Se riuscisse a liberare le valli piemontesi dalla presenza dei Tir, la Torino-Lione potrebbe essere definita un’opera infrastrutturale “strategica”. Ma quali sono le sue potenzialità di redistribuzione modale? In questi giorni girano le cifre più disparate. Per discutere seriamente della questione, invece, occorre precisare per quali relazioni, per che tipo di beni e quali sono le aziende che accetteranno di passare alla ferrovia per il trasporto dei loro prodotti. E il regolatore pubblico deve indicare se e quali politiche di promozione intende adottare.
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Invece di costruire il tunnel per l’alta velocità Torino-Lione, si può intervenire sulla linea ferroviaria attuale. E’ un progetto altrettanto efficace per soddisfare la domanda di traffico merci, ma assai meno costoso. Fa leva su un programma di interventi mirati a incrementare radicalmente la capacità della linea storica, agendo anche sull’offerta di servizi di trasporto e non solo sull’infrastruttura, secondo standard internazionali consentiti dalla moderna tecnologia. Secondo calcoli prudenti si potrebbero così trasportare 48 milioni di tonnellate di merci all’anno.
La “privatizzazione” di Alitalia via aumento di capitale è un’operazione molto costosa per lo Stato. Ma tutta l’annosa vicenda è emblematica dei tarli che indeboliscono l’economia italiana. La débacle della compagnia non è dovuta a carenze tecnologiche né a insufficienza di capitali, ma a protezioni clientelari, a una sindacalizzazione corporativa, a scelte d’investimento sbagliate. Il danno per il paese è stato enorme. Non solo per le risorse bruciate, ma anche per la perdita di posti di lavoro qualificati e per i costi imposti al turismo dai prezzi del servizio.
Perché alcune infrastrutture, e le autostrade in particolare, sono così redditizie da scatenare
“guerre commerciali” tra soggetti pubblici e privati e conflitti tra amministrazioni locali? Si tratta spesso di rendite di monopolio, generate dalle tariffe consentite da un regolatore debole, e quindi facilmente “catturabile”. Sostanzialmente, una tassa impropria, che potrebbe rivelarsi efficiente se fosse tarata per il controllo della congestione. Quanto alla Serravalle, un privato ha lucrato enormi plusvalenze da un monopolio mal regolato.
Sono in molti a considerare la Torino-Lione strategica per il futuro dellItalia. Ma come può definirsi tale un’opera i cui costi superano largamente i benefici, pur stimati molto generosamente? Altre infrastrutture sarebbero più urgenti. Per esempio, il quadruplicamento dell’asse ferroviario del Brennero ha costi minori. E già oggi la domanda per merci e passeggeri sulla tratta Verona-Monaco è assai elevata e con un alto tasso di crescita. Ma con risorse pubbliche molto limitate, la dispersione dei finanziamenti rallenta tutte le realizzazioni, utili e inutili.
Le ferrovie sono uno dei punti cardine del sistema infrastrutturale e dei servizi di trasporto del paese. E da sempre purtroppo sono un punto di
“sofferenza” del sistema paese, martoriato da carenze di fondi, grandi investimenti statali in direzioni dubbie, rapporti sindacali molto
complessi, inefficienze. Un maggiore coordinamento del sistema trasporti e una maggiore attenzione anche alle “piccole cose” sembra forse più utile di progetti faraonici.
La cordata Impregilo ha appena vinto la gara (due soli partecipanti) per costruire il Ponte sullo Stretto. Lasciando da parte la congruità dellofferta, restano fortissimi dubbi sullutilità dellopera, sullentità dei finanziamenti privati (se tali sono i soldi di FS) e sulle inevitabili esigenze di risorse pubbliche nel prossimo futuro, per tacere dellincubo paesistico-ambientale di un mostro di cemento iniziato e non finito. Ma è tutto il disegno della grandi opere a lasciare perplessi: non sembra che esse siano le più urgenti per risolvere i problemi della logistica, che avrebbe bisogno molto più di piccole opere, mentre i meccanismi previsti dalla Legge Obiettivo per accelerare le opere non sembrano aver funzionato. Intanto il cattivo esempio del Ponte tende ad attecchire anche nelle piccole città
La frequenza media bimensile degli scioperi in tutti i comparti dei trasporti pubblici in Italia è una anomalia nel panorama internazionale. Alla radice del fenomeno sono, tra l’altro, la norma che favorisce il frazionamento delle rappresentanze sindacali aziendali e l’orientamento giurisprudenziale che limita gli effetti giuridici della clausola di tregua. Entrambi premiano il modello conflittuale di relazioni sindacali, soprattutto nei servizi pubblici, dove il regime di monopolio consente di far pagare agli utenti il costo dell’inefficienza del sistema.
Un decreto legge accoglie le ripetute richieste di Alitalia di intervento dello Stato per ridurre i costi aeroportuali e del controllo del traffico aereo, i cosiddetti “requisiti di sistema”. Non si hanno ancora stime precise degli effetti sui conti dei gestori aeroportuali e di Enav. Anche il comune di Milano dovrà rifare i conti sul valore della sua quota della privatizzando Sea. Potrebbe essere l’occasione per ripensare alla contraddizione tra tutela delle rendite monopolistiche come concessionari e difesa degli interessi degli utenti-cittadini.
Occorre dare centralità alla pianificazione dei trasporti. Per molte ragioni. Ad esempio, se ben governato, l’aumento del prezzo del petrolio potrebbe servire a orientare il settore verso una maggiore sostenibilità. Ma riprendere il cammino indicato dal Piano generale dei trasporti e della logistica e interrotto per inseguire la chimera delle grandi opere, non sarà facile. Bisogna in primo luogo risolvere il conflitto tra i diversi livelli di governo nella pianificazione e nell’attribuzione delle risorse per la gestione delle infrastrutture.