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Categoria: Rubriche Pagina 149 di 262

Il Punto

La Fed mette fine all’epoca dei tassi zero. Con l’obiettivo di liberare i mercati dall’incertezza di una decisione attesa. Che però per il resto non convince. Perché alzare il costo del denaro se l’inflazione è oggi quasi nulla e anche domani ci si aspetta che rimanga bassa?
Bankitalia propone di vietare la vendita di obbligazioni subordinate al pubblico dopo che questi strumenti finanziari hanno mandato sul lastrico molti clienti delle quattro banche insolventi. Ci sarebbero anche misure meno draconiane: informare sui rischi senza mettere in crisi una fonte importante di approvvigionamento (74 miliardi) del sistema bancario.
16,5 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari: non è l’economia di Zio Paperone, è la cifra stimata per investimenti e tecnologie nei prossimi 15 anni sulla base degli impegni presi alla Conferenza sul clima. Si andrebbe verso un nuovo modello di sviluppo che rivoluzionerebbe le logiche di governi, banche e imprese.
Mancano analisi sull’efficacia sociale dei generosi sussidi pubblici al trasporto ferroviario e ai collegamenti con le isole. Di certo, in parte sono sprecati: ne beneficiano anche persone con reddito medio-alto mentre spesso chi è più povero finisce per usare il trasporto su gomma, penalizzato dalle tasse. A conferma del fatto che la mancanza di equità rimane uno dei nodi irrisolti del paese. Cominciando dalle erogazioni di assistenza sociale: i più benestanti ricevono il 20 per cento delle risorse per il sostegno alle famiglie e il 18 per cento di quelle per il contrasto alla povertà. Oltre 4 milioni di persone in povertà assoluta, invece, non ricevono nulla.
I contratti di lavoro precari in declino a favore di quelli stabili, in aumento per tutto il 2015, come mostra il grafico che pubblichiamo. Grazie più alla decontribuzione per i nuovi assunti o più alle tutele crescenti del Jobs act? Da gennaio 2016, quando si ridurrà la prima, troveremo la risposta.

Francesco Pastore risponde ai commenti al suo articolo “Così i dipartimenti bloccano la riforma dell’università

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Effetto Jobs act sul mercato del lavoro?

grafico inps rifatto immagine

Fonte: INPS – elaborazione al 10 Dicembre 2015

Campo di osservazione: archivi Uniemens dei lavoratori dipendenti privati esclusi lavoratori domestici e operai agricoli. Sono compresi i lavoratori degli enti pubblici economici.

Nel grafico sono evidenziati i cambiamenti tendenziali annualizzati nel numero di posti di lavoro negli ultimi due anni, per tipo di contratto. Prendiamo la linea blu quella dei contratti a tempo indeterminato. Come si evince, a partire da gennaio 2015 i posti di lavoro a tempo indeterminato sono iniziati ad aumentare rispetto allo stesso periodo del 2014. A ottobre 2015, vi sono circa 400mila posti a tempo indeterminato in più rispetto a a ottobre 2014.
Cosa possiamo imparare, rispetto al Jobs act, da questo grafico? E’ difficile trarre conclusioni. Dal mese di gennaio di quest’anno è operativa la decontribuzione per nuovi assunti a tempo indeterminato mentre da fine marzo è operativo il nuovo contratto. Certamente hanno avuto un ruolo importante entrambe le politiche, anche se dal grafico si evicne un boom già a partire dei primi mesi del 2015, quando solo la decontribuzione era operativa.
A partire da gennaio, la decontribuzione sarà notevolmente ridotta, mentre il nuovo contratto a tutele crescenti sarà ancora operativo. Nei prossimi mesi continueremo a monitorare questi dati per avere maggiori certezze.

Cos’è cambiato con la riforma Gelmini

 

Ringrazio gli autori per i commenti ricevuti al mio articolo. Devo dire, però, che alcuni dei commenti hanno un po’ frainteso il senso dell’articolo. Cerco allora di spiegare meglio il mio punto di vista. Indubbiamente, la legge Gelmini non è la panacea di tutti i mali, né la migliore delle riforme possibili. Non ho detto questo. Ho detto solo che rispetto ai concorsi locali che c’erano prima, la Gelmini ha introdotto almeno una valutazione di massima e la verifica di uno standard minimo per l’accesso alla carriera di professore universitario. Gli scambi di favori fra baroni erano all’ordine del giorno prima della Gelmini: “Io faccio associato/ordinario tuo figlio/nipote/allievo e tu il mio”. Molte persone che con i concorsi locali avrebbero vinto a man bassa, con la riforma Gelmini non hanno ottenuto le abilitazioni o non hanno neppure fatto domanda.
È altresì vero che ci sono state differenze non trascurabili fra i diversi settori scientifico-disciplinari. Alcuni settori, rifiutando l’uso di metri di valutazione oggettivi e trasparenti, hanno applicato criteri discrezionali e perciò discutibili, promuovendo non tanto (o non sempre) sempre i più bravi, ma quelli più vicini alla commissione, come è nella tradizione di tutti i concorsi universitari italiani. Soprattutto i settori non bibliometrici hanno mantenuto una eccessiva discrezionalità che non sempre ha premiato i migliori. Ma se si va a chiedere ai giovani di questi settori cosa ne pensano, come presi dalla sindrome di Stoccolma, continuano a dire che occorre mantenere la discrezionalità di valutazione delle commissioni e, sinceramente, a chi scrive cadono le braccia. Viene il dubbio che il sistema sia irriformabile.
Altri settori ancora hanno abbassato troppo l’asticella, promuovendo una percentuale troppo alta e facendo così un grave torto ai più bravi in quel settore che sono stati penalizzati dalla conseguente svalutazione del titolo di abilitazione.
Un problema della riforma è che anziché imporre tutto dall’alto, sta cercando di favorire un processo di learning by doing che per i professori universitari sembra difficile e che rischia di far fallire la riforma come è stato per altre riforme importanti che sono state introdotte senza adeguata discussione e introiezione da parte di chi la doveva attuare. Perciò vi sono ancora tante incomprensioni, talvolta anche dei propri stessi interessi da parte di alcuni attori, come i più giovani e bravi dei settori non bibliometrici di cui si è detto sopra. C’è poi un tentativo di neutralizzare la riforma laddove sottrae potere ai baroni.
Insomma, ci sono tanti aspetti della legge GeImini che richiedono un tagliando. ll tema dell’articolo, però, non era “quanto è bella (o brutta) la riforma Gelmini”. Sembra che non si possa che parlare del tema “riforma sì/riforma no”. Non si può parlare invece di come migliorare la riforma. Ripeto: lo schema della riforma è molto migliorativo rispetto al passato, ma occorre anche apportare dei correttivi. Uno di questi correttivi è capire meglio chi decide quale fra gli abilitati di un dipartimento debba avere la precedenza, in specie in un regime di risorse scarse. La legge Gelmini non ha affrontato questo tema in modo adeguato.
Non ho neppure discusso di sistemi alternativi o di incentivi a scegliere personale dall’esterno. Questo è un altro discorso che non affronto in questo articolo.
Il problema che ponevo è: a parità di esterni chiamati, chi e come bisogna scegliere fra gli abilitati interni ad un dipartimento che vanno pure premiati per il lavoro fatto e non vanno necessariamente messi in competizione con degli esterni? Su questo sono pienamente d’accordo. È bene che una struttura premi chi lavora di più e meglio al proprio interno consentendo loro un necessario passaggio di carriera. Se non fosse così, verrebbe meno l’incentivo a lavorare per quella struttura.
Non ho discusso neppure di incentivi. Potrà essere naturale che decidano gli ordinari, i più anziani, come accade dappertutto. Tuttavia, altrove, nei paesi anglosassoni, pur non mancando le ingiustizie, che in questo mondo non mancano mai, il sistema premia in media i migliori più del nostro. Sarà anche grazie agli incentivi che nel nostro sistema mancano e sono d’accordo su questo con Alberto Rotondi.
Tuttavia, siccome gli incentivi non ci sono ancora e finché le risorse sono e saranno scarse e immagino che il quadro degli incentivi non cambierà per molto tempo ancora, che facciamo? Consentiamo agli anziani di fare quello che vogliono? Cioè di scegliere parenti/amici/allievi meno meritevoli perché a loro conviene fare così? Finché non ci sono le risorse e gli incentivi, riconosciamo il diritto all’abuso? Ecco, questo è il punto dell’articolo. Nel frattempo, finché mancheranno incentivi economici a scegliere i migliori, occorre introdurre criteri oggettivi, trasparenti, misurabili per costringere i più anziani, visto che gli incentivi gli fanno difetto, a scegliere i migliori e non chi fa a loro più piacere o più comodo, facendo perdere anni ed anni di carriera ai più bravi. Tutto qua.
Non entro approfonditamente nel merito dei criteri. Bisogna pensare bene a questo. Alcuni criteri sono però oggettivi e verificabili: il conseguimento di un’abilitazione di prima fascia per una promozione di seconda fascia, il numero complessivo delle abilitazioni, la quantità e continuità della produzione scientifica di un certo livello (magari totale di articoli in riviste di classe A normalizzate per le riviste totali di classe A di quel settore, poiché alcuni settori hanno dichiarato di classe A tutte le loro riviste di settore), fabbisogno della facoltà per il personale appartenente a quel determinato settore, anzianità di servizio del docente etc etc. Ci sono tanti criteri oggettivi che si possono adottare e che limiterebbero facilmente gli abusi attuali. Il punto non è definire i criteri, che spesso sono concorrenti, non discordanti e portano dritto sempre alle stesse persone, ma rendete tali criteri cogenti!
Mi auguro, infine, che il problema sollevato scompaia con le abilitazioni a sportello, che limiteranno l’affollamento, la definizione di asticelle sempre più giuste (non dico più alte) e l’eliminazione dei punti organico e la loro sostituzione con altri strumenti di definizione delle risorse disponibili. In futuro, dovrebbe essere possibile ad un dipartimento di promuovere automaticamente uno studioso meritevole che abbia acquisito un’abilitazione nazionale senza doverlo fare aspettare ingiustamente.

Il Punto

L’accordo finale alla Conferenza sul Clima (COP21) riconosce per la prima volta i rischi posti dal riscaldamento globale. Con un consenso ben più vasto rispetto a quello raggiunto a Kyoto nel 1997 e anni luce meglio del fallimentare summit di Copenhagen del 2009. Ora comincia il vero lavoro: l’attuazione dal basso degli impegni per attuare gli obiettivi ambiziosi futuri.
Rinviare la risoluzione della crisi delle quattro banche dell’Italia centrale a gennaio 2016 avrebbe azzerato i risparmi anche dei detentori di obbligazioni ordinarie e dei correntisti con oltre 100 mila euro sul conto. Così dettano le nuove regole europee, create con l’illusione di rendere le banche più responsabili e i loro clienti più prudenti. Invece gli istituti di credito hanno sempre il coltello dalla parte del manico e la grande maggioranza dei risparmiatori non sa valutare i rischi. Si tratta dunque di norme pericolose, da cambiare. In attesa di correggerle, almeno c’è da minimizzarne le conseguenze nefaste.
Nel mercato del lavoro la buona notizia è che nel terzo trimestre dell’anno è cresciuta l’occupazione, in particolare dei giovani e al Sud. Ed è diminuita la disoccupazione ma – qui c’è la brutta notizia – anche perché metà delle donne disoccupate ha smesso di cercare lavoro e ora risulta “non occupata”. Per chi ha perso il posto, i decreti attuativi del Jobs act hanno ben delineato i servizi per favorire la ricollocazione. Peccato però che personale e finanziamenti non bastino: ci vorrebbero 4,5 miliardi in più.
Nel confronto urlato pro e contro i migranti la tv ha un’influenza decisamente negativa. Lo dice un’analisi dei dati dell’European social survey che mette in luce come il mezzo d’informazione più popolare contribuisca alla percezione degli “stranieri” strettamente e quasi solo legata alla minaccia del terrorismo.

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Il Punto

La crisi delle quattro banche dell’Italia centrale manda sul lastrico i risparmiatori a cui hanno rifilato i loro titoli ad alto rischio. Le istituzioni coinvolte (in modo più grave la Consob che dovrebbe vigilare sulla trasparenza dei mercati) fanno a gara nello scaricabarile delle responsabilità. E fa comodo addossarle all’Europa che non permette più salvataggi a spese dello stato. Bisognava pensarci (e informare) prima. Il meccanismo usato per risolvere questa crisi solleva poi vari interrogativi: sul ruolo dei finanziatori del “salvataggio” (Intesa, Unicredit e Ubi), su quello della Cassa depositi e prestiti che di fatto garantisce con 400 milioni di soldi pubblici e sulle procedure per distribuire l’ammanco tra i vari soggetti coinvolti.
Quando finisce una recessione, negli Usa la disoccupazione scende al 5 per cento, nell’Eurozona invece si stabilizza a livelli ogni volta più alti. Ma se è così, non basta che la Bce punti al 2 per cento d’inflazione, come scritto nel suo attuale statuto. Di cui appare evidente l’inadeguatezza quando si rischia la deflazione.
Ce la farà il mondo ad azzerare le emissioni di gas serra per la metà del secolo? L’Italia – come gli altri paesi – ha il suo piano, elaborato dall’Enea, in occasione di COP21. Ma, anche se gli impegni sono a lunga scadenza, il tempo stringe perché, oltre ai piani, serve mobilitare massicce risorse tecnologiche, economiche, di ricerca. Anche da parte del settore privato.
Entrata dalla porta dell’università, la meritocrazia nel reclutamento dei docenti rischia di uscire subito dalla finestra. A darle una spinta all’ingiù sono le armate baronali che vogliono riconquistare le posizioni perdute con la riforma Gelmini. Per impedirlo occorre cambiare la governance dei dipartimenti. Presto.
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Le tre fasi del salvataggio

Contabilità

Il Punto

Dal 2017 giù l’Ires dal 27,5 al 24 per cento: imprese tutte contente? Veramente no. Per uno dei bizantinismi del fisco italiano, il calo delle imposte sugli utili porterà con sé la svalutazione di una voce attiva dei bilanci aziendali, specie di quelli delle banche. In vista una soluzione anche più pasticciata del problema originario.
Il metano ti dà una mano, diceva un azzeccato slogan pubblicitario. Non è proprio così quando si guarda alle cause dell’effetto serra. Perché al riscaldamento globale contribuiscono per un quarto proprio il metano e altri gas, le cui emissioni sarebbero azzerabili con costi inferiori rispetto a quelle di CO2. Un altro tema per le tante discussioni alla conferenza di Parigi.
Gli autori di una “frode carosello” tra Italia e altri paesi Ue per evadere l’Iva la passano liscia con la prescrizione per la lentezza della nostra giustizia. La Corte di giustizia europea, però, non ci sta a creare zone franche negli obblighi imposti dal diritto dell’Unione. E così la rogna arriva alla Corte costituzionale che dovrà dirimere uno spinoso conflitto tra legislazioni.
Per un passaggio in auto a basso costo c’è BlaBlaCar. Solo uno dei tanti esempi di servizi (dall’alloggio in case private al recapito di pacchi) consentiti dalle tecnologie digitali che fanno incontrare domanda e offerta a costi contenuti. Su tutte le furie le attività tradizionali che si difendono in tribunale. Ma i veri giudici saranno i consumatori.
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Il Punto

Alla Conferenza di Parigi sul clima (COP21) si parla molto di “decarbonizzare”. Come? Aumentando la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili e gas naturale e rendendo sempre più efficiente il consumo finale. Impresa non facile: un confronto tra vari paesi ci dice che le emissioni di carbonio sono diminuite negli anni, ma davvero di poco.
I mercati sono rimasti delusi dei tre interventi della Bce annunciati da Mario Draghi: estensione temporale del Qe fino al marzo 2017, reinvestimento dei rendimenti del programma (cioè un moderato aumento di bond acquistati), incremento della tassa che le banche pagano per parcheggiare i soldi presso la Bce. Il rischio è che rimangano lì inutilizzati finché le banche saranno piene di crediti deteriorati (Npl, non performing loans). Proprio per alleggerirle da questo peso, in Italia arrivano nuove norme mirate ad accorciare la durata dei fallimenti, facilitare il concordato preventivo, sveltire le procedure esecutive. L’idea è di far decollare il mercato degli Npl, finora asfittico. In ogni caso, e per molto tempo, proprio il dilagare delle sofferenze creditizie ha portato a compimento la mutazione antropologica di banchieri e bancari. Un tempo adagiati su sedici mensilità e ampi margini di profitto. Oggi alle prese con complicati prodotti finanziari, mercati globali, concorrenza, regole complesse e severe. E con le sedie traballanti.
Al primo test elettorale in un collegio vicino a Manchester, il nuovo leader laburista Jeremy Corbyn mette a segno una netta vittoria. Attaccato dai moderati del suo partito come troppo radicale, ha un programma che però può imporre forti temi sociali nell’agenda politica. Come racconta una Lettera da Londra.
Anche i ragazzi tra 11 e 14 anni – finora i maggiori lettori di libri in Italia – stanno abbandonando gradualmente questa buona abitudine. Peggiori o al palo le altre fasce d’età. Mentre nelle statistiche per genere le donne continuano a surclassare gli uomini. Arriverà una boccata d’ossigeno dal bonus di 500 euro destinato a consumi culturali dei diciottenni?
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Laburisti tra Corbyn-mania e Corbyn-ansia

Dopo la netta vittoria elettorale nel collegio di Oldham West (hinterland di Manchester), la sinistra moderata inglese cerca di valutare il peso elettorale del nuovo leader laburista, il radicale Jeremy Corbyn. Scetticismo sulla leadership Corbyn rimane. Per molti è comunque un candidato sconfitto in partenza che condanna il paese a un lungo periodo di egemonia Tory. Le sue proposte economiche sembrano ispirate da posizioni ideologiche superate. Infine, il Labour sembra tornare indietro di 40 anni. C’è del vero in tutte e tre le critiche. Ma è sufficiente per bocciare Corbyn?

Il Punto

In questi giorni la Cina muove passi decisivi per diventare davvero una superpotenza. Può dare una svolta decisiva al buon esito di COP21, la conferenza sul clima di Parigi. Mentre lo yuan-renminbi affianca dollaro, euro, sterlina e yen nel paniere delle valute del Fondo monetario. Ma la rotta di Pechino verso il mercato marcia lentamente così come le riforme delle politiche su famiglia e previdenza.
Sulla base delle stime Istat, è quasi impossibile che il Pil 2015 cresca dello 0,9 per cento come scritto nei documenti ufficiali. Dopo la mezza delusione del terzo trimestre, servirebbe un’accelerazione – tutt’altro che scontata – nell’ultimo scorcio dell’anno. Una mano per il 2016 la darà probabilmente ancora Mario Draghi che giovedì 3 dicembre spiegherà come la Bce intenda rafforzare il suo sostegno al credito e alla ripresa dell’Eurozona. Intanto spieghiamo uno dei problemi tecnici su cui il motore della moneta unica rischia di grippare: il Target2, la piattaforma di compensazione nei pagamenti tra banche commerciali, banche nazionali e Bce stessa.
Studiare costa caro ma rende poco: così la pensano molti diplomati e un quinto dei laureati, convinti che il loro lavoro possa essere svolto con un titolo di studio inferiore. I numeri veri descrivono un quadro un po’ diverso che però conferma l’evidenza di un inefficace utilizzo del capitale umano nel mondo del lavoro. È anche per questo che i giovani disoccupati rimangono il 40 per cento del totale. È ben poco diffusa la contrattazione aziendale, che la legge di Stabilità cerca di incentivare anche su invito della Commissione Ue. I lavoratori più trascurati da questo strumento delle relazioni industriali sono precari e donne (come al solito!). Ma anche chi è diretto da un management di scarsa qualità.
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