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CALA ANCORA L’OCCUPAZIONE DIPENDENTE

I dati del primo trimestre 2012 rimandano un quadro molto negativo per l’occupazione. Il riacutizzarsi delle perdite di posti di lavoro iniziato nell’estate 2011 è proseguito anche nei mesi successivi. Le assunzioni sono scese del 3,2 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. I licenziamenti collettivi rimangono sui livelli consueti, ma quelli individuali nelle piccole imprese tornano in forte crescita. In diminuzione del 4 per cento anche i contratti di lavoro parasubordinato. Forse è tempo di pensare a politiche del lavoro eccezionali.

I dati resi disponibili dalle Regioni e province autonome aderenti al gruppo di lavoro multiregionale SeCo (Stastistiche e Comunicazioni obbligatorie) consentono di disporre di statistiche sull’andamento mensile delle posizioni di lavoro dipendente aggiornate al primo trimestre e relative a territori in cui si concentrano i due terzi dell’occupazione complessiva italiana e quasi l’80 per cento di quella industriale. (1)

LA DINAMICA DELLE ASSUNZIONI E DEI LICENZIAMENTI

Il segnale proveniente da questa documentazione consente di aggiornare l’analisi delle difficoltà della struttura produttiva ed evidenzia tutta l’asprezza del sentiero su cui stiamo procedendo.
Nelle dieci Regioni osservate tra il 31 marzo 2011 e il 31 marzo 2012, nell’arco dunque di un anno, i posti di lavoro dipendente sono diminuiti di 137mila unità. (2) Si tratta di una variazione tendenziale peggiorata rispetto a quella osservata alla fine del precedente trimestre (l’ultimo 2011): il profilo congiunturale, infatti, mette in luce che il riacutizzarsi delle perdite di posti di lavoro iniziato nell’estate 2011 è proseguito anche nel primo trimestre del 2012. In verità, qualche segnale di interruzione del trend negativo è venuto a marzo, ma solo per alcune realtà (Lombardia, Campania) e comunque non ancora “robusto” e tale da indicare una sicura inversione.
Considerando sempre le variazioni su base annua, il saldo negativo dei posti di lavoro ha riguardato soprattutto gli italiani ma, di nuovo, non ha risparmiato neppure gli stranieri. Si conferma la caratterizzazione prevalentemente industriale (manifatturiero e costruzioni) dei posti di lavoro persi e ciò spiega anche il prevalente coinvolgimento di manodopera maschile. Quanto alle tipologie contrattuali, il calo è essenzialmente imputabile al ridursi dei contratti a termine e di apprendistato, mentre i posti di lavoro a tempo indeterminato risultano – controintuitivamente – in crescita: e un deciso contributo a questa tendenza è venuto negli ultimi mesi dagli effetti delle normative pensionistiche.
I posti di lavoro dipendente sono in calo soprattutto per effetto della diminuzione delle assunzioni che nel primo trimestre 2012 sono scese del 3,2 per cento rispetto al primo trimestre 2011. Anche le cessazioni nel complesso sono diminuite – per effetto della riduzione dei contratti a termine e della minor mobilità volontaria – e pure le trasformazioni da posti di lavoro a tempo determinato in tempo indeterminato: la riduzione complessiva dei flussi è anch’essa indice del restringimento del circuito occupazionale e delle difficoltà della base produttiva.
Sul fronte dei licenziamenti, mentre quelli collettivi rimangono sui livelli consueti (consueti per gli ultimi quattro anni segnati dalla crisi), quelli individuali attivati dalle piccole imprese sono ritornati di nuovo in forte crescita (+30 per cento rispetto al primo trimestre 2011), praticamente in tutte le Regioni.
Fuori del perimetro del lavoro dipendente strutturato, neanche i contratti di lavoro parasubordinato evidenziano una soddisfacente tenuta: le attivazioni nel primo trimestre 2012 sono diminuite del 4 per cento (dato tendenziale). Di buona salute godono solo i contratti di lavoro a chiamata, aumentati del 70 per cento tra il primo trimestre 2012 e il primo trimestre 2011 e il lavoro domestico (+11 per cento). Non sono certo segnali sufficienti a cambiare la valutazione di questa fase congiunturale.
Di fronte al fatto che né il settore privato né il settore pubblico risultano in grado di esprimere una domanda di lavoro in risalita occorre pensare che per questa fase, in attesa di cambiamenti di scenario macroeconomico che non sembrano dietro l’angolo, servono anche politiche del lavoro eccezionali.

(1) Nei rispettivi siti delle Regioni e province autonome aderenti al network SeCo (Piemonte, Liguria, Lombardia, Trento, Bolzano, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Marche, Umbria, Campania, Sardegna) è disponibile sia il report con i principali dati statistici commentati sia il file con tutti i dati mensili a partire dal luglio 2008 fino al marzo 2012 (vedi www.venetolavoro.it). Il report attualmente disponibile è aggiornato con i dati di tutti territori aderenti, con esclusione delle province autonome di Trento e Bolzano, i cui dati saranno integrati entro breve tempo.
(2) Il dato sui posti di lavoro dipendente è al netto dei contratti di lavoro domestico e dei contratti di lavoro a chiamata. La variazione dei posti di lavoro (rapporti di lavoro) in essere è un’ottima proxy, anche se non perfettamente coincidente, della variazione degli occupati (teste).

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PERCHÉ GLI EUROBOND NON SONO LA SOLUZIONE

  1. giorgio trenti

    Il Governo ha presentato un prolisso ed erroneo disegno di legge sul rapporto di lavoro, per non cambiare nulla in una legislazione da 50 anni statalista, mantenendo 18 tipi di contratto di lavoro. Ne serve uno solo che riconosce la libertà di scelta alle parti. La famigerata legge cosiddetta biagi obbliga a fingere che, nel rapporto di lavoro, ci sia un progetto. E’ bene, invece, che ogni lavoratore sia libero di regolare il proprio rapporto di lavoro come meglio crede, a tempo determinato o indeterminato, sia nel settore privato, sia in quello pubblico. E’ bene non intralciare le aziende, perché soltanto esse creano la ricchezza che, sotto forma di tributi, finanzia lo Stato. Inoltre la legge mette fra datore di lavoro e lavoratore inutili e costosi intermediari. L’incontro, fra offerta e domanda di lavoro, può avvenire, senza spese, su Internet. Propongo la reintroduzione nel codice civile dell’esemplare articolo 2097. Esso ha permesso la piena occupazione ed il benessere, ed è stato abrogato male nel 1962.

  2. michele

    Si possono creare 100.000 borse lavoro per un anno da 800/900 euro al mese, con 1 miliardo di euro riallocati al servizio civile, dei 100 mld che il governo si appresta a spendere in opere pubbliche con 5 mld su 5 anni si rende permanente questa misura nel lungo periodo

  3. maurizio

    I datori di lavoro in Italia non hanno nessun obbligo di rivolgersi a “costosi intermediari”. Questo avveniva anche prima che venisse stabilito formalmente questo principio (dal 30 gennaio 2003 con il Dlgs 297/2002). L’utilizzo del contratto di somministrazione richiede necessariamente un intermediario ed è oneroso ma minoritario in termini quantitativi ed è un espediente per non avere la titolarità del rapporto di lavoro e tenere inalterata la base di computo per l’applicazione della legge 68/99 e dell’art.18 della legge 300/70.

  4. pincop

    Sorry, questo non è un commento da economista. Ovvio che l’occupazione dipendente cala. Lo fa in tutti paesi industrializzati. Cresce invece part time, contratto breve, lavoro indipendente e lavoro nero. Sono straniero Ho difficolta capire perche l’Italia manifesta un problema di disoccupazione. Ci vivono milioni di stranieri extracomunitari e non. Qui a Roma gli edili prendono ogni mattino i romeni perchè mancano manovali italiani . Nel mercato di Porta Portese due terzi dei commessi sono bangalesi, i proprietari italiani delle bancarelle sono o assenti o si riposano dietro. Pare che la crisi non sia ancora cosi profonda a costringere gli italiani ad accettare ‘menial jobs’. Preferiscono di rimanere disoccupati.

  5. Savino

    In Italia, anche se ci fossero tutte le riforme strutturali e anche se calassero decisamente le tasse sul lavoro, ci sarebbe una variabile con cui fare i conti: la scarsa cultura del fare impresa. I prenditori sono sempre di più degli imprenditori e i furbi sono sempre di più degli onesti. Finchè il sistema sarà fondato sui soldi per fare soldi e finchè si darà la possibilità di continuare a fondare un’economia parallela sul nero, sull’evasione e sulle illegalità non ne verremo a capo.

  6. luca

    Io ho studiato: preso una laurea, fatto un tirocinio professionale e ho una abilitazione. Lavoro per un solo committente da 3 anni con partita iva e guadagno meno di una segretaria, in più ho un lavoro precario perchè il mio datore dall’oggi al domani può mandarmi via. Bene dopo oltre 1 anno di ricerche in azienda senza trovare posizioni compatibili con la mia laurea (che non è affatto richiesta purtroppo e non è una laurea “fuffa” ahimè) mi sono candidato per una posizione di stewart per NTV. Ho superato tutte le selezioni: test online, questionario di 45 minuti superato in 10 senza errori, test in inglese, test attitudinale, anche la prova di gruppo per la quale mi hanno nominato relatore. Arrivo al test finale e mi dicono che sono troppo qualificato per il ruolo: “ma lei ha un lavoro che anche per la posizione sociale è migliore, perchè vorrebbe lavorare come stewart?” e vagli a spiegare che io guadagno meno di uno stewart e non ho garanzie per il domani. Niente. Sono troppo qualificato e l’azienda preferisce altri profili. Non è vero che non c’è voglia di mettersi in gioco o di sporcarsi le mani. E’ una situazione drammatica anche per noi.

  7. Gian

    La verità è che in Italia se hai ” più di 35 anni, sei di sesso maschile, disoccupato anche di lunga durata ,non appartenente a liste di mobilità o a categorie protette” non rientri nei requisiti imposti dal nostro governo e hai le porte chiuse, poiché per te non esistono ne incentivi all’occupazione ne aiuti per metterti in proprio.

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