Visto che la Grecia ha cominciato a svolgere i “compiti a casa”, l’Eurogruppo le ha fatto alcune concessioni. Importanti, ma tardive e insufficienti. Per il momento scongiurano il rischio di Grexit, l’uscita di Atene dall’euro. Ma per quanto tempo? Ci vorrebbe un taglio del valore nominale dei crediti detenuti da Bce e governi europei.
Bersani rispetto a Renzi ha raccolto maggiori consensi nelle province più povere (e con più basso capitale umano e sociale). Lo dice un’elaborazione dei dati del primo turno delle primarie del centro-sinistra che abbiamo rappresentato in un grafico. Forse perchè si aspettano che Bersani non taglierà né tasse né spesa pubblica? Uno dei temi forti richiamati dai due contendenti è l’istruzione. Bene. Ma su scuola e università Bersani non riesce a nascondere qualche ambiguità. Che il responsabile Pd del settore, in una lettera al nostro sito, cerca di dissipare.
Al tema dell’energia il Governo Monti ha dato sinora pochissima attenzione. L’occasione per recuperare può essere il prossimo varo della Sen, Strategia energetica nazionale. A patto che non si limiti a provvedimenti di breve periodo. Ecco qualche suggerimento.
Quale programma economico presenterà il Movimento 5 stelle alle prossime elezioni? Non è noto, però possiamo trarre molte indicazioni da quello presentato per le recenti elezioni siciliane. Dal modello quasi autarchico “a chilometro zero” alla sospensione delle cartelle esattoriali per gli agricoltori.
Nuova versione del redditometro dal prossimo gennaio. Mette a confronto redditi e spese ed è un utile strumento di lotta all’evasione. Ma da usare con grande cautela. Perché presuppone che ogni acquisto sia effettuato con il reddito dell’anno. Senza considerare risparmi, accantonamenti, eredità. L’Agenzia delle entrate potrebbe utilizzare meglio le banche dati di cui dispone.
Sono maggiori di quelle dichiarate le sofferenze delle banche italiane. Non le fanno emergere come dovrebbero per motivi fiscali e perché sarebbe evidente la necessità di ricapitalizzazioni sgradite agli azionisti di maggioranza. Così, con troppi crediti indigesti in pancia, aumenta la loro “prudenza” nel prestare denaro alle imprese. Rimane aperta la questione della Cassa depositi prestiti e delle fondazioni.
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In base ai dati del primo turno delle Primarie del centro sinistra, il grafico mostra la relazione tra la differenza di voti ottenuti da Bersani e Renzi provincia per provincia e il reddito pro-capite delle diverse province.
Fonte: Istat e www.primarieitaliabenecomune.it.
L’asse verticale mostra la differenza tra la percentuale di voti ottenuti da Bersani e quella di Renzi. Ad esempio se Bersani ha ottenuto il 46 per cento e Renzi il 36 per cento in una provincia, il “punto” assume valore 10, se Bersani ha ottenuto il 36 per cento e Renzi il 46 per cento, assume valore -10. L’asse orizzontale mostra il pil pro-capite medio negli anni 2000-2008.
Bersani sembra avere preso più voti di Renzi soprattutto nelle province più povere, forse perchè si è presentato come un candidato che non taglierà né spesa pubblica né tasse, in linea con quanto tipicamente dichiarato nei sondaggi dalle persone con reddito più basso. La relazione è forte: la linea rossa, che interpola i vari punti, ci dice che passando da una provincia con 25.000 euro di reddito pro capite a una con 20.000 euro, il vantaggio di Bersani nei confronti di Renzi sale da poco più del 2 per cento a quasi 12 punti percentuali.
Elaborazioni dati: Davide Malacrino
Non cresciamo da oltre un decennio, la disoccupazione e’ salita al 10,8 per cento, fra i giovani supera il 35 per cento. Le ammnistrazioni pubbliche intermediano la metà di quanto il paese produce, evidentemente senza riuscire ad incidere sulla crescita. Per finanziare questa spesa, spesso inefficiente, per farlo hanno portato la pressione fiscale oltre il 50 per cento. Quarant’anni fa era poco sopra il 30 per cento e il paese creceva. Nello scorso decennio abbiamo avuto governi di centro-destra, centro-sinistra. Tecnici, ma i segni di un’inversione di tendenza non si sono visti. A me pare evidente che occorre ripensare il modo radicale al funzionamento della nostra società. Per questo mi preoccupano molto alcune affermazioni di Pierluigi Bersani, il possibile futuro presidente del consiglio.
Le banche centrali negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e Giappone restituiscono al Tesoro il reddito sui titoli di stato del proprio paese che hanno in portafoglio. Sono somme ingenti, perché in tempo di crisi quei portafogli si sono gonfiati a dismisura. Così, fuori dall’Eurozona, una parte di debito è a costo zero. La Bce è stata finora assente da questa logica. Che cosa farà?
Che fine hanno fatto le gare per la costruzione e gestione di infrastrutture pubbliche in partenariato pubblico-privato? Uno studio rivela che solo 25 su cento arrivano alla fase finale della gestione. Molte si arenano a causa del contenzioso su clausole contrattuali e procedure di aggiudicazione. Molte altre perché l’ente coinvolto cambia decisione, spesso dopo un cambio di governo locale.
Rischia di nascere contraddittoria la Sen, Strategia energetica nazionale, il programma in dirittura d’arrivo di obiettivi e interventi di politica energetica fino 2020. Vuole ridurre i costi per consumatori e imprese, uno dei grandi ostacoli alla competitività italiana. Però vari obiettivi sono finanziati con un aumento della bolletta.
Con gli accorpamenti si sono abolite 64 province. E risparmieremo circa 700 milioni di euro. Ma se si eliminassero i comuni con meno di 5 mila abitanti, i tagli di spesa sarebbero quasi quattro volte tanto.
L’Europa si salva se è capace di darsi le istituzioni di una vera federazione, legittimate dal voto popolare. A cominciare da un presidente eletto dai cittadini. In un libro della serie nata dalla collaborazione tra lavoce.info e il Mulino, una visione della crisi europea e della strategia per superarla.
Se non si creano istituzioni federali, l’Europa rischia l’implosione. Lo sostiene Massimo Bordignon, intervistato da Sergio Levi, nel nuovo libro della serie de lavoce.info in collaborazione con Il Mulino: “Europa: la casa comune in fiamme”. Eccone un estratto.
La Corte dei Conti francese, facendo appunto i conti, afferma in un suo non recentissimo documento ufficiale (1)che la nuova linea Torino-Lione presenta un’utilità sociale per lo meno dubbia e più probabilmente negativa. Per affermarlo si avvale di valutazioni quantitative del tutto analoghe a quelle da anni elaborate sia in Francia che in Italia da chi ha espresso perplessità sulla priorità economico-sociale del progetto. La Corte francese ignora la lacunosa analisi costi-benefici presentata dai promotori italiani e in più si sofferma sugli aspetti finanziari del progetto che – sempre secondo la Corte – presenta rendimenti attesi trascurabili. In Italia, invece, non risulta che l’analisi finanziaria del progetto sia mai stata presentata al pubblico.
Il Primo Ministro francese – rispondendo alla nota della Corte dei Conti l’8 ottobre scorso (da qui la pubblicazione solo recente dei due documenti) – non entra in alcun modo nel merito degli allarmanti “numeri” snocciolati dalla Corte ma, in un documento di singolare lunghezza, parla dei molteplici e pressanti impegni presi in passato con l’Italia e la Commissione Europea. Sorprendentemente (o forse no), ci sono molte somiglianze tra gli argomenti del Primo Ministro francese e quelli usati da gran parte dei politici e dei governanti italiani. A Parigi e a Roma chi ha il dovere di decidere non sembra voler discutere dell’utilità sociale di questo particolare investimento in relazione ad altri possibili progetti su cui impegnare i denari pubblici, ma unicamente evidenzia come la scelta sia frutto dell’altrui volontà, che ci si è reciprocamente vincolati a soddisfare. Viene in mente – che il flatus arrivi da Roma o da Parigi – l’auto-assolutorio borbottio delle vergini spose alla prima notte di nozze: “…non lo fo per piacer mio, ma per far piacere a Dio”.
Al margine, va segnalato che la nota della Corte dei Conti e la replica del Ministro hanno aperto un vivace dibattito in Francia. In Italia, invece, stampa e televisioni hanno ignorato tutto (fatta eccezione per il Fatto Quotidiano). Eppure, le notizie dalla Francia dovrebbero poter arrivare rapidamente in Italia: non devono mica inerpicarsi per le balze alpine con trogloditi treni sbuffanti. Però è meglio essere prudenti – devono aver pensato i grandi sacerdoti dell’informazione nazionale: con la situazione dei conti pubblici che abbiamo, a qualcuno potrebbero venire in mente strane idee (conclusione del malpensante Ponti). Chissà, si saranno distratti! (conclusione del Boitani buonista).
(1) Doc. CdC REF 64174 del 1° Agosto 2012
Sarà lungo e complesso il negoziato sul bilancio dell’Unione Europea. Un bilancio federale servirebbe anche per realizzare una vera unione bancaria nell’Eurozona. Dei quattro pilastri su cui deve poggiare ce n’è soltanto uno, la regolazione unitaria. Non ci sono la vigilanza, l’assicurazione dei depositi, un’autorità per la risoluzione delle crisi.
È in palese conflitto d’interessi la vigilanza sulle fondazioni del ministero dell’Economia. Lo dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, la vicenda della conversione delle azioni della Cassa depositi e prestiti. Da 20 anni si aspetta invano la creazione di un’autorità indipendente per il non-profit. Questa sarebbe la soluzione più razionale.
Dopo il deludente accordo sulla produttività, bene interoggarsi su come tagliare il cuneo fiscale. L’Italia è uno dei paesi Ocse con la maggiore differenza tra costo del lavoro e retribuzione netta e questo penalizza la nostra competitività internazionale. Facciamo qualche conto su come si potrebbe tagliare e con quali benefici.
Sono meno di una volta i giovani italiani ma sempre più dei “vecchi” intorno ai 50 anni. Eppure i problemi dei secondi ricevono maggiore attenzione dal mondo politico e sindacale. Sui giovani, molte parole ma pochi fatti. Perché?
La tassazione è parte costitutiva e rilevante del patto che lega i cittadini allo Stato. E proprio per questo il fisco italiano va cambiato. In che modo lo spiega Dino Pesole nel suo libro “Il salasso”. Ne pubblichiamo alcuni stralci.
Terza puntata della nostra valutazione di un anno di Governo Monti. Alle 14 schede già pubblicate e raccolte nel Dossier se ne aggiungono tre. Sui trasporti, inevitabilmente oggetto di tagli ma senza criteri che ne incentivino l’efficienza, mentre si rimanda l’avvio dell’autorità del settore. Sull’agenda digitale, viva solo sulla carta. Sull’immigrazione, un tema su cui ministri competenti hanno adottato uno stile sobrio in salutare discontinuità rispetto al precedente Governo, senza però varare i provvedimenti importanti di cui si sente la necessità.
Quando la corruzione diventa sistema, coinvolgendo un’intera comunità cittadina che costruisce un muro omertoso contro la legalità: un caso verificatosi in Calabria ne spiega bene i meccanismi. Una storia di 11 milioni di euro finiti nelle tasche di oltre 4 mila falsi braccianti grazie alla complicità di funzionari Inps, politici, sindacalisti, consulenti del lavoro, commercialisti. Mentre i veri braccianti, stranieri, lavoravano in nero.
Fa male alla salute il lavoro precario. Una ricerca documenta e misura quanto l’instabilità lavorativa prolungata danneggia psicologicamente. Più gli uomini delle donne.
Con l’esercito di lavoratori dipendenti che contribuisce per l’80 per cento alle entrate dello Stato pur detenendo solo il 30 per cento della ricchezza nazionale, il sistema fiscale italiano è strutturato in modo fortemente squilibrato. Torna sull’argomento un nuovo libro con un titolo inequivocabile: “Il salasso”