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Voltiamo pagina sull’assistenza agli anziani in casa

Il dl “Rilancio” raddoppia nel secondo semestre del 2020 i finanziamenti per l’assistenza domiciliare agli anziani non autosufficienti. Si può e si deve rendere strutturale questo aumento. Ma serve un profondo ripensamento dell’intero sistema.

Una robusta crescita di fondi, da rendere strutturale

In varie aree del paese una presenza più solida del welfare pubblico nel territorio avrebbe consentito di meglio contrastare il Covid-19; avrebbe permesso, in particolare, di prevenire e non solo di inseguire il diffondersi della pandemia. A partire da questa valutazione – ampiamente condivisa – nelle scorse settimane è maturato un rinnovato interesse tanto nei confronti del ruolo fondamentale che i servizi territoriali dovrebbero svolgere in un moderno sistema di protezione sociale quanto verso la necessità di un loro deciso rafforzamento in Italia.

Tale attenzione si riflette nell’elevata percentuale di fondi dedicati al settore tra quelli che il recente decreto “Rilancio” assegna complessivamente al Servizio sanitario nazionale. Tra i diversi interventi per il territorio, il più cospicuo consiste nei 734 milioni di euro destinati all’Assistenza domiciliare integrata (Adi), di titolarità delle Asl, che costituisce il più diffuso servizio pubblico a casa degli anziani non autosufficienti in Italia.

Nel 2017 – dato più recente – la spesa complessiva per l’Adi ammontava a 1,5 miliardi di euro. Gli ulteriori 734 milioni previsti coprono esclusivamente il 2020, così come tutte le voci del dl “Rilancio” (coerentemente con la sua logica emergenziale): essendo stati stanziati a maggio, in pratica si riferiscono solo alla seconda parte dell’anno in corso. Se la spesa annua è 1,5 miliardi e i nuovi stanziamenti per il secondo semestre del 2020 sono 734 milioni, il conto è presto fatto: in quest’ultimo periodo avremo un sostanziale raddoppio delle risorse disponibili.

Lo storico sotto-finanziamento dei servizi domiciliari indica che il nuovo investimento nell’Adi dovrebbe presto essere reso strutturale. In effetti, la probabile disponibilità a breve di maggiori stanziamenti per il sistema sanitario e la menzionata crescita di attenzione verso il territorio suggeriscono un ragionevole ottimismo in tal senso.

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Un insieme di evidenti criticità, da non eludere

Quella dei finanziamenti, tuttavia, è solo una metà della questione della domiciliarità in Italia. L’altra riguarda la progettazione delle risposte per gli anziani non autosufficienti. Infatti, pure in un quadro segnato da notevole eterogeneità territoriale, nel nostro paese è possibile individuare alcune criticità piuttosto diffuse.

Primo, l’Adi concentrata esclusivamente sull’erogazione di specifiche prestazioni infermieristico-mediche. Si tratta di interventi per il soddisfacimento di determinate necessità sanitarie, sovente in assenza di una risposta più articolata alle varie esigenze causate dalla non autosufficienza dell’anziano, che – come chiunque sia stato coinvolto sa – sono ben più ampie ed articolate. L’Adi, in altre parole, è guidata perlopiù dalla logica della cura clinico-ospedaliera (cure), relativa a singole patologie, e non da quella del sostegno alla non autosufficienza (care), fondata invece su uno sguardo complessivo sulla condizione della persona e dei suoi molteplici fattori di fragilità.

Secondo, il disagio socio-economico quale criterio per ricevere i servizi domiciliari comunali. Questi ultimi costituiscono l’altro intervento pubblico a casa degli anziani ma svolgono prevalentemente un ruolo residuale. Infatti, nella maggior parte dei casi la non autosufficienza non basta per poterli ricevere: sono utilizzati invece soprattutto per rispondere a situazioni la cui complessità non dipende solo da questa condizione ma anche dalla presenza di problematiche dell’anziano legate a reti familiari carenti e ridotte risorse economiche.

Terzo, il debole riconoscimento della demenza. È il più rilevante profilo degli anziani non autosufficienti emerso negli ultimi 15 anni ma, nonostante varie sperimentazioni e gli sforzi di alcuni territori, fatica ancora a trovare adeguate risposte. La demenza richiede servizi capaci di seguire le famiglie a 360 gradi mentre le prestazioni “slegate” tra loro, che caratterizzano il contesto attuale, non vi riescono. Detto questo, si registra chiaramente la lentezza dei servizi domiciliari nell’adattarsi alla trasformazione dei bisogni presenti nella società.

Quarto, le criticità menzionate sin qui convergono verso il nodo di fondo: complessivamente i servizi domiciliari impiegano in misura limitata l’approccio richiesto dalle specificità della non autosufficienza. In pratica si tratterebbe di: 1) avere uno sguardo ampio sulla situazione dell’anziano e dei suoi congiunti; 2) diventare un reale punto di riferimento delle famiglie; 3) costruire progetti di assistenza personalizzati composti da diverse risposte in connessione tra loro.

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Serve un progetto per i servizi domiciliari in Italia

Se l’esito della rinnovata attenzione tributata ai servizi domiciliari consisterà nel reiterare – fedelmente ma su più ampia scala, grazie ai maggiori finanziamenti – le attuali criticità del settore, sicuramente un maggior numero di anziani verrà seguito a casa propria ma altrettanto certamente si sarà persa un’occasione fondamentale per rendere più adeguate le risposte ai loro bisogni.

Qualunque ipotesi di sviluppo non può infatti prescindere da un sostanziale ripensamento di questo ambito, a partire dalla domanda di fondo: di quali servizi domiciliari avranno bisogno gli anziani non autosufficienti nel nostro paese in futuro? Peraltro, solo una volta in passato lo Stato italiano ha definito un proprio progetto per i servizi domiciliari: è avvenuto nel 1992, con il “Progetto obiettivo anziani” nazionale. È tempo di cimentarsi di nuovo con questa sfida.

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Il Punto

  1. Ottimo articolo. Argomento di grande attualità. Sono uno dei tanti figli che ha preferito tenere il proprio genitore con la demenza conclamata e non vedente nella propria abitazione. Sarebbe auspicabile un aiuto da parte delle strutture preposte anche solo per un aiuto settimanale o più per l”igiene della persona non autosufficiente. Nemmeno io sono più giovane e vedrei volentieri questo servizio di grande utilità. L’alternativa sono le RSA. alle quali ho rinunciato sia per affetto che riconoscenza verso il proprio genitore. Grazie comunque per quanto chiaramente elencato nell’argomento. Giuseppe

  2. ELENA SCARDINO

    Ho un’ amica mia coetanea (81 anni), che vive sola e senza più nessun parente. Da alcuni mesi con un’altra amica più giovane abbiamo cominciato a affrontare i sempre più evidenti effetti di una demenza non curata. I conntrolli hanno confermato i nostri timori, e abbiamo cercato quali risposte offre il sistema sanitario, scoprendone le numerose carenze. Vorremmo avere informazioni su cosa si muove a livello politico nazionale e locale.

  3. umberto scaccabarozzi

    D’accordo con l’articolo,ma purtroppo è prevalso la volontà di accreditare fornitori privati delle RSA(è più agevole) che non nei servizi(ADI).L’ADI,in Italia è presente in modo poco soddisfacente rispetto alla Germania,alla Francia,al Regno Unito.E’ difficile l’inserimento del paziente nella rete dei servizi sul territorio,manca una preparazione specifica geriatrica del personale sanitario(MMG) non più adeguata alle nuove richieste prevenzione e cura delle malattie croniche e dell’invecchiamento della popolazione.Aumentano però anche gli anziani soli, ciò rende impossibileistituire il modello assistenziale domiciliare del caregiver…E’ la strada da battere per rallentare il declino funzionale preservando l’autonomia personale della persona anziana.U.Scaccabarozzi geriatra

  4. toninoc

    Le carenze strutturali delle ASL nell’assistenza degli anziani sono state evidenziate macroscopicamente nell’affrontare la pandemia ancora in atto. Nessuno poteva immaginare una catastrofe di anziani come quella avvenuta in alcune Regioni poiché nessuno conosceva il virus per poterlo contrastare adeguatamente. C’è però qualche domanda da porre a chi sovraintende e coordina quel settore della sanità che si occupa di prevenzione: Il virus (o comunque le strane patologie diffuse) si è manifestato presso gli ambulatori dei medici di base già dalla fine del 2019; le autorità competenti hanno avuto notizie del nuovo fenomeno virale? Hanno allertato le strutture per contrastare e rallentare la diffusione del contagio? Sapevano che non avevamo disponibilità dei presidi più elementari come le mascherine? Sapevano che eravamo carenti di respiratori ed altre attrezzature per la rianimazione? Come facciamo a progettare miglioramenti per la geriatria se la stessa ha le fondamenta ( il sistema di prevenzione) di argilla? I finanziamenti sono senza dubbio indispensabili, ma se le strutture sono inadeguate, gli stessi serviranno solo a pagare il personale che non sarà in grado di agire. Non credo che le responsabilità siano solo degli attuali amministratori, perché da tanti anni la sanità ha avuto molti tagli di risorse, ma a quei tagli si sono aggiunte le “ distrazioni” o incompetenze e chi ne ha subìto le maggiori conseguenze sono stati soprattutto gli anziani. E’ inutile avere i pompieri più bravi del mondo se non hanno l’acquai per spegnere l’incendio.

  5. Auguriamoci che quanto indicato dal prof. Gori nelle conclusioni finali sull’argomento possa essere recepito quanto prima dal legislatore in modo da trovarci pronti ed in linea con gli altri paesi Europei indicati nei commenti. La popolazione invecchia non v’e dubbio. Abbiamo assistito a scoperte di persone sole anziane decedute in casa da giorni, mesi e in qualche vaso da anni. Questoba causa della carenza di assistenza domiciliare. Cosa triste per un paese civile con 2000 anni di storia. Cosa certa è che invecchieremo tutti e non sapremo, stando così le cose, quale destino avremo davanti noi. Cordialmente, Giuseppe

  6. Oreste Ronchetti

    Concordo pienamente con quanto scritto dal professor Gori. Da addetto del settore, sono un infermiere che da anni esercita in strutture territoriali ed al domicilio in Lombardia, credo che sia necessario e non più eludibile, riformare il settore anche introducendo la figura dell’infermiere di famiglia, che da anni gli Ordini delle Professioni Infermieristiche chiedono. A mio modesto parere meglio ancora sarebbe la costituzione di equipe territoriali formate dal mmg, l’assistente sociale e l’infermiere di famiglia, per un azione meglio coordinata ed organica che riesca a dare risposte personalizzate ai bisogni della persona e non solo della patologia.

  7. Nadia

    Articolo che coglie le criticità del servizio domiciliare e ne suggerisce una presa in carico attraverso modalità nuove rispetto le attuali.Un percorso che necessiterà importanti cambiamenti a tutti i livelli e acquisire una mentalità socioassistenziale.

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