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Una lente sui contratti non rappresentativi

Il tema del tasso di copertura dei contratti firmati dai sindacati più rappresentativi resta centrale nella discussione sul salario minimo. I numeri delle comunicazioni obbligatorie per capire dove si potrebbero nascondere gli accordi non rappresentativi.

La questione dei contratti non rappresentativi

Una parte del dibattito che si è sviluppato negli ultimi mesi intorno al tema del salario minimo e, in generale, delle condizioni dei lavoratori poveri in Italia si è concentrata sulla questione della rappresentatività dei contratti collettivi nazionali. Per capire se e come intervenire per legge in materia di salario, infatti, è fondamentale capire quali ambiti non siano coperti da contratti collettivi riconosciuti. Se ne è parlato anche con vari contributi su lavoce.info, per esempio qui e qui, o più di recente in un contributo tratto dal rapporto sul mercato del lavoro 2023 della città metropolitana di Milano.

I dati solitamente utilizzati per discutere il livello di copertura dei Ccnl sono quelli in possesso dell’Inps, che riceve dai datori di lavoro le dichiarazioni contributive dei lavoratori tramite il cosiddetto flusso Uniemens. Nel modulo, i datori di lavoro sono tenuti a riportare anche il Ccnl del lavoratore. Da questa fonte (che considera lo stock del lavoro dipendente), si conosce il contratto collettivo applicato al 95 per cento dei lavoratori dipendenti in Italia. Di questi, il 97 per cento ha un contratto sottoscritto da Cgil, Cisl, Uil. I dati Inps, però, si basano sulle dichiarazioni che le imprese rendono all’Istituto a fini previdenziali e non è scontato che riflettano necessariamente il Ccnl che è effettivamente applicato e comunicato al lavoratore.

Una fonte complementare di informazioni sull’applicazione dei Ccnl sono invece le comunicazioni obbligatorie, un insieme di informazioni che i datori di lavoro sono tenuti a trasmettere al ministero del Lavoro ogniqualvolta attivano o concludono un contratto di lavoro dipendente (la stessa fonte dati utilizzata nel rapporto su Milano). È importante notare come le comunicazioni rappresentino quindi una misura dei flussi nel mercato del lavoro, e non degli stock, come nel caso Uniemens.

Un primo confronto con le comunicazioni obbligatorie

Utilizzando la versione disponibile per la ricerca delle Co, le cosiddette Cico (campione integrato delle comunicazioni obbligatorie), ci concentriamo qui sul periodo 2020-2023 per il quale possiamo ricostruire la lista delle sigle promotrici classificando i Ccnl in base ai firmatari secondo quanto comunicato al Cnel: i Ccnl firmati da almeno uno dei sindacati della cosiddetta “triplice” (Cgil-Cisl-Uil), i Ccnl firmati da altri sindacati di rilevanza nazionale (Ugl, Confsal, Cisal, Fnsi o manager) e i Ccnl firmati da sindacati minori non rappresentativi. Non si tratta di una tassonomia perfetta perché ci possono essere contratti di settori molti specifici che non sono firmati da sindacati noti ai più ma che non sono qualificabili come contratti non rappresentativi (per esempio il contratto dei piloti di aereo) o ambiti dove un contratto CGIL-CISL-UIL proprio non esiste, come nel settore della ricerca privata . Si tratta però di casi specifici e limitati nelle dimensioni e che, quindi, non invalidano i messaggi generali che si possono derivare.

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Un primo confronto aggregato tra le due fonti mostra una maggiore varietà di Ccnl nelle Cico rispetto a Uniemens: stimiamo un indice di concentrazione dello 0,85 (con un valore di 1 a significare totale concentrazione e 0 totale dispersione) in Uniemens rispetto allo 0,73 nelle comunicazioni obbligatorie. Le due fonti misurano concetti diversi (stock o flussi), ma questo primo dato suggerisce che effettivamente le informazioni riportate non siano identiche o che, perlomeno, i flussi di nuove assunzioni che alimentano lo stock di occupati abbiano una maggiore dispersione nei Ccnl utilizzati.

Tuttavia, anche nelle Cico, la maggior parte dei Ccnl riportati per i lavoratori dipendenti sono firmati dalla triplice – l’84,7 per cento -, mentre il 2,5% per cento è firmato da altri sindacati comunque rappresentativi e solo lo 0,87 per cento è firmato da sindacati non rappresentativi. Rispetto ai dati Inps interroga l’alta percentuale di lavoratori con un Ccnl non elencato, particolarmente frequenti tra i lavoratori nel settore agricolo, amministrazione pubblica e difesa, istruzione, assistenza sociale. In parte si potrebbe trattare di lavoratori con contratti aziendali (la lista include solo contratti nazionali), in parte potrebbe essere un problema di riconciliazione delle informazioni (Co e Inps usano codici diversi per i Ccnl), in parte potrebbe far emergere l’uso di contratti nazionali che non sono registrati al Cnel.

Dove sono i contratti non rappresentativi

Concentrandoci per il momento solo sui lavoratori per cui è riportato un Ccnl, i numeri sono molto simili a quelli Inps: come si può vedere nella tabella 2a, il 96 per cento dei lavoratori è assunto con un contratto della triplice, il 2,85 per cento è assunto con un contratto Ugl, Confsal, Cisal, Fnsi o manager, mentre solo lo 0,99 per cento è assunto con un contratto non rappresentativo, una cifra piccola, ma doppia rispetto a quanto disponibile in Uniemens (pag. 21, rapporto Cnel).

A livello regionale si osserva qualche differenza, ma non secondo l’usuale divisione Nord/Sud: come evidenziato nella tabella 2b, i contratti non rappresentativi hanno un’incidenza più elevata della media nazionale (ma pur sempre sotto il 2 per cento) in Abruzzo, Lombardia, Umbria, Sicilia, Campania, Molise, Calabria, Friuli e Sardegna.

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Più marcate sono le differenze a livello settoriale, come emerge dalla tabella 2c: senza grandi sorprese, percentuali elevate di contratti non rappresentativi si trovano tra i lavoratori domestici (4,7 per cento), nei servizi di supporto alle imprese (3,2 per cento), nelle costruzioni (2,7 per cento) e nel trasporto e magazzinaggio (2,5 per cento).

Tabella 2 – Dove sono i contratti non rappresentativi

I prossimi passi

Come ha concluso lo stesso Cnel, che ha depositato una proposta di legge in materia, passi avanti si potranno fare quando anche nel sistema delle comunicazioni obbligatorie sarà utilizzato il codice unico dei contratti Cnel-Inps (cosa a cui, in realtà, il ministero del Lavoro sarebbe già tenuto).

La nostra analisi preliminare permette però di tirare alcune prime conclusioni. Innanzitutto, il sospetto che le informazioni comunicate all’Inps e al ministero del Lavoro non siano le stesse non ne esce invalidato. In particolare, al ministero del Lavoro pare sia comunicata una più ampia gamma di Ccnl. Inoltre, una percentuale più importante di lavoratori è coperta da un contratto diverso da quelli registrati al Cnel, sui quali non si hanno maggiori informazioni. Tuttavia, anche nelle comunicazioni obbligatorie, i Ccnl utilizzati restano ampiamente nell’alveo di quelli firmati da Cgil, Cisl e Uil. L’incidenza dei contratti non rappresentativi è minima, ma il doppio di quanto emerge nei dati Inps e alcuni settori presentano dei livelli più critici che meritano attenzione.

L’incidenza dei contratti non rappresentativi comunque non è l’unico indicatore della loro problematicità: la mera possibilità di firmarne uno infatti ha un effetto “spada di Damocle” sulla contrattazione “buona”.

Se, poi, la tendenza all’aumento evidenziata per la città metropolitana di Milano rispetto al periodo pre-pandemico trovasse conferma anche a livello nazionale, il quadro sarebbe destinato a diventare più critico nei prossimi anni. In ogni caso, il significativo ritardo nei rinnovi e i livelli salariali di contratti assurti recentemente all’onore delle cronache mostrano che essere coperto da un contratto della triplice non è di per sé garanzia di buone condizioni di lavoro.

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  1. Savino

    I sindacati gialli sono più di quello che si pensa. Poi, gli stessi CCNL sottoscritti dai sindacati confederali sono assai discutibili in molti settori per ciò che riguarda sicurezza, precarietà e salario, nonchè per le lungaggini dei tempi di rinnovo. In generale, le organizzazioni sindacali dovrebbero essere meno burocratiche e più aperte alle tutele dei lavoratori sui singoli posti di lavoro.

  2. Carmine Meoli

    Per contrarre il fenomeno della diffusione di contratti di comodo e nello stesso tempo incrementare il monte salari ricorrerei alla introduzione di una decontribuzione totale dell tredicesima mensilità se maggiorata di almeno il 50% per le sole imprese che applicano contratti registrati al CNEL . Una buona motivaIone della
    misura neutralizzerebbe prevedibili ricorsi

  3. Jacopo Tramontano

    Complimenti per il lavoro, molto interessante davvero!
    Sarebbe interessante fare anche uno scorporo per dimensioni d’impresa, per settori più specifici, per forma giuridica (ruolo delle cooperative?) oppure ancora per la frequenza di assunzioni e cessazioni (una misura di turnover, e quindi di potere monopsonistico dell’impresa).
    Nell’articolo manca poi la motivazione sulla classificazione dei sindacati “non-triplice”: per quale motivo UGL è rappresentativa (invece di essere considerata il più grande sindacato giallo, vedasi rider) e USB e COBAS no?

  4. Stefano La Porta

    Ottimo lavoro. A fronte di questi problemi il rimedio migliore è il salario minimo, visto che la sua introduzione per legge non porterebbe a maggiore disoccupazione, come sostengono numerosi economisti dopo il brillante lavoro di David Card, per questo insignito del Premio Nobel. I suoi studi statistici sono in linea con i principi dell’economia keynesiana applicati ancora oggi: il tasso di disoccupazione è conseguenza del mercato dei beni e non del livello dei salari. Aumentando i salari (come col salario minimo) si crea un maggior reddito che conduce ad un aumento della domanda di beni rivolta alle aziende che quindi saranno spinte a produrre di più. Per produrre di più chiederanno più lavoro, aumentando l’occupazione.
    E’ anche possibile che molte imprese, in assenza di un salario minimo, cerchino competitività attraverso i salari bassi piuttosto che su un’efficiente organizzazione interna. Messe di fronte alla novità legislativa, dedicherebbero più risorse a questo aspetto, come accade nei paesi, anche europei, in cui il salario minimo è già stato introdotto.

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