Fin dalla loro nascita le fondazioni bancarie avrebbero dovuto finanziare progetti di utilità sociale. La crisi in atto rende irrinunciabile questo ruolo a complemento delle misure decise dal governo. Dovrebbero dare garanzie per prestiti a famiglie e imprese in difficoltà.
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In attesa del Def (Documento di economia e finanza) il 2015 dei conti pubblici è finito con un deficit al 2,6 per cento del Pil, in linea con gli obiettivi. Più grazie al calo dei tassi garantito dalla Bce che per il rigore di bilancio nostrano. Per il futuro non mancherà il sostegno di Francoforte, mentre è tutta da negoziare l’estensione della flessibilità Ue e dell’aggiramento delle clausole di salvaguardia.
Votare al referendum no-triv significa decidere se le concessioni per 21 piattaforme (non trivelle) di estrazione di idrocarburi operative entro 12 miglia dalla costa debbano o no essere rinnovate alla loro scadenza. Proviamo a chiarire i termini della questione che si sono persi per strada in una campagna referendaria scorretta e fumosa. E vediamo, cifre alla mano, quanta produzione di combustibile mette a rischio il referendum dal punto di vista del nostro fabbisogno e della dipendenza energetica. Ben poco.
Le banche italiane nella tempesta di borsa hanno due seri problemi. Ci sono sofferenze che zavorrano i loro bilanci e che governo e banchieri cercano di scaricare in una bad bank di sistema nonostante i divieti Ue. E poi c’è il rischio di mancata sottoscrizione di aumenti di capitale, il che potrebbe preludere al ritorno dei soliti noti: fondazioni bancarie e Cdp, in una salvifica ammucchiata.
Un quarto di America pazza per Trump. Per gli altri tre quarti il trumpismo è oggi improponibile. Ma se modera i toni, il magnate potrebbe farcela. Il come ce lo racconta una “Lettera dagli Usa”.
Dopo la vittoria del partito di Aung San Suu Kyi, l’ex-Birmania – oggi Myanmar – torna sulla scena mondiale. L’entusiasmo degli investitori ha spinto il nostro ministro degli Esteri ad andarci in questi giorni a caccia di opportunità. Cosa può offrire questo nuovo importante pezzo di mercato asiatico?
La misurazione dell’impatto sociale è un tema sempre più attuale. Ma non è un’impresa facile, come dimostrano alcune esperienze internazionali. In Italia, a indicare un percorso di studio e condivisione potrebbero essere le fondazioni erogative, grazie alle loro particolari caratteristiche.
La Banca d’Italia diventerà una public company con un semplice decreto del Governo. Sono sicuri, Letta e Saccomanni, di fare questa discutibile riforma storica nell’interesse degli italiani?
La Banca centrale europea ha fatto capire in questi giorni che Unione bancaria europea non vuol dire bail-in e men che meno bail-out europeo. Alcune banche sono destinate a fallire e saranno i governi nazionali a doversi far carico di eventuali salvataggi. La Bce non avrà riguardo verso nessuno (banca o paese) quando dovrà esaminare i bilanci delle principali 130 banche europee, tra cui il Monte dei Paschi, Banca Carige e il Credito Valtellinese.
Le fondazioni bancarie possono contribuire a rendere il nostro sistema di intermediazione finanziaria più funzionale alla crescita delle imprese e degli investimenti. A patto di non ostinarsi a mantenere il controllo delle banche conferitarie, mettendo a rischio solidità reddituale e patrimoniale.
Tre casi recenti indicano che per le fondazioni bancarie le lezioni della crisi sembrano essere servite a poco. Continuano a perpetuare un sistema in cui la politica ha un ruolo primario di controllo sul sistema bancario. I rischi per l’economia italiana e il passo indietro dei partiti.
Se proprio si deve nazionalizzare una banca, è meglio ricorrere alle azioni ordinarie. Invece per Mps si sono utilizzati i Monti bond, uno strumento opaco, a metà tra il debito e le azioni. La ragione ultima della scelta è nella proprietà della banca, con la presenza forte della Fondazione.
La vicenda Monte dei Paschi non è dovuta a carenza di controlli, ma alla governance del nostro sistema bancario. È un caso di cattiva gestione, con precise responsabilità del management. Il nodo resta la struttura proprietaria del sistema bancario. Ma nei programmi elettorali non una parola per affrontarlo.
Grottesco. Difficile trovare aggettivo diverso per descrivere lo scontro sulla conversione in azioni ordinarie delle azioni privilegiate possedute delle fondazioni bancarie nella Cassa depositi e prestiti. Se si vuole trasformare realmente (e non solo nella forma) la Cassa in una società per azioni, si liquidino le fondazioni e si metta il 30 per cento da esse posseduto sul mercato, vendendolo al migliore offerente. Permetterebbe alle fondazioni di concentrarsi davvero sulle attività di pubblica utilità, che dovrebbero essere il loro core business e a una controllata dallo Stato di confrontarsi con veri azionisti. Si eviterebbe anche un nuovo bagno di sangue per il contribuente.