La bozza della legge di bilancio definisce le risorse per la sanità. Ma non affronta tre questioni cruciali: la ristrutturazione della rete ospedaliera da coordinare con i servizi territoriali, la dotazione di personale e il ruolo delle regioni.
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Il dissesto di un comparto della gestione Inpgi pone in evidenza le gravi falle del sistema attuale di pluralismo previdenziale, cui non si può porre rimedio accollando sistematicamente all’Inps i costi dei fallimenti delle casse autonome.
Durante la pandemia è aumentato il risparmio delle famiglie. Il fenomeno è legato ad aspetti precauzionali e coinvolge non solo i giovani, ma anche i loro genitori. Politiche di sostegno al reddito possono però stimolare i consumi dei più anziani.
Le moltissime persone che si sono dimesse dal lavoro negli ultimi mesi negli Stati Uniti sembrerebbero alla ricerca di impieghi con salari più alti e maggiore flessibilità. L’aumento del tasso di dimissioni in Italia potrebbe essere legato alle stesse ragioni.
Una riforma delle regole fiscali europee è auspicabile, perché molto è cambiato dai tempi di Maastricht. Ma solo modificare il parametro del debito dal 60 al 100 per cento non è sufficiente. Il problema potrebbe ripresentarsi in futuro.
Il turismo è uno dei settori che più ha sofferto con la pandemia. Ora il Pnrr stanzia molte risorse per il suo rilancio. Ma sembra mancare una strategia di insieme, che ne orienti la crescita su obiettivi di transizione verde, sostenibile e digitale.
L’aumento delle dimissioni è consistente, trasversale a settori e professioni e non appare episodico. È un segnale di riattivazione della mobilità nel mercato del lavoro. Rivela però tensioni quantitative e qualitative tra domanda e offerta di lavoro.
È in dirittura d’arrivo la legge che recepisce la direttiva sui servizi di media audiovisivi. Impone obblighi molto rigidi agli operatori on demand. Ma è una scelta che non difende la nostra industria audiovisiva, anzi finisce per penalizzarne lo sviluppo.
Quota 102 è un provvedimento sbagliato, così come Quota 100. La questione della flessibilità in uscita dal mercato del lavoro andrebbe risolta attraverso il calcolo contributivo, per equità e chiarezza intergenerazionale. C’è comunque un costo da pagare.
Il modello italiano di contrattazione centralizzata dei salari fatica ad adattarsi alle diverse esigenze di una popolazione di imprese alquanto eterogenea. Lo dimostrano due recenti studi empirici. Il salario minimo potrebbe dare maggiore flessibilità.