Già provate dal lockdown, difficilmente le imprese potranno assumersi i costi aggiuntivi necessari alla riapertura e li riverseranno sui consumatori. E anche l’aumento dell’offerta monetaria potrebbe tradursi in un incremento dei prezzi. Per l’Italia potrebbe non essere un male.
Prezzi in aumento
A inizio maggio le associazioni di consumatori e produttori segnalavano aumenti dei prezzi. Coldiretti registrava rincari per frutta (+8,4 per cento), verdura (+5 per cento) e latte (+4,1 per cento), mentre Codacons annunciava un aggravio da 536 euro per famiglia.
Potrebbero essere le prime avvisaglie di una prossima impennata dell’inflazione nell’Eurozona, trainata dalle nuove disposizioni sanitarie per esercenti e imprese, dal dissesto nelle catene logistiche e favorita dal radicale mutamento delle politiche fiscali e monetarie.
Sul lato dell’offerta, molte attività devono affrontare nuove misure di sanificazione e, simultaneamente, limitare l’afflusso della clientela e i tradizionali volumi di vendite. In un contesto diverso, le imprese si sarebbero fatte carico di buona parte dei costi senza rivalersi sul consumatore. Ma gli oltre due mesi di quarantena hanno drasticamente eroso i margini, in special modo per le piccole e medie imprese, che hanno registrato perdite importanti di fronte a costi fissi rimasti inalterati e all’assenza di ricavi. La loro capacità di assumersi i costi della riapertura è dunque limitata e sono così probabili rincari per i consumatori. La questione coinvolge settori come commercio, cura della persona, ristorazione, turismo e trasporti.
I nuovi protocolli di sicurezza rischiano di generare costi addizionali e diminuire il tempo di lavoro. Le fabbriche devono garantire sanificazione dei locali e sistemi di controllo della salute dei lavoratori. Anche la rottura delle catene mondiali di produzione potrebbe generare effetti imprevisti sui prezzi, con conseguenze significative, soprattutto per i settori industriali più globalizzati. L’economista Stephen Roach segnala il rischio di inflazione nel medio periodo dovuto all’aumento dei costi di produzione in un mondo meno connesso.
Eppure, queste aspettative inflazionistiche sembrano smentite dagli ultimi dati ufficiali. L’inflazione interannuale dell’area euro di aprile si è attestata sullo 0,3 per cento, il dato più basso dal 2016, a maggio si prevede che scenda allo 0,1 per cento. Vero è però che negli ultimi due mesi la quasi totalità dei paesi dell’Eurozona era in quarantena, in una paralisi totale delle attività economiche non essenziali. Ciò ha provocato un brusco e forzato calo della domanda. La sospensione di molti settori tradizionali ha verosimilmente impedito il rilevamento di molti prezzi che contribuiscono al paniere Eurostat. Sono dunque dati che vanno presi con cautela.
D’altronde, come sottolinea l’Istat, l’azzeramento dell’inflazione in Italia ad aprile è imputabile prevalentemente ai prezzi dei beni energetici. E la tendenza potrebbe invertirsi ora che i regimi di confinamento sono stati gradualmente revocati in tutta Europa e il prezzo del petrolio è in risalita dopo lo storico crollo di aprile.
Tanta liquidità sul mercato
È sul lato della domanda che si concentrano le perplessità. Da una parte, è inevitabile aspettarsi una recessione nel breve termine, con una diminuzione di consumi e investimenti, che avrà conseguenze sulla domanda di asset monetari, generando una spinta al ribasso dei prezzi. Dall’altra, la Banca centrale europea si è impegnata a garantire liquidità nel mercato a volumi che non si vedevano dalla crisi del debito sovrano, annunciando a inizio giugno l’estensione del programma di acquisti di titoli di stato dell’Eurozona per 1.350 miliardi di euro fino alla metà del 2021. L’aumento dell’offerta monetaria potrebbe tradursi in un incremento generalizzato dei prezzi, compensato solo in parte dalla forzata diminuzione della velocità di circolazione della moneta.
È quindi difficile tracciare con ragionevole certezza una previsione sulle conseguenze di questa straordinaria espansione monetaria. Raramente, gli economisti predicono il futuro con successo. Le politiche espansive della Bce degli ultimi anni erano riuscite a malapena a rilanciare l’inflazione e fino a pochi mesi fa serpeggiava il timore di una stagnazione secolare. Oggi, la discussione è aperta. L’Economist sostiene che il ritorno di una inflazione sia improbabile. Altri, come il Financial Times, si aspettano lo scenario opposto.
Bisogna preoccuparsi di un riaccendersi dell’inflazione? Una crescita inaspettata dei prezzi potrebbe avere effetti benefici per paesi indebitati come l’Italia. Un aumento del valore nominale potrebbe alleggerire il peso di un debito che le previsioni ufficiali stimano intorno al 160 per cento del Pil. Il ritorno dell’inflazione non sarebbe necessariamente una brutta notizia.
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Antonio Aquino
L’esperienza degli anni settanta del secolo scorso evidenzia in effetti come un progressivo, inatteso, aumento del tasso d’inflazione può avere effetti significativamente positivi sull’onere del debito pubblico. Per disinnescare le aspettative inflazionistiche, tuttavia, negli anni ottanta le banche centrali si videro costrette a stimolare aumenti dei tassi d’interesse reali tali da determinare significativi aumenti dell’onere del debito pubblico. Sulla base di quelle esperienze sembra illusorio pensare oggi di poter fare affidamento su un aumento dell’inflazione al fine di alleggerire in prospettiva il peso del debito pubblico italiano.
Francesco Esposito
Ritengo quantomeno improprio attribuire al Financial Times le idee contenute in un articolo che, sebbene pubblicato dal quotidiano britannico, non riflette né l’opinione del suo Editorial Board né quella di un suo giornalista. Il contributo di cui al link è un Opinion di Rob Burnett che, come è precisato in calce al testo, è fund manager della società londinese Lightman Investment Management. Ben diverso il caso dell’Economist, i cui articoli, come noto, non sono firmati proprio per permettere alla testata di parlare come se avesse una singola voce. Per il resto, commento interessante.
Maurizio Sbrana
Per Le fasce popolari maggioritarie, un incremento importante dell’inflazione, sarebbe una tragedia nel dramma del postcoronavirus…
Per far calare il Debito Pubblico, che il Governo faccia una seria Riforma fiscale Che incrementi Le scarse ENTRAte da parte dei ceti benestanti…
Felice
A inzio gennaio del 2015 l’Eurozona era in zona di deflazione e l’esperienza europea, a partire dal 2015 a oggi, di immettere liquidità tramite il QE non sembra sia riuscita a produrre tantissima inflazione, anzi. Si vedrà..
Marcello Romagnoli
All’aumento del prezzo dovuto a una diminuzione della offerta e a un tentativo di recuperare furbescamente quanto perso causa non intervento governativo, corrisponderà un calo della domanda causa persone che perderanno il posto di lavoro. Quindi tra pochi mesi credo che non si porrò il problema dell’inflazione, casomai della deflazione
emilio
Siamo alle solite: gli economisti fanno previsioni ma poi queste si rivelano spesso poco utili…. Non sarà il caso di dare meno peso a queste previsioni e lavorare più con logica sulle materie che hanno un impatto sul benessere degli Italiani? Per il debito pubblico: guardare meglio come e dove si spendono i soldi pubblici e da chi le tasse vengono pagate sarebbe il minimo da fare!! attendere un alleggerimento del debito grazie ai tassi lo trovo un po’ illusorio…. con tutte le risorse che questo governo – un po’ anche giustamente – ha speso da tutte le parti con pochi controlli restiamo nel razionale e iniziamo a chiedere a chi ha preso i benefici ora se ha mai contribuito prima…. l’italia è piena di persone che chiedono aiuto ma non hanno mai pagato un euro di tasse …
Zipperle
Sarà interessante vedere cosa succede ai panieri usati per misurare l’inflazione, visto il notevole cambiamento (non tutto reversibile nel breve termine) nei consumi a seguito dell’epidemia: A. Cavallo, un economista che se ne intende di inflazione, sia perché è argentino sia perché ha fondato una società (https://www.pricestats.com/) che misura in tempo reale l’inflazione raccogliendo dati online, ha recentemente pubblicato il seguente paper e si scoprono già a a pochi mesi dallo scoppio dell’epidemia alcune nuove evidenze:
Inflation with Covid Consumption Baskets
Enrico D'Elia
Più di un decennio di easy money dovrebbe aver dimostrato che i prezzi dei beni e servizi reali non risentono troppo della liquidità creata dalle banche centrali per il semplice fatto che l’offerta di moneta è stata quasi interamente assorbita dai mercati finanziari. Se questi ultimi non provvedono al finanziamento dell’economia reale è evidente che questa immane massa di moneta ha solo una minima influenza su prezzi, investimenti e crescita, smentendo in un colpo solo le teorie monetariste e quelle keynesiane.
Leonardo
Condivido pienamente il suo pensiero. Rimango comunque dell’idea che ad arrivare ad un’alta inflazione non ci voglia molto. Non condivido con l’autore (condividendo il resto) l’idea della bontà dell’aziine dell’inflazione sul bilancio statale che non può passare per artifizi monetari, sopratutto per il conparto creditizio.