerebbe mai ad un suo cliente, diverso se si tratta di servizio pubblico. Per cui c’è una frase nell’articolo che non condivido "nel migliore dei casi, la possibilità di non fare danni al livello degli apprendimenti", purtroppo non sarà così.

  7. Carlo

    L’articolo è un mirabile esempio della demagogia che ha rovinato la scuola e la società italiana negli ultimi sessanta anni, con un pizzico (abbondante) di malafede contro il governo in carica che di certo non guasta. Si dà per scontato che mantenere la differenza fra Licei, Istituti tecnici e Istituti professionali abbia come obiettivo bloccare la mobilità sociale. Si può facilmente argomentare che una vera mobilità sociale basata sul merito (e non sulle amicizie e connessioni della famiglia di origine) vede in una scuola rigorosamente selettiva un elemento imprescindibile. E non c’è dubbio che per ragazzi dai 14 ai 18 anni una vera selezione deve necessariamente prevedere percorsi differenziati sulla base delle attitudini, dell’impegno e dei risultati ottenuti. Una scuola unificata – in base al livello al quale si ponesse lo standard – finirebbe o col mortificare le possibilità dei migliori o con l’escludere i meno bravi. Si dimentica poi che il sistema educativo italiano prevede sempre la possibilità di passare da un percorso all’altro e che l’iscrizione all’università è aperta ai ragazzi provenienti da tutte le scuole superiori.

  8. Gaetano Criscenti

    La riforma dei licei si propone di consolidare , modernizzandolo lo stretto indispensabile il modello gentiliano: fatto non solo di scuole per le elite e scuole preparatorie per il lavoro, ma di totale separazione tra il pensiero- i licei – e la manualità – tecnici e professionali-. Il fatto di non aver aperto alcuna discussione sul tema, il non essersi interessata a ciò che avviene fuori la porta di casa, il non aver voluto rifletter nemmeno per un attimo sulla possibilità delle scuole comprensive – quelle, per intenderci che hanno in se tutte o quasi le possibilità di approfondimento e specializzazione e che a partire da alcune materie comuni, fanno sviluppare ad ogni studente un percorso individuale – che offrono anche vantaggi sotto l’aspetto economico e per quanto riguarda la possibilità dell’alunno di modificare una scelta di indirizzo senza perdere anni di studio. I partiti che compongono l’attuale maggioranza si dichiarano liberali e modernizzatori, nonché rivoluzionari… mi sa che hanno il gusto della battuta umoristica!

  9. AMSICORA

    Vorrei, se possibile, rispondere brevemente a chi mi ha preceduto. 1- sarà sicuramente un mio limite, ma non capisco cosa c’entri la "riforma Gelmini"con la riduzione della possibilità di mobilità sociale, che non dovrebbe consistere nel dare il "pezzo di carta" a tutti, ma in un sistema di borse di studio abbondanti e non miserevoli come quelle attuali (è stata fatta un’ottima cosa in merito in Sardegna). 2- Non capisco (come sopra) inoltre cosa ci sia di male nell’andare a lavorare in fabbrica a 16 anni, "stile Nord-Est": ricordo che il tanto vituperato Nordest è la locomotiva del paese e, grazie alle imposte che paga, mantiene il resto della nazione. 3-"scarsa presenza dello Stato" nel Sud? Ma se vi è il record si spesa pubblica e di dipendenti! Piuttosto c’è forse troppa presenza dello stato. 4- Se, per la prima volta, le riforme non sono del tipo che si mettono le mani in tasca ai cittadini per foraggiare le varie caste, aizzando la gente contro tassisti e benzinai mi pare già un passo avanti.

  10. LUCA

    Concordo con Carlo: viva la demagogia. La stratificazione sociale di cui parla Checchi non dipende minimamente dal fatto che nei licei si impari a svolgere in autonomia compiti di responsabilità mentre negli istituti tecnici e professionali no. La stratificazione c’è quando coloro che scelgono i licei sono solo figli di laureati. I miei genitori non sono laureati eppure mia sorella ha fatto il liceo e si è diplomata con il massimo dei voti. Il fatto che solo in queste scuole si insegnino certe cose conta zero: tutti coloro che si sentono capaci possono scegliere di fare i licei. Dato che non tutti sono portati a stare ore sui libri e a cimentarsi con latino e greco (questa è la realtà) è utile, anzi, indispensabile, che ci siano altre scuole che valorizzino altre capacità, quelle manuali, pratiche. Piuttosto bisognerebbe dare la giusta dignità a tutte le professioni. La disuguaglianza ci sarà sempre, indipendentemente dalla scuola, quando un operaio (magari laureato) dovrà lavorare 40 ore settimanali e un dipendente pubblico 35, quando dei ragazzi si sentiranno dire "se usi le mani invece della testa, fai più fatica e prendi meno soldi".

  11. rosario nicoletti

    “Dall’altro, ribadire la continuità con la tradizione gentiliana di una scuola secondaria che ha nella sua mission la riproduzione della stratificazione sociale.” Questa frase va valutata alla luce dei fatti, piuttosto che a quella di nebulose teorie. La mobilità sociale è esistita in Italia dagli anni ’30 agli anni ’60: negare ciò significa negare che l’Italia è cambiata da paese agricolo arretrato a potenza industriale. Chi ha una età avanzate conosce di persona i moltissimi casi di avanzamento sociale (e culturale) protagonisti giovani formati nelle scuole tecniche e professionali. Dagli ’60 o ’70 in poi le scuole tecniche hanno abbandonato l’insegnamento facente perno sugli aspetti “pratici”, per scimmiottare i licei: si veda in proposito la relazione della GRL Bertagna del 2001, dove si legge testualmente: “istruzione generale ed istruzione professionale che si consegue con una forte diluizioni delle specificità professionalizzanti in molti indirizzi". Oggi, tutti concordano sul fatto che non vi è più mobilità sociale. Al dunque: E’ la scuola gentiliana o la flaccida scuola egualitaria che cancella la mobilità sociale?

  12. fabio

    Sono un insegnante. Ho insegnato un po’ in tutti gli ordini di scuola secondaria. Diversi miei colleghi esprimono più o meno le opinioni dell’articolo: insegnano al liceo, mai e poi mai andrebbero a insegnare in un istituo professionale. Deprecano ad alta voce il classismo della scuola italiana: non andrebbero mai ad insegnare in un istituto professionale dove abbondano studenti stranieri o ragazzi difficili. Quanta lontananza tra la realtà e ciò che si dice su di essa, tra le dotte analisi sulla scuola e ciò che la scuola è veramente. Perchè i miei colleghi che insegnano al liceo, e deprecano notte e dì il classismo di fondo della scuola italiana, mai andrebbero ad insegnare in un istituto professionale? Perchè? Mah, quante chiacchiere.

  13. Erio da Rimini

    La scuola come è ora non va certo bene, delle modifiche potrebbero anche andar bene, anche quelle proposte con la distinzione netta tra licei e scuole professionali. Al di là di aspirazioni di ascesa sociale, ben difficili da porre in atto in Italia da sempre, andando sul pratico or ora se hai un figlio-a che si distingue nello studio, al momento attuale non v’è agevolazione verso coloro diciamo non abbienti, ma ex ceto medio, o paghi oppure resti fuori. Se tuo figlio-a non è portata allo studio allora tanto vale la scuola professionale che può garantirgli se non ascesa culturale, sociale (avete mai provato per caso a riparare un elettrodomestico oppure l’impianto illuminazione, in questi casi non dico l’operaio, ma l’artigiano è ben remunerato neanche fosse un luminare della medicina) e allora riuscire a cavare un buon artigiano remunera assai di più di un diplomato tecnico o di quelle lauree fasulle di cui l’Italia oramai ne è ben piena. Poi, come faccio io personalmente, per la cultura, ognun di noi può farsela da solo. Ciliegina finale, che a molti può non far piacere: le scuole professionali possono benissimo essere rivolte in primis ai figli degli immigrati.

  14. rosario nicoletti

    “Dall’altro, ribadire la continuità con la tradizione gentiliana di una scuola secondaria che ha nella sua mission la riproduzione della stratificazione sociale.” Questa frase va valutata alla luce dei fatti, piuttosto che a quella di nebulose teorie. La mobilità sociale è esistita in Italia dagli anni ’30 agli anni ’60: negare ciò significa negare che l’Italia è cambiata da paese agricolo arretrato a potenza industriale. Chi ha una età avanzate conosce di persona i moltissimi casi di avanzamento sociale (e culturale) protagonisti giovani formati nelle scuole tecniche e professionali. Dagli ’60 o ’70 in poi le scuole tecniche hanno abbandonato l’insegnamento incernierato sugli aspetti “pratici”, per scimmiottare i licei: si veda in proposito la relazione della GRL Bertagna del 2001, dove si legge testualmente: “istruzione generale ed istruzione professionale che si consegue con una forte diluizioni delle specificità professionalizzanti in molti indirizzi". Oggi, tutti concordano sul fatto che non vi è più mobilità sociale. Al dunque: E’ la scuola gentiliana o la flaccida scuola egualitaria che cancella la mobilità sociale?

  15. Marino

    In fabbrica a 16 anni perchè così ci si può comprare la moto e il SUV a diciott’anni (per poi schiantarcisi fatti di coca e spritz…), mollando non il liceo classico ma l’ITIS per periti elettronici. Cioè senza quelle basi di cultura generale (capacità di lettura, matematica, scienze, lingue straniere) che servono alla crescita professionale. Poi, se qualcuno crede che un futuro industriale basato su bio- e nanotecnologie lo possiamo fare con i diplomati di terza media, contenti tutti. Per non parlare del fabbisogno di altre figure professionali: i medici, gli insegnanti, gli avvocati, i funzionari? devono venire tutti da fuori, che poi, orrore non parlano il dialetto?

  16. antoniogaspei

    Condivido solo in parte l’esercizio di “dietrologia” del prof. Checchi: è chiaro che il primo obiettivo della riforma è quello di ridurre gli organici, visto che ormai dalla finanziaria 2002 la politica scolastica è dettata dalle esigenze di bilancio; non sono invece sicuro che il secondo obiettivo sia quello della riproduzione della stratificazione sociale, quanto piuttosto della “stratificazione” territoriale. In poche parole la continuità con la tradizione gentiliana è motivata dal fatto che al Sud continuano a mancare le opportunità di accesso al lavoro regolare, sia nelle basse come nelle alte qualifiche. La risposta del sistema scolastico meridionale a questo problema socio-economico è quella di portare alla laurea col miglior voto il maggior numero possibile di studenti (cfr. la proposta di write-down delle competenze di Salvatore Modica , i quali poi emigrano al Nord in cerca di un lavoro intellettuale. La mobilità territoriale del lavoro è allora paradossalmente una delle cause della stratificazione sociale, intesa come mancanza di mobilità sociale.

  17. angelo agostini

    Trovo estremamente appropriato che si individui (finalmente) uno dei problemi di fondo del nostro sistema scolastico nella sua origine: la riforma Gentile. Mussolini la trovava "la più fascista delle riforme", e fu con essa che venne introdotto l’insegnamento della religione cattolica. Oltre a questi spunti di riflessione, di per sè più che sufficienti, eccoci al punto: una riforma tendente ad accentuare e perpetrare la stratificazione in classi della società, ed ancora di più a porre al vertice della piramide dell’istruzione, e quindi a definirla come bagaglio culturale caratterizzante della classe dirigente, una cultura letteraria, idealista e fortemente anti-scientifica ed anti-moderna. Questi due aspetti caratterizzano ancora oggi la nostra scuola, e la pongono col passare dei tempi ormai lontanissima dalle esigenze di una società industriale-postindustriale, occidentale, moderna. Nei paesi avanzati, che piaccia o no, il grado d’istruzione (percentuale di laureati, diplomati etc.) è più elevato che da noi secondo proporzioni imbarazzanti. E l’antitesi tra "Cultura" e "tecnica" non esiste, nessuno si sogna di mettere ancora greco e latino al vertice della piramide.

  18. fulvio lo cicero

    Sono solo in parte d’accordo con l’autore. Il problema risiede proprio nella tripartizione fra licei, istruzione tecnica e professionale. L’introduzione di un biennio comune a tutte le scuole, subito dopo la scuola media del primo ciclo, come nota l’autore, sarebbe andata nella giusta direzione di un potenziamento delle possibilità di accesso a prescindere dalle condizioni sociali e culturali di partenza. Io insegno in un istituto tecnico per quelli che un tempo si chiamavano "ragionieri" (ora, esperti contabili). Ho degli alunni di prima, con grandissime capacità e intelligenze, che pure hanno dovuto imporsi alla famiglia e ai consigli dei docenti di scuola media, per iscriversi ad un istituto tecnico, perché tutti li spingevano verso il classico. Permane, nel nostro Paese, la deleteria (e falsa) convinzione gentiliana che soltanto il liceo classico sia in grado di fornire al giovane una preparazione adeguata per qualsiasi successivo studio (quindi anche un’università economica), mentre non è così. Per questo motivo condividevo parte della riforma Moratti che, molto intelligentemente, trasformava gli istituti tecnici in licei economici, tecnologici, ecc.

  19. antonio gasperi

    Condivido solo in parte l’esercizio del prof. Checchi: è chiaro che il primo obiettivo della riforma è quello di ridurre gli organici, visto che ormai dalla finanziaria 2002 la politica scolastica è dettata dalle esigenze di bilancio; non sono invece sicuro che il secondo obiettivo sia quello della riproduzione della stratificazione sociale, bensì della “stratificazione” territoriale. In poche parole la continuità con la tradizione gentiliana è motivata dal fatto che al Sud continuano a mancare opportunità di accesso al lavoro regolare, nelle basse come nelle alte qualifiche. Il sistema scolastico meridionale risponde al problema massimizzando le lauree in termini sia numerici che valutativi (cfr Salvatore Modica sul write-down delle competenze http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001009.html ), producendo così emigrazione intellettuale verso il settentrione (e l’estero). La mobilità territoriale del lavoro è allora paradossalmente causa di stratificazione sociale, intesa come mancanza di mobilità sociale: solo una efficace politica di sviluppo e per l’occupazione nel mezzogiorno potrebbe forse migliorarne apprendimenti medi e diminuire la varianza territoriale.

  20. Giovanni

    Sono laureato, ho fatto il ricercatore in università, lavorator in proprio, insegno in un istituto tecnico e ho insegnato in un professionale. Sono figlio di un "portalettere" e mio padre orgoglioso della sua cultura sviluppata in completa autonomia (aveva la licenza elementare) mi ha sempre spronato a migliorare la mia posizione. Nel nostro paese lo stesso modello di scuola (Gentiliana) produce mobilità e immobilità, risultati eccellenti e mediocri (vedi disaggregazione dati PISA), gestioni efficienti e inefficienti. Il modello non è quindi teroricamente sbagliato, ma il personale che lo mette in pratica. E la riforma che fa? Riduzione di ore, ossia taglio del personale che tutti dicono essere troppo. Potrebbe anche andar bene se non fosse che si eliminano non i fannulloni, gli incompetenti, ma i precari e i giovani (leggasi docenti in fondo alle graduatorie e precari) che statisticamente contengono molti ottimi elementi (nel mio istituto i docenti con più anzianità di servizio sono i meno preparati e quelli giovani i più aggiornati). Negli anni passati a scuola sono entrati tutti e non solo i meritevoli, ma soprattutto una volta dentro nessuno più controlla il loro lavoro! Il problema non è la scelta precoce del tipologia di scuola, ma l’enorme perdita di risorse economiche e tempo per il passaggio da un indirizzo/tipo di scuola e un altro. Il biennio comune con materie comuni è solo un rimandare il problema di base che è quello di scoprire se la tipologia di scuola e l’indirizzo sono quelli adatti alle capacità del ragazzo. Negli ITIS il biennio comune esiste, ma vi sono molti studenti che scoprono solo al terzo anno, studiando concretamente le materie di indirizzo, che quello non è il loro futuro. Chi è operaio e ha un figlio non sceglie in base solo alle sue capacità, ma sopratutto in base alle risorse economiche. La famiglia di un ragazzo capace, non opterà per il liceo solo perchè i soldi per mantenerlo fino alla fine dell’università non sa se ci saranno. Il sostegno certo e non simbolico alle famiglie degli studenti con risultati eccellenti sia nella scuola secondaria che soprattutto all’università è la vera molla per riavviare la mobilità sociale.

  21. Alessio Calcagno

    Scrissi la mia tesi di laurea su questo tema ben 5 anni fa e da allora niente è cambiato. La precoce selezione dopo la scuola media inferiore in indirizzi diversi (licei, tecnici, professionali) viene definita a "canne d’organo’"ed è un problema non solo italiano ma anche tedesco. Il modello perfetto è quello scandinavo: si ha un indirizzo solamente, alcune materie sono obligatorie per tutti ed altre si possono scegliere, si sta a tempo pieno a scuola. L’Italia ha bisogno di tornitori però, non di laureati.

  22. iper

    Vogliamo dare informazioni corrette, please… La scuola italiana è sottorganico. Non ci sono esuberi. Perché? Perché nei paesi civili d’Europa 1) non ci sono 20000 insegnanti di religione cattolica, selezionati dalla Curia e pagati dallo Stato; 2) gli 80000 insegnanti di sostegno sono altrove giustamente pagati dal Ministero del Welfare e non da quello dell’Istruzione! E’ grave non ricordarlo ogni volta….

  23. associazione di muotuo aiuto"tutti sulla stessa barca"

    I tagli indiscriminati operati dal Governo nazionale nei confronti della scuola pubblica, resi drammaticamente evidenti dalle proteste dei precari, sembrano non risparmiare, purtroppo, altri importanti settori dell’istruzione pubblica. In un sistema che sembra volersi accanire contro i più deboli, assistiamo all’ennesimo drastico taglio relativo alle ore di sostegno attribuite a favore degli alunni diversamente abili. I nodi nella scuola vengono al pettine e a rimetterci, purtroppo, sono i più deboli. Il quadro, anche nella nostra realtà, è allarmante ed è rappresentabile in una ingente riduzione delle ore di sostegno, perpetrata soprattutto ai danni di alunni che iniziano un nuovo percorso di studi, passando da un grado d’istruzione all’altro…

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