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Categoria: Rubriche Pagina 151 di 258

Il Punto

Il premier Renzi annuncia 45 miliardi di tasse in meno per i prossimi tre anni. Se con le tasse scenderà anche la spesa, la riduzione del carico fiscale sarà sostenibile. Se no, sarà solo un tentativo di recuperare consenso. Si comincerà dalla tassa sulla prima casa, la più odiata da molti italiani ma anche la base dell’autonomia fiscale dei comuni. In ogni caso studi recenti indicano che, se ben congegnato (cioè aumentando in parallelo le aliquote sulle seconde case), il taglio delle tasse sull’abitazione principale può aiutare l’economia.
Si fa presto a dire, come fa Tsipras, “i soldi sono andati alle banche e non al popolo greco”. In realtà – piaccia o no – gli istituti di credito ellenici non hanno investito in titoli tossici o derivati. Hanno invece finanziato imprese e famiglie e raccolto i risparmi dei cittadini meno abbienti, quelli che non portano il denaro all’estero.
È scomparso dai decreti attuativi del Jobs act il salario minimo per i lavoratori non coperti da un contratto collettivo. Si spreca così l’occasione per introdurre uno strumento di equità nel rapporto lavoratori-imprese.
Se gli investitori stranieri stanno alla larga dall’Italia è perché qualsiasi controversia davanti a un tribunale civile comporta tempi biblici. E anche la scorciatoia dell’arbitrato è frenata da limiti che, seguendo le indicazioni della commissione Onu-Wto che se ne occupa, si potrebbero superare. Ad esempio, dando agli arbitri più potere di disporre sequestri cautelativi e rendendo meno facilmente impugnabili le loro sentenze.
Mentre la Ue trova l’accordo per distribuire 35 mila profughi, comuni e regioni cercano di limitare lo squilibrio a favore degli extracomunitari nella concessione degli alloggi pubblici in affitto. Lo fanno con un pre-requisito di un numero minimo di anni di residenza nel territorio. Non basta, perché i poveri stranieri sono quasi sempre più indigenti dei poveri italiani.
Diego Valiante risponde ai commenti al suo intervento Grecia: parola d’ordine “ricapitalizzare”

Diego Valiante risponde ai commenti

Non vi è alcun dubbio che si debba parlare di politiche economiche ed industriali anche a livello europeo, ovvero su come rilanciare la crescita in Europa ed in particolare in aree particolarmente depresse quali la Grecia. Ricordo di aver già scritto su questo sito riguardo al problema degli investimenti in Italia, quindi su temi economici legati alla non-crescita del nostro paese a prescindere dallo stato del sistema bancario locale.
Tuttavia, non si può prescindere dal fatto che non c’è sviluppo economico senza un sistema finanziario che funzioni bene.

Il Punto

Code ai bancomat e fughe di capitali, crediti deteriorati per il 40 per cento del totale e casse piene di titoli pubblici spazzatura: le banche greche sono in ginocchio. Per ricapitalizzarle arriveranno tra 10 e 25 miliardi del piano di salvataggio attraverso l’Esm (European stability mechanism). Il recupero di stabilità del sistema creditizio non è un regalo alle banche ma un sostegno al ritorno del bene più prezioso per la Grecia di oggi, la fiducia. Su questi temi un nuovo intervento nel confronto che abbiamo aperto.
La relazione annuale dell’Inps contiene cinque proposte di riforma. Una riguarda il funzionamento dell’Istituto, quattro i lavoratori anziani nel mercato del lavoro. Reti di protezione per gli over 55 servono, eccome, se non si trasformano in un incentivo a espellerli dalle imprese.
È pronto il nuovo disegno dei collegi elettorali previsti dall’Italicum. Il governo può modificarlo prima dell’emanazione del decreto legislativo compiendo magari – come purtroppo succede – qualche forzatura. Speriamo di no, perché il lavoro fatto dai tecnici ubbidisce a una varietà di criteri sufficientemente neutri.
Si chiamano “margin loan” i principali responsabili della bolla del mercato azionario cinese che ha cominciato a sgonfiarsi dopo dodici mesi di Toro. Sono acquisti a leva, prendendo a prestito liquidità garantita con depositi o con azioni. Della bolla c’è però anche una possibile spiegazione politica …
Crescono criminalità informatica e hackeraggi e si affinano le misure di protezione. Riconoscimento facciale, lettura delle impronte e del tracciato cardiaco, scansione vocale, identificazione dell’occhio e persino dell’orecchio sostituiranno le password. Qui il futuro – non troppo lontano – è biometrico.

Il Punto

Dopo la “crocifissione” di Tsipras parte il nuovo programma di aiuti alla Grecia per oltre 80 miliardi di euro. Di questi, pare di capire, 23,5 miliardi andranno in rimborsi a Fmi e Bce, 25 alla ricapitalizzazione delle banche elleniche e circa 35 all’economia reale. Intanto si continua a discutere sulla vera destinazione dei soldi nei due precedenti salvataggi. Abbiamo aperto un confronto su questo tema. Dopo un primo articolo sul tema, un calcolo più dettagliato indica che gli aiuti del passato sono andati soprattutto alle banche del cui salvataggio l’Europa avrebbe dovuto – ma non ha voluto – farsi carico.
Mentre tutti pensavamo alla Grecia, è andato in porto l’accordo stato-regioni per tagliare 2,3 miliardi di spesa sanitaria. Ai tagli però nessuno crede, tanto che già nell’accordo si prevede una spesa 2016 in salita da 110 a 113 miliardi. Un bel ripiano preventivo. Sarebbe ora di cominciare a distinguere, tra le regioni e dentro le regioni, chi ha già fatto i compiti e chi non ha nemmeno aperto i libri (contabili).
Se le banche italiane negano finanziamenti a imprese e famiglie è anche perché i loro bilanci sono zavorrati da 200 miliardi di crediti in sofferenza. Un recente decreto legge ne agevola la cessione e il trattamento fiscale. Ma per gli istituti con minori coperture la soluzione più conveniente rimane una bad bank pubblica.
Sono stati 64 mila gli stranieri che hanno chiesto asilo all’Italia nel 2014, su 626 mila dell’intera Ue. Per ognuno di essi spendiamo meno di altri paesi e offriamo un’accoglienza caratterizzata da frammentarietà delle strutture, sovraffollamento, incertezza nei tempi di permanenza e distribuzione territoriale disomogenea.
Daniele Fano commenta l’intervento di Angelo Baglioni e Andrea Boitani “Adesso rottamiamo la Troika
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Giovani greci, la punta dell’iceberg

A una settimana dai risultati del referendum greco e con l’ultimo vertice europeo alle spalle, l’unica speranza per uscire dalla crisi in maniera duratura è mettere sul tavolo nuove idee, con l’obiettivo di dare un futuro ai giovani e di sanare gli squilibri macroeconomici all’interno dell’area dell’euro.

Il Punto

La riforma della scuola approvata dal Parlamento contiene tre importanti novità: un aumento delle risorse dopo anni di tagli, il rafforzamento del ruolo manageriale dei presidi, uno sforzo di progettazione in un sistema che oggi sopravvive alla giornata. È una scommessa aperta per un possibile salto di qualità.
Davvero, come dice Tsipras, i prestiti alla Grecia sono subito tornati alle banche tedesche e francesi e non sono arrivati al popolo? A conti fatti, non è andata proprio così. Se ai cittadini ellenici è arrivato poco, le responsabilità sono anche di chi li ha governati. Rimane che negli ultimi cinque anni il peso dei singoli creditori nei confronti di Atene è molto cambiato. La Francia si è quasi defilata. Italia e Spagna, invece, in prima fila con la Germania per esposizione.
La partnership pubblico-privato prefigurata dal piano Juncker rischia di non decollare mai. Per le Pmi le garanzie europee messe a disposizione per accedere a finanziamenti bancari abbattono poco il costo del credito. E l’esperienza insegna che, nella realizzazione di infrastrutture, servono soldi pubblici (più di quelli previsti dal piano) per coinvolgere le imprese.
Gli europei viaggiano sempre più – sulle lunghe distanze – in pullman. Anche in Italia, soprattutto nel Centro-Sud. Un fenomeno che assomiglia al boom delle compagnie aeree low cost. Bene qualche regola per evitare il far west.
La globalizzazione in tre decenni ha cambiato radicalmente la mappa sia dell’offerta sia della domanda di vino. L’Europa non ha più il quasi-monopolio dei vigneti e gli europei mediterranei apprezzano sempre più birra e altri alcolici. Lo spazio per difendere le posizioni è sullo stretto crinale qualità/prezzo.
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Il Punto

Il popolo greco ha detto no a un nuovo programma di aiuti con condizioni troppo vessatorie. Ma così Atene è in default e la Bce non potrà più offrire liquidità di emergenza alle sue banche. Per uscire dalla trappola l’Europa potrebbe farsi carico dei debiti greci con Fmi e Bce con il fondo salva-stati (Esm). L’allungamento a dieci anni della scadenza minima del debito consentirebbe di impostare le vere riforme di cui ha bisogno la Grecia. Serve una svolta che trasformi un paese abituato a vivere al di sopra dei propri mezzi in un sistema economico-sociale capace di usare al meglio le sue opportunità.
Sotto le macerie del referendum e della crisi rimane in ogni caso l’inadeguatezza della politica europea dei parametri. Aiuterebbe un colpo d’ala di politica fiscale federale che aumenti gli investimenti pubblici o tagli le tasse in tutta Europa archiviando i deliri algebrici degli ultimi anni. Oggi le scelte dell’Europa e della Grecia non sono tra euro e dracma, tra democrazia e autocrazia, ma tra – tutto sommato – limitati sacrifici distribuiti fra tutti i paesi e grandi sacrifici per i greci oggi e – chissà – per noi domani.
Nella sua seconda relazione annuale, l’autorità di vigilanza sulle assicurazioni – Ivass, ora sotto il cappello Banca d’Italia – menziona i problemi spinosi del settore (a partire dalla scarsa concorrenza nella Rc-auto) ma non propone come aggredirli. Almeno la bassa penetrazione delle polizze contro i disastri naturali potrebbe essere affrontata con la partnership tra pubblico e privato: in Francia ha funzionato.
Nonostante le quote rosa, sono solo due su dieci le donne nei cda delle società quotate italiane. Va meglio nel resto d’Europa e peggio negli Usa. Dove, però, da un commissario dell’autorità di vigilanza sui mercati parte una battaglia per una distribuzione più equa dei ruoli dirigenziali nelle imprese tra generi e tra gruppi etnici.
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Il Punto

Alle prese con il devastante tira-e-molla con la Grecia, i politici europei e il Fmi dimenticano la lezione del decennio perduto dell’America Latina negli anni ’80. A paesi in default fu inizialmente imposta un’austerità troppo dura. Ma poi arrivò il Piano Brady con il quale banche creditrici e stati sovrani si accordarono sulla riduzione del debito richiesta per ripartire. Impossibile però – come ci racconta una lettera da Atene – una svolta prima dello svolgimento del referendum indetto da Tsipras con una mossa spregiudicata e avventata. Rimane un cruciale problema di democrazia in Europa, dove i ministri delle finanze dell’area euro decidono la sorte di un intero popolo con una legittimità molto dubbia. Che ci voglia una riforma della governance della Ue lo dice anche il rapporto dei “cinque presidenti”. Ma – irrisolto il problema greco – non si può riformare un bel niente, a partire dall’Unione monetaria.
Con l’annunciata fusione tra Linate-Malpensa (controllati dalla Sea) e Orio al Serio nascerà una posizione dominante negli aeroporti lombardi. Con benefici per la redditività degli enti pubblici azionisti di maggioranza e forse a discapito dei cittadini. Per privatizzare i quattro aeroporti di Londra si scelse una strada diversa. Da cui si potrebbe imparare.
È alle battute finali la riforma del catasto. Con una grossa contraddizione: vuole ristabilire l’equità del prelievo fiscale sugli immobili e allo stesso tempo impone l’invarianza di gettito a livello locale. Creando iniquità tra comuni. Ci sarebbe più redistribuzione se l’invarianza di gettito fosse stabilita a livello nazionale.
Al via una nuova architettura delle politiche attive per il lavoro, che finora non hanno dato prova di grande efficienza. Sarà la volta buona con l’Agenzia che accentra competenze prima disperse sul territorio? Potremo misurarne il successo guardando a come funzionerà l’assegno di ricollocazione per la categoria di disoccupati che cercano lavoro da sei mesi.
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La Grecia decide il proprio futuro

Come in ogni tragedia greca che si rispetti, c’è qualcosa di inevitabile negli eventi degli ultimi giorni. Un giovane presuntuoso e i suoi collaboratori, ubriachi dal trionfo, si comportano con arroganza in patria e all’estero, insistendo che tutti devono piegarsi alla loro volontà, perché il loro mandato vale più di quello altrui. Cinque mesi dopo, il nuovo governo greco si ritrova con le spalle al muro. Nel frattempo è riuscito ad alienarsi le simpatie di chi sperava che il suo arrivo in scena avrebbe allentato i vincoli di austerità, facilitando un ripensamento della politica economica a livello europeo. Invece no: l’unico risultato sostanziale delle buffonate di Yanis Varoufakis e dei suoi colleghi è stato quello di ricompattare la fragile unità europea, ma nel senso “sbagliato”: rafforzando la linea ordoliberale di chi come Wolfgang Schäuble vedrebbe di buon occhio un’Europa senza la Grecia. Per il resto, grande amicizia con la Russia di Putin (con tanto di inchino del ministro dell’Energia greco al dirigente di Gazprom in diretta televisiva), continuità assoluta con le peggiori tradizioni corrotte e clientelari (dalle ondate di assunzioni di cugini, nipoti, amici e amanti, ai primi grossolani conflitti d’interesse) e svolta autoritaria (con inasprimento della retorica forcaiola e uso disinvolto delle istituzioni statali a fini strettamente di parte). Per quanto riguarda la politica sociale, le tanto attese misure contro la “crisi umanitaria” si sono presto rivelate meno generose di quelle palesemente inadeguate dei governi precedenti. Sul fatto che solo uno su dieci disoccupati percepisce qualsiasi prestazione sociale di sostegno al reddito (nel paese campione europeo della disoccupazione) regna il silenzio assoluto. Il reddito minimo, promosso dalla Commissione europea, viene bollato dal ministro responsabile come “roba africana voluta dall’Fmi”. Allo stesso tempo, secondo gli ultimi dati ufficiali, tra chi è andato in pensione a maggio 2015, uno su quattro ha un’età inferiore a 55 anni (addirittura, è uno su tre nel settore pubblico). Ma “le pensioni non si toccano”, e visto che quelle basse non le vuole comunque toccare nessuno, vengono difese a spada tratta soprattutto quelle baby e d’oro. Dopo cinque anni di austerità e sette anni di depressione, l’economia greca era tornata a crescere nel 2014. Si trattava di una ripresa timida e pallida: +1 per cento. Ma intanto la disoccupazione cominciava a scendere, seppure di poco. Ora non più: nei primi mesi del 2015 la Grecia è ancora una volta in recessione e la disoccupazione sta di nuovo crescendo. Alexis Tsipras è arrivato al potere promettendo agli elettori una medicina miracolosa e indolore: “Stracceremo gli accordi con la Troika, aboliremo l’austerità con un atto parlamentare”. A chi chiedeva “Se è così facile, come mai nessun governo l’aveva pensato prima?” rispondeva “Perché chi era al governo prima era servo dei creditori. Al contrario di loro, noi nelle trattative saremo duri”. “E se i creditori non cedono?” “La probabilità che succeda qualcosa del genere è meno di una su un milione” aveva dichiarato Tsipras in una ormai famosa intervista televisiva pochi giorni prima delle elezioni di gennaio scorso. Adesso è successo quello che non sarebbe mai dovuto accadere. Il governo che avrebbe messo fine all’austerità ha offerto ai creditori un programma di 8 miliardi di euro (cioè poco meno di quello proposto dai creditori stessi), ma molto meno credibile, composto al 93 per cento di improbabili aumenti di tasse. A questo punto, invece di sporcarsi le mani con un nuovo accordo, Tsipras e Varoufakis hanno preferito passare la patata bollente agli elettori, anche a rischio di Grexit, lasciando scadere il programma attuale (martedì 30 giugno) e dando la colpa all’Europa “lontana dalle radici democratiche”. Grazie alla decisione di Mario Draghi di non peggiorare la situazione, la Banca centrale europea non ha staccato la spina al sistema bancario (come presumibilmente imporrebbe il suo statuto), ma non ha neanche aumentato l’iniezione di liquidità (come un po’ incoerentemente chiedeva il governo greco). Risultato: capital controls, limite di prelevamento a 60 euro al giorno, code di pensionati e casalinghe. E sgomento, rabbia, paura. La scommessa di Tsipras è che, con un richiamo da manuale al ferito orgoglio nazionale, la vittoria al referendum sarebbe assicurata. E puntualmente, lo schieramento a favore del “no”, oltre ai nazionalisti di Panos Kammenos, ministro alla Difesa, si è allargato a comprendere i nazionalsocialisti di Alba Dorata. Cosa mai potrebbe andare storto per il governo?
Certo, il Consiglio di Europa, che non si occupava della Grecia dai tempi dei colonnelli, ha espresso il suo allarme per le (tante) irregolarità di questo referendum e per la mancata imparzialità delle istituzioni dello Stato. Ma (come hanno subito spiegato gli opinionisti del regime) tanto si sapeva già che l’Europa non sopporta più il governo greco. Quello che invece non hanno potuto prevedere Tsipras e i suoi, era il risveglio della Grecia europeista – quasi del tutto priva di rappresentanza politica, ma decisa lo stesso a difendere le conquiste più nobili degli ultimi quaranta anni: democrazia avanzata, orientamento europeo e (nonostante tutto) prosperità e coesione sociale. Le masse di cittadini che hanno riempito Piazza Costituzione, non per insultare il governo, né tantomeno per rompere vetrine o bruciare macchine, ma semplicemente per dichiarare pacatamente la loro appartenenza greca e europea (“Restiamo in Europa!”), complicano i calcoli del governo.
E fanno sperare che un’altra Grecia sia possibile.

Il Punto

Mentre il governo greco continua a pretendere dai partner europei la firma su un assegno in bianco con nuovi aiuti, l’Europa si ostina su stupidi dettagli di un programma che richiederà anni per essere attuato. Intanto la Grecia è vicina al default e, forse, all’uscita dall’euro. Nella dannosa confusione di ruoli nell’Eurozona di questi mesi l’unica istituzione che ha fatto politica (cioè compromessi) è stata quella che dovrebbe essere solo un organismo tecnico: la Bce guidata da Mario Draghi. Forse le si può chiedere di più: riammettere Atene tra i beneficiari del Quantitative easing di 60 miliardi al mese e scongelare l’attuale soglia di 89 miliardi di liquidità di emergenza. Se torna la liquidità, il rischio insolvenza si allontana.
Riconoscendo il matrimonio delle coppie omosessuali, la Corte suprema degli Stati Uniti ha affermato che sposarsi è un diritto fondamentale che nemmeno necessita di una legge per regolare unioni dello stesso sesso. Una lezione di libertà su cui è bene riflettere in Italia.
Un po’ di diseguaglianza nella distribuzione dei redditi e della ricchezza serve a creare incentivi a far meglio. Ma se gli squilibri distributivi sono troppi si blocca l’ascensore sociale. Anche negli Usa, la “terra delle opportunità”, dove il 93 per cento dei guadagni della ripresa del 2009-2010 è andato all’1 per cento delle persone più ricche.
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