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La lista Falciani, e cioè l’elenco dei correntisti della filiale di Ginevra della Hsbc sottratto dall’ex dipendente dellaholding Hervé Falciani e poi consegnato alle autorità francesi, contiene il nome di 5.595 persone fisiche e 133 persone giuridiche residenti in Italia che hanno depositato in Svizzera circa 5 miliardi e mezzo di euro al 31/12/2006, in buona parte, si presume, sottraendoli al fisco. Sono già 700 i soggetti indagati dalla sola procura di Roma.
E una vicenda molto triste per almeno tre ragioni.
– Le somme, presumibilmente nascoste al fisco, viaggiano, per ciascun correntista, sui 10-20 milioni di euro. Non siamo certo di fronte a quegli evasori verso cui talvolta, pur non giustificandoli, si prova comprensione: il piccolo artigiano colpito dalla crisi, il piccolo imprenditore strozzato dalla concorrenza asiatica o dellest europeo. Si tratta invece di stilisti, attori, sportivi, gioiellieri e ogni sorta di vip. Persone che guadagnano ogni anno centinaia e centinaia di volte di più del lavoratore dipendente o autonomo medio. Si sottraggono al dovere di dare il loro contributo al funzionamento della cosa pubblica (giustizia, sanità ,istruzione, difesa, servizi sociali
) per massimizzare entrate che li pongono già al top della distribuzione dei redditi.
– I correntisti che risulteranno evasori verranno scoperti solo perchè cè stata una spia. Gli strumenti di accertamento normali non sono stati in grado di scovarli ex post, né di dissuaderli dallevasione, agendo come minaccia preventiva. Neppure linasprimento dei controlli sui capitali detenuti illegalmente allestero promesso al momento dello scudo è stato considerato credibile, se è vero che, come sembra dalle informazioni riportate sui giornali, la maggioranza dei correntisti sino ad ora indagati non si è premurata di avvalersene.
– Ma lo scudo ha permesso almeno ad un terzo di loro di regolarizzare la propria posizione. Non sono più perseguibili, si offenderanno se li chiameremo evasori. Ma lo sono. Ricordiamo ancora una volta: per scudare 100 euro, su cui non potranno più essere fatti accertamenti, levasore ne ha dovuti pagare 5. Ma su quei cento euro non aveva pagata lIrpef per 40-50 euro. Un bellaffare, non cè che dire.
Il dibattito sul piano Fiat si è finora concentrato sugli aspetti di democrazia sindacale e ha ignorato gli effetti macroeconomici. Cosa accadrebbe a occupazione e salario reale se l’accordo venisse esteso all’intero sistema di relazioni industriali dell’economia? Bisogna distinguere tra un prima e un dopo gli investimenti. Nel breve termine, il salario reale tenderà a ridursi e l’occupazione ad aumentare. Nel medio periodo, una volta effettuati gli investimenti, anche i salari dovrebbero aumentare insieme all’occupazione.
Grazie per i vostri commenti. Alcune critiche sembrano tuttavia non cogliere il punto: al di là del giudizio che si può dare sul ruolo delle nostre truppe in Afghanistan, lì inquesto momento c’è un pezzo del nostro paese ed è doveroso per un Presidente del Consiglio essere al fianco dei nostri soldati. E’ davvero strano che nessuna voce si sialevata in questi giorni anche dai banchi dell’opposizione per chiedere che Berlusconi, pur con ritardo, faccia quello che Blair, Cameron, Obama e Zapatero hanno fatto datempo. Non c’entra l’ideologia. E’ una questione di ruoli istituzionali e di civiltà. Tutto qui.
Il 5 per mille mostra sempre più la corda. Non solo è costantemente a rischio di sopravvivenza. Ma si sta rivelando anche uno strumento inadatto a sostenere il volontariato e gli enti non profit. Comporta costi rilevanti di pubblicità per i privati e di gestione per l’amministrazione pubblica. Finisce col finanziare a pioggia, e con importi modesti, enti con le finalità più disparate. La sua efficacia andrebbe confrontata con quella delle agevolazioni fiscali previste per le stesse finalità. Enti locali e finanziamenti virtuosi al terzo settore.
Che cosa sarebbe accaduto in Irlanda, a parità di altre condizioni, se non vi fosse stato quel fenomeno, non considerato nellarticolo di Alberto Bagnai, di bolla immobiliare innescatasi allinizio dellultimo decennio e implosa dal 2008 in avanti? Una possibile risposta è che la Repubblica dIrlanda, oggi, non avrebbe quasi conosciuto la crisi economica e finanziaria che invece ben conosce.
LA BOLLA D’IRLANDA
Leconomia e la politica economica sono il regno del relativo più che dellassoluto, e quindi della misura e delle distinzioni più che delle visioni tolemaiche. Giacché lIrlanda è un paese molto piccolo demograficamente, con molta manodopera ben istruita che parla correntemente inglese, non è sorprendente che in un periodo storico di straordinaria apertura del commercio mondiale abbia fondato la propria crescita sullattrazione di capitali multinazionali e sugli scambi commerciali. Ciò che sorprende, invece, è che il modello di crescita della tigre celtica non sia stato governato con maggiore decisione, evitando la bolla immobiliare che ha poi finito in larga parte per determinare la crisi attuale.
Leggendo in almeno due fasi la storia dIrlanda raccontata dal professor Bagnai si può introdurre una discontinuità nel modello di crescita irlandese, più o meno tra il 1998 e il 2002. È lEconomist a indicare questa interessante chiave di lettura. (1) Non è solamente lingresso nelleuro, infatti, a modificare il quadro macroeconomico, ma la crescita del settore immobiliare. La cosiddetta tigre celtica è già svanita quando il settore di punta diventa limmobiliare. A quel punto infatti la crescita non è più trainata dalle esportazioni, ma dalla bolla immobiliare e dalla domanda interna: più che di crescita reale si tratta di crescita di prezzi, valori e investimenti in costruzioni, di cui una maggiore parte in edilizia residenziale. Questo tipo di crescita, sostenuto dal favore per lindebitamento privato accordato dalle banche, mina alle fondamenta i risultati del periodo precedente. Unaltra storia dIrlanda avrebbe potuto scriversi, dal 1999 o dal 2002 in avanti, senza questa lievitazione asimmetrica dei prezzi a favore dei settori più protetti delleconomia nazionale.
I DATI CHE SPIEGANO LULTIMO DECENNIO
Un dato importante per capire ciò che è avvenuto in Irlanda nellultimo decennio è quello dei metri quadri di nuove aree edificabili. Questo dato chiama a responsabilità innanzitutto i governi locali: si passa da circa 10 milioni di metri quadri di permessi di costruire autorizzati nel 1998, già in aumento rispetto alla media del decennio Novanta (intorno a 5 milioni di mq. annui), a 16 milioni di metri quadri nel 2001. Il continuo aumento di aree edificabili autorizzate raggiunge il suo massimo nel 2007, proprio un anno prima della crisi dei valori e dei volumi immobiliari, che inizia a sgonfiare rapidamente la bolla nel 2008. Solo nel 2009, quando la bolla si sgonfia, i nuovi permessi di costruire tornano al valore del 1998. La costruzione di infrastrutture costituisce una minima parte dei permessi, in gran parte dovuti ad abitazioni e a edilizia non residenziale.
Tabella 1. Permessi di costruire durante il boom edilizio
Permessi di costruire, in milioni di metri quadri | ||
Anni | Mq. | % per scopi residenziali |
1998 | 10.2 | 59.8 |
2001 | 16.2 | 64.2 |
2002 | 14.4 | 61.1 |
2005 | 20 | 66.0 |
2007 | 24 | 50.8 |
2008 | 16.8 | 58.3 |
2009 | 10.2 | 57.8 |
Fonte: Central Statistics Office Ireland
Leggendo con attenzione le statistiche si comprende che la crescita dei prezzi delle case usate è perfino più rapida di quella delle nuove. Una volta innescato, il boom edilizio coinvolge i vecchi proprietari ed è alimentato da crescenti margini di intermediazione commerciale.
La curva blu, nel grafico 1, evidenzia chiaramente il ritmo accelerato della crescita dei volumi dellindustria delle costruzioni dal 2002 fino alla caduta, che inizia nel 2007. Questo andamento è approssimato solo dalla Spagna, che ha tuttavia una curva più morbida, come relativamente più morbido è landamento dei volumi immobiliari italiano e di altri paesi dell’Unione Europea, e la media UE a 27. (2)
Fonte: Eurostat, reported by Ireland Statistics
N.B. Le serie storiche riportate sono utili a leggere la variazione annuale dei valori immobiliari in ciascun paese e non per comparare il livello dei prezzi tra paesi.
Quando arriva la crisi i cosiddetti settori tradizionali delleconomia irlandese, in ambito manifatturiero, tornano al livello di produzione della fine degli anni Novanta, mentre il settore moderno delleconomia (così definito nelle stesse statistiche irlandesi), su cui operano non solo le multinazionali ma anche imprese locali, non conosce alcuna crisi, proseguendo la crescita della produzione, o rimanendo stabile. Questo settore è soprattutto composto di beni di consumo non durevoli (computer, informatica, ottica, chimica e farmaceutica, eccetera). Lindice di produzione industriale non mostra alcuna significativa flessione nemmeno per alcuni comparti di trasformazione agroalimentare. Non è quindi leconomia solida ed esportatrice a entrare in crisi, ma il mercato interno, drogato dalla bolla immobiliare, a ridimensionarsi pesantemente.
THE IRISH TIMES E LANIMA SEMPLICE DELLA CLASSE LAVORATRICE
In un numero del The Irish Times campeggia una storiella sulla crisi economica irlandese. (3) La storiella, in forma di lettera e sostanzialmente corretta, è firmata da una anima semplice della classe lavoratrice, che non ha potuto studiare. La storia racconta di come le banche irlandesi abbiano preso a prestito enormi somme di danaro da speculatori e investitori sui mercati monetari, per poi prestare questi danari a investitori e speculatori irlandesi, che a un certo punto non riescono a restituire i debiti.
A quel punto il governo interviene in soccorso delle banche, aumentando la spesa corrente e ricorrendo di nuovo agli speculatori e investitori internazionali per finanziare i propri bond.
Anche la crescita della disoccupazione negli ultimi due anni si spiega con laumento della popolazione in età lavorativa, connessa al boom immobiliare. I residenti in Irlanda sono cresciuti, dal 1991 al 2010, di circa 1 milione (erano 3,5 e sono oggi 4,5 milioni), ma di ben 600mila dal 2002 in avanti. Anche se dovessero oggi emigrare 500mila degli attuali residenti, lIrlanda di domani non sarebbe più quella dellinizio degli anni Novanta, grazie al primo decennio di crescita in cui sono cambiate la sua struttura produttiva e le capacità della forza lavoro, nella trasformazione industriale e nel terziario più innovativo. (4) Il boom immobiliare degli ultimi dieci anni ha contribuito invece solo a cambiare il panorama, riempiendolo di molte case vuote: la quota di mutui erogati per fini diversi dallacquisto della prima casa è infatti costantemente cresciuta, andando ben oltre il 50 per cento. (5)
(1) The party is definitely over. How wage cuts and tax rises might preserve the gains of Irelands Celtic Tiger years, The Economist, March 19, 2009.
(2) La speculazione immobiliare si sposta dal 2007 nei paesi dellEst Europa che non adottano ancora leuro. Linflazione immobiliare è connessa a un allentamento, quando non alla vera e propria violazione, delle regole edilizie (su proprietà dei terreni, concessioni e permessi di costruire), e alla mobilità dei capitali. Non è da attribuirsi direttamente alla moneta unica, anche se la possibilità di uniformare i prezzi degli immobili a standard internazionali può costituire chiaramente una opportunità per gli speculatori che operano nei paesi e nelle regioni più arretrate e periferiche.
(3) Irish economic crisis made simple, in The Irish Times, September 23, 2010.
(4) Lemigrazione potrebbe forse frenare la discesa dei salari reali.
(5) Nel 2004 la percentuale di acquirenti di case che comprano per la prima volta è del 48 per cento.
Non è vero che il federalismo fiscale è fatto. E non solo perché ovviamente alla concreta attuazione della riforma del sistema di finanziamento di Regioni ed enti locali manca un’infinita sequenza di atti amministrativi e un periodo di transizione di cinque anni. Ma anche perché la fase della formulazione e approvazione dei decreti legislativi è ben lontana dall’essere conclusa. Nel mosaico della riforma disegnato da questi provvedimenti ci sono ancora molte lacune, totali o parziali, rispetto a quanto previsto dalla legge delega.
Nel mio precedente intervento segnalavo che lIrlanda presenta uno dei rapporti fra redditi da capitale corrisposti allestero e Pil più elevati al mondo, chiaro indice di insostenibilità del debito estero (che nel suo caso è essenzialmente di natura privata). Prendendo la media del rapporto redditi netti dallestero/Pil sul periodo 2002-2007, lIrlanda (-15 per cento) è preceduta solo dal Congo (-23 per cento); molto più giù troviamo: Islanda (45esimo posto, -3.7per cento), Grecia (62esimo posto, -2.7 per cento), Portogallo (63esimo posto, -2.7 per cento), Spagna (84esimo posto, -1.9 per cento), Italia (98esimo posto, -1.1 per cento). Germania, Francia, Olanda (e Stati Uniti, Giappone, Cina) hanno saldi positivi (1). Non è anormale che un paese europeo paghi allestero un carico di interessi da Africa sub-sahariana?
BOTH A BORROWER AND A LENDER BE… WITH CARE!
Nel 2007 il Congo era ottavo nella graduatoria (2) del debito estero netto (-140 per cento del Pil). LIrlanda stava molto meglio, era solo 115esima (debito netto: -18 per cento del Pil). Se due paesi che ricorrono al capitale estero in quantità tanto diverse pagano conti simili, vuol dire che chi ne usa di meno ne ha scelto un tipo più costoso. Controprova: come fanno gli Usa, al 116esimo posto (debito netto: -17 per cento del Pil), a incassare redditi da capitale positivi avendo un debito di proporzioni irlandesi? Perché vendono allestero bond (fra cui i famosi T-Bill che vanno in Cina), e acquistano dallestero azioni, in buona parte per il controllo diretto di aziende (cioè a titolo di Ide). Siccome le azioni sono più remunerative dei bond, gli Usa coi proventi di 1000 miliardi di attività azionarie nette (Ide) compensano gli oneri di -3000 miliardi di passività obbligazionarie nette (3). Al netto sono in debito per -2000, ma alla fine ci guadagnano anche perché hanno composto bene il loro portafoglio. Gli irlandesi no, e il loro onere del debito estero è abnorme.
GLI IDE NON SONO UN FREE LUNCH
Ragazzi sostiene invece che gli Ide in entrata sono convenienti: quando il capitale estero arriva, se le cose vanno bene lo remuneri, se vanno male no, perché è impossibile rimpatriare profitti se prima non li si fanno. Largomento fila, ma non quadra coi dati. LIrlanda è in crisi dal 2008, la sua competitività è in calo dal 2002. I redditi passivi da Ide però sono saliti da 29 miliardi nel 2002 a 32 nel 2009 e dal 2004 le partite correnti irlandesi sono in rosso: lattivo commerciale è crollato di 17 punti di Pil dal 2002 al 2007, ma i redditi netti da capitale pagati allestero sono rimasti attorno ai 15 punti di Pil (4). Da sei anni lIrlanda si sta indebitando con lestero per pagare interessi allestero, a causa degli Ide, poiché i redditi da altri investimenti esteri sono bilanciati. Vediamola al contrario: se fosse pacifico che gli Ide in caso di crisi non vengono remunerati, perché mai Usa (e Germania, e Giappone, e fra poco la Cina) sarebbero così ingenui da mantenere posizione netta positiva in Ide? Meglio prendere soldi a prestito e non pagare quando le cose vanno male, piuttosto che darli a prestito e non essere pagati, no? Ma le cose non vanno così.
LE BOLLE SONO PIENE DI SOLDI (ESTERI).
Sintesi: lIrlanda ha un problema di debito estero. Senza contestarlo, Spampinato sostiene che invece (?) il problema è la bolla: tutti si sono messi a comprare case, i prezzi sono cresciuti, ecc. Ma gli irlandesi i soldi per gonfiare la bolla dove li hanno trovati? Risposta: in banca. Perché, segnala Ragazzi, in Irlanda le passività delle banche sono salite fino a 5 volte il Pil. Va bene, ma allora le banche irlandesi i soldi dove li hanno trovati? Se hanno espanso indiscriminatamente i prestiti, cioè il debito (privato) dei loro clienti, finanziando bolle, evidentemente disponevano di liquidità esorbitante, che non poteva provenire solo dai risparmi di 4 milioni di irlandesi. E infatti proveniva dallestero: in particolare, la raccolta allesterno delleurozona è aumentata del 708 per cento nel decennio 1999-2008. Se risaliamo la catena causale, dalla bolla si arriva al debito estero.
ANTE HOC ERGO PROPTER HOC?
Io segnalo che agli irlandesi sono arrivati troppi soldi dallestero, Spampinato aggiunge che li hanno usati male. Un dato consequenziale, non alternativo, al mio. Che le banche, pur di non tenere inutilizzato un eccesso di liquidità, lo prestino a debitori (privati) non solvibili è purtroppo nella logica delle cose ed è già successo in tutti i paesi alluvionati da capitali esteri, nei quali, è risaputo, si sono ovviamente sviluppate bolle: Thailandia, Islanda, Spagna, Stati Uniti… Di converso: senza alluvione di capitali, ci sarebbero stati soldi per gonfiare la bolla? Trascuravo banks & bubbles non per inconsapevolezza, ma per consapevolezza (condivisa dallanima semplice) del fatto che esse sono a valle dellafflusso di capitali. Nei casi citati, la bolla è stata preceduta da un peggioramento strutturale (5) dellindebitamento estero (in Irlanda: -4 punti di Pil dal 1997 al 2002). Certo, per capire dopo cosa è successo in un paese i permessi di costruzione sono utili, ma per capirlo prima è più utile lindebitamento estero.
BACK TO FUNDAMENTALS
Perché un paese si mette a crescere coi soldi altrui? Nel 2006 uno studio della Bce (6) individuava nelleurozona due club: uno ad alta inflazione (Irlanda, Grecia, Spagna, Portogallo e Olanda) e uno a bassa (Germania, Austria, Belgio, Francia e Finlandia), con lItalia isolata in posizione intermedia. Nel 2004 lOlanda ha cambiato club. Nel primo sono rimasti i Pigs con la I di Irlanda, che hanno perso competitività, diventando (come da manuale) importatori netti di capitali e incrementando i loro debiti esteri netti di più di 60 punti di Pil dal 1999 al 2007 (ricordate da dove siamo partiti?). Anche leuro non è un free lunch: non basta entrarci, bisogna saperci stare. LOlanda lo ha capito, i Pigs no. Più dellevidenza aneddotica su bolle e speculatori, sarebbe di aiuto capire come lOlanda abbia aggiustato i suoi fondamentali fra il 2002 e il 2004, portando linflazione dal 4 per cento all1 per cento, e di conseguenza abbattendo di 31 punti di Pil il suo debito estero, e superando la crisi con solo -0.2 per cento di Pil (contro il -11.4 per cento dellIrlanda).
LA MORALE DELLA FAVOLA
La mia non è una requisitoria no global contro i movimenti di capitale, ma una constatazione: in un mondo globalizzato, il debito estero non è più un problema che riguarda solo persone col colore della pelle diverso dal nostro. La sua entità e la sua composizione vanno monitorate e gestite anche e soprattutto da noi. Il resto sono (importanti, interessanti, dolorosi) epifenomeni.
(1) International Financial Statistics, 2010#8
(2) www.philiplane.org/EWN.html
(3) www.bea.gov/international/xls/intinv09_t2.xls
(4) www.cso.ie/releasespublications/documents/economy/current/bop.pdf
(5) www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2010/02/weodata/download.aspx
(6) Busetti et al. (2006) Inflation convergence and divergence within the European Monetary Union, ECB W. P., 574
Il nuovo anno ha portato ottime notizie dal fronte dei conti pubblici: il fabbisogno (vale a dire, il deficit di cassa) del settore statale nel 2010 è stato pari a 67,5 miliardi, ben 16,3 miliardi in meno rispetto allultima previsione ufficiale, diffusa tre mesi fa. A cosa dobbiamo questo successo (che diventa ancora più ampio se misurato contro il risultato 2009, quando il fabbisogno fu di quasi 87 miliardi)? Che prospettive apre per il 2011? Non è dato saperlo. Il comunicato ufficiale recita, in modo tautologico, grazie ad un andamento più favorevole degli incassi e ad una dinamica più contenuta dei pagamenti, alcuni dei quali presumibilmente slittati al 2011. Così poteva essere scritto da chiunque. Qualche informazione specifica, ma sempre alquanto vaga, è fornita sul mese di dicembre 2010 a confronto con lo stesso mese dellanno precedente (sulla percentuale dellacconto Irpef e sul venir meno degli interventi a favore delle banche), ma si tratta di notizie che erano già note quando fu elaborata lultima previsione.
Dobbiamo (e vogliamo) credere che il ministero dellEconomia ne sappia di più. Cosa impedisce di condividere con il pubblico queste informazioni? E come dobbiamo interpretare il termine presumibilmente? Il ministero dovrebbe essere a conoscenza di pagamenti slittati al 2011.
L’obiettivo principale degli accordi di Pomigliano e Mirafiori è la governabilità degli impianti. La Fiat vuole garanzie prima di effettuare gli investimenti, nella convinzione che il sistema di relazioni industriali italiano non sia adeguato alla gestione di grandi impianti. Ma la sfida competitiva per il nostro paese si gioca in buona parte proprio sulla capacità di aumentare il numero di organizzazioni complesse e di grandi dimensioni. Sarebbe ora di mettere mano a una riforma organica del diritto del lavoro che affronti insieme la flessibilità interna ed esterna.