L’emergenza coronavirus, con la chiusura delle scuole, rende ancor più evidenti le difficoltà per le donne di conciliare lavoro e famiglia. Ma va affrontata anche la penalità che le mamme pagano sul mercato del lavoro in termini di salario e carriera.
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Promuovere l’accesso ai servizi per l’infanzia è una buona ricetta per sostenere la fecondità e l’occupazione femminile. Ma non deve essere solo una misura contro la povertà, bensì un autentico sostegno alla natalità e alla crescita solida del paese.
La maternità è il momento più critico nella carriera delle donne e l’accademia non fa eccezione. Abbattere il “muro della maternità” è un obiettivo prioritario nella lotta per le pari opportunità. Le università potrebbero dare il buon esempio con quattro azioni.
SPECIALE 8 MARZO
Nella Giornata internazionale della donna (auguri a tutte!) finalmente registriamo progressi nella riduzione dei divari di genere anche in Italia. Cresce l’occupazione femminile (lavora quasi la metà delle donne in età lavorativa, miglior dato di sempre) e si restringe (poco) al 14,5 per cento la forbice tra le retribuzioni di uomini e donne. Tutto bene? Non proprio. Le differenze di stipendio che rimangono aumentano molto con l’anzianità aziendale e l’età. E la scarsa mobilità verso imprese diverse non aiuta. Ci vogliono politiche incisive per aiutare le donne a conciliare tempo di lavoro e tempo di cura (della casa, dei bambini, degli anziani) che cade ancora sproporzionatamente su di loro. Incredibilmente, la nascita del primo figlio ancora implica una penalizzazione salariale per un periodo fino a 15 anni. Anche per questo l’Italia è fanalino di coda in Europa per nuovi nati. La politica può fare molto per sostenere le mamme lavoratrici o le famiglie in cui entrambi i genitori lavorano. Per ora non sappiamo cosa i vincitori delle elezioni (M5s e Lega) pensino di questi temi perché in campagna elettorale hanno parlato d’altro: flat tax, reddito di cittadinanza, cancellazione della legge Fornero. Come se le donne non ci fossero.
I dati Inps dicono che più dell’80 per cento dei congedi parentali è ancora utilizzato da donne. E la maternità comporta forti penalizzazioni in termini di reddito e di carriera. L’allungamento del congedo obbligatorio dei padri permetterebbe di ridurre le disuguaglianze sul mercato del lavoro.
Uno dei decreti attuativi del Jobs act contiene varie misure per la tutela della maternità e per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro. Ma il vero banco di prova per capire quanto il governo intenda investire sul lavoro delle donne saranno i decreti sugli incentivi fiscali.
In Italia le imprese sostengono una parte del costo della tutela della maternità. Indennizzarle completamente nei casi di lavoro a tempo indeterminato avrebbe l’effetto di incentivare un’occupazione femminile stabile. Quanto costerebbe la misura e tre ipotesi per finanziarla.