Avevamo tempo fa aperto il dibattito sulle riforme istituzionali in Italia. Riproponiamo per i nostri lettori gli interventi di Massimo Bordignon, Giorgio Brosio, Marco Giuliani e Enzo Balboni
Categoria: Stato e istituzioni Pagina 88 di 89
Un Senato federale può essere utile per risolvere i problemi aperti dalla riforma del Titolo V. A due condizioni. Deve rappresentare i territori e costruire meccanismi decisionali efficienti. La proposta appena approvata in prima lettura non soddisfa nessuna delle due. La contestualità imperfetta non funziona, mentre sono forti i rischi di conflitti tra le Camere. E se dobbiamo scegliere un modello straniero, meglio guardare agli Stati Uniti che alla Germania.
Il Parlamento esamina una riforma costituzionale molto profonda, che modifica la forma dello Stato e quella del Governo. Tutto questo avviene nel sostanziale disinteresse dell’opinione pubblica. Forse delusa da altri interventi, che sul momento sono sembrati risolutivi degli antichi problemi della politica italiana, ma che alla prova dei fatti hanno dato risultati ben scarsi. È però un atteggiamento sbagliato. Si tratta infatti di dare al sistema una nuova coerenza interna, che questi stessi interventi hanno reso necessaria.
Così come l’abbiamo sperimentato per quasi mezzo secolo, paritario e indifferenziato, il sistema delle due Camere non ha probabilmente più motivo di esistere. Ma non era privo di senso e non ha funzionato male. Il Senato federale, come proposto dalla riforma costituzionale, potrebbe invece ostacolare la capacità decisionale del Governo, che altri interventi puntano a rafforzare. Una contraddizione di cui essere consapevoli, anche se le due logiche non sono incompatibili.
I numeri sulla sanità dimostrano che nonostante i disavanzi perenni e gli scontri tra governi la spesa sanitaria non è fuori controllo. Al contrario, i dati parlano di una capacità del sistema di regolarsi, mantenendo spesa e servizi a livelli accettabili. I deficit sono almeno in parte il risultato di un gioco strategico tra Stato e Regioni, insito nel modello di organizzazione e finanziamento del sistema. C’è evidenza empirica di un ruolo delle aspettative nel determinare i livelli di spesa locale.
Il finanziamento della spesa sanitaria è la fonte principale dello scontro in atto tra Stato e Regioni. I governi locali giudicano le risorse per la sanità insufficienti. Il Governo risponde che sono le Regioni a non sapere gestire i fondi. Il conflitto preoccupa gli osservatori internazionali, anche in vista dell’estensione del modello alle altre materie previste dalla devolution. Ma il contrasto è endemico al sistema e i risultati non così preoccupanti. Il vero problema è la contraddizione sempre più stridente tra federalismo annunciato e realtà dei fatti.
Si discute molto dei poteri attribuiti al primo ministro, ma i veri difetti della proposta del governo non sono nei pesi, quanto nei contrappesi, nel mancato rafforzamento delle garanzie e nello statuto dell’opposizione. Se al premier non viene riconosciuto il potere di scioglimento anticipato, si rafforzano, invece di ridurli, i poteri di veto dei partiti minori all’interno delle coalizioni. Tanto più che la norma antiribaltone li rende determinanti per la sopravvivenza della maggioranza. Seri problemi anche per il Senato, che sembra orientarsi verso una composizione mista.
I politici amano discutere di riforme istituzionali anche quando dovrebbero occuparsi di altro. Invece di discettare su premierato alla svedese o cancellierato rafforzato, più utile sarebbe iniziare da riforme meno altisonanti. E riprendere dalle esperienze straniere quegli elementi che assicurano la possibilità di realizzare il programma di Governo. Esiste infatti una larga varietà di strumenti per vincolare l’iniziativa legislativa parlamentare e migliorare l’efficacia decisionale dell’esecutivo.
Il bicameralismo delineato dalla riforma del Governo prevede una netta separazione tra le due assemblee: la Camera legifera sulle competenze esclusive dello Stato, il Senato su quelle concorrenti. Quasi inesistente il coordinamento tra le due. Con il pericolo di minare il funzionamento del sistema federale italiano. Le proposte delle Regioni rischiano di peggiorare il quadro, prefigurando Camere a maggioranze diverse.
La proposta del Governo “chiude” la riforma costituzionale italiana introducendo la Camera delle Regioni. Ma lo fa in modo sbagliato. Le regole sulla rappresentanza indicano che il nuovo Senato di federale ha solo il nome, tant’è che mantiene poteri incompatibili con una vera Camera regionale. Inoltre, crea problemi di attribuzione di competenze tra le due assemblee legislative non facilmente risolvibili. Ambiguo anche il procedimento per lo scioglimento da parte del Presidente della Repubblica “in caso di prolungata impossibilità di funzionamento”.