Servizio idrico: dove fa acqua l’attuazione del Pnrr

Il Pnrr doveva essere l’occasione per risolvere alcune problematiche del servizio idrico, soprattutto a Sud e a partire da perdite di rete e depurazione acque reflue. A pochi mesi dalla scadenza del Piano, è ancora in collaudo il 51 per cento delle opere.

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Due riforme e 5 miliardi di finanziamento

L’acqua è una delle risorse più preziose, ma anche più fragili dell’Italia. A criticità storiche, come perdite di rete superiori al 40 per cento, si sommano gli effetti del cambiamento climatico. Disporre di un servizio idrico integrato (Sii) efficiente e sostenibile è dunque sempre più urgente. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresentava l’occasione irripetibile per superare ritardi infrastrutturali e frammentazioni gestionali che da decenni penalizzano il settore.

Per il sistema idrico integrato, il Pnrr ha previsto due riforme, per semplificare la normativa e rafforzare la governance e la capacità gestionale degli operatori, e 5,3 miliardi di euro di finanziamenti – a cui si sommano altre risorse di cofinanziamento per un totale che sfiora gli 8 miliardi – distribuiti su 568 progetti.

Tabella 1

Le riforme sono state attuate

Se allo stato competono la definizione di linee guida e indirizzi generali in materia e il finanziamento dei principali interventi infrastrutturali, alle regioni tocca la perimetrazione degli ambiti territoriali ottimali (Ato) e l’individuazione degli enti di governo dell’ambito (Ega), che organizzano il servizio e ne affidano la gestione agli operatori.

Il Pnrr ha affidato due riforme strutturali ai ministeri competenti – quello delle Infrastrutture e quello dell’Ambiente. La prima ha reso il Piano nazionale degli interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico (Pniissi) lo strumento cardine per la programmazione, semplificando la pianificazione e integrando strumenti prima frammentati. Lo scorso 16 settembre, il Mit ha firmato il decreto per lo stralcio 2025 del Piano, che destina 957 milioni di euro a 75 interventi. 

La seconda riforma punta a ridurre la polverizzazione gestionale, ancora diffusa soprattutto in Campania, Calabria, Molise e Sicilia, attraverso protocolli d’intesa per favorire aggregazioni e operatori più strutturati. Accanto alla governance, sono stati introdotti strumenti economici basati sul principio “chi inquina paga” e sanzioni per i prelievi abusivi nel comparto agricolo. Nel complesso, le riforme hanno gettato le basi per un servizio più industrializzato e meno distante tra Nord e Sud.

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Un’opera su due è in collaudo

La disponibilità di risorse è ingente, ma l’effettivo completamento degli investimenti del Pnrr nel servizio idrico è ancora lontano, pur considerando che le cifre del portale “Italia Domani” scontano un caricamento lento dei dati da parte delle amministrazioni pubbliche sul portale del Piano (“Regis”). Il 98 per cento delle iniziative è stato formalmente avviato, con gare bandite per 8 miliardi e aggiudicazioni pari al 79 per cento dell’importo. Ma i pagamenti effettivi ammontano a soli 2,4 miliardi di euro, pari al 30 per cento del totale. Nord e Centro hanno superato il 40 per cento di spesa, mentre il Mezzogiorno si ferma al 23,5 per cento. Tra le regioni, si segnalano differenze enormi: il Friuli-Venezia Giulia supera il 52 per cento dei pagamenti, quand’invece la Campania – pur essendo la più finanziata – non arriva al 10 per cento.

Figura 1

Tra i soggetti attuatori, consorzi di bonifica e gestori industriali fanno meglio di tutti, con avanzamenti rispettivamente del 44 e del 32 per cento. Molto più indietro regioni ed enti locali, che si fermano a una spesa rispettivamente del 5 e del 10 per cento. Il risultato è, quindi, un’attuazione disomogenea, in cui i soggetti meno strutturati rischiano di trascinare al ribasso l’intero comparto.

La durata media per completare un’opera idrica finanziata dal Pnrr è di 4 anni e mezzo, con le fasi preliminari che assorbono mediamente un anno e cinque mesi. A fine giugno .2025, solo il 2 per cento dei progetti risulta concluso, mentre oltre la metà è ancora in collaudo. L’avanzamento medio, misurato sugli “Indicatori Target”, si ferma al 30 per cento. I ritardi maggiori sono al Sud, dove tra l’altro si concentrano le problematiche maggiori del sistema idrico: perdite di rete vicine al 50 per cento, interruzioni del servizio che arrivano a 226 ore annue per utente (contro meno di una al Nord).

Figura 2

Il Pnrr è un punto di partenza

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Il Pnrr ha dimostrato di poter incidere sulla governance del servizio idrico, favorendo industrializzazione e riduzione della frammentazione. Ma senza un’accelerazione nella spesa e nella realizzazione delle opere, il rischio è duplice: non solo perdere i fondi europei, ma soprattutto lasciare irrisolti divari che incidono quotidianamente sulla qualità della vita di cittadini e imprese. 

L’ultimo anno del Piano sarà decisivo. Rafforzare i soggetti più capaci e continuare a finanziare gli stralci del Pniissi significa giocarsi la possibilità di ridurre il “Water Service Divide” (il differenziale di servizio tra Nord e Sud) e garantire un futuro di maggiore sicurezza idrica al paese. Altrimenti, resterà l’ennesima occasione mancata. Anche perché, le politiche europee in materia di acque (“direttiva Acque potabili”, “direttiva Acque reflue urbane”, “Strategia per la resilienza idrica”) impongono – per i prossimi anni – il raggiungimento di target e scadenze decisamente complesse, su ulteriori segmenti del Sii rispetto a quelli coperti in via prioritaria dal Pnrr, come ad esempio il trattamento dei microinquinanti e la neutralità energetica. Completare efficacemente, e nei tempi previsti, le opere già finanziate non può che essere il primo passo di un percorso di rafforzamento degli investimenti nel settore idrico.

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  1. francescomario

    N
    ell’articolo non vengono affrontati due aspetti fondamentali ,il costo di un bene prezioso come l’acqua e l’inquinamento delle acque da parte dei numerosi prodotti chimici.Bisogna aumentare il costo dell’acqua potabile legato alla rimozione dei microinquinanti,soprattutto, organici.E’ necessario affrontare il problema in modo pragmatico e tecnico.E’impensabile procedere alla rimozione dei microinquinanti in tracce negli impianti centralizzati di depurazione dei reflui per la presenza degli inquinanti ,nanogrammi, e per i costi di gestione quindi bisogna agire in altro modo.I reflui domestici contengono numerosi prodotti chimici dai farmaci ai cosmetici, in mg, quindi sarebbe opportuno procedere al trattamento in situ senza aggiungere prodotti chimici, tranne l’acqua ossigenata, usando una tecnica particolare ,la idrocavitazione.Questa tecnica produce ossidrili particolarmente reattivi che degradano e modificano le molecole rendendole più facilmente biodegradabili.Bisognerà operare a monte se vogliamo migliorare la qualità dei nostri reflui e dovrebbero quindi essere introdotti sia degli obblighi di legge per il pretrattamento sia degli incentivi.

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