Il nuovo fondo del Tfr per le imprese con più di cinquanta addetti istituito presso l’Inps agirà con regole basate sul principio della ripartizione. Non darà luogo ad accumulazione, ma sarà immediatamente destinato ad aumentare alcune voci di spesa pubblica. Il passaggio dal regime attuale al nuovo riduce lo stock di capitale privato dell’economia, senza garanzia che quello pubblico aumenti in eguale misura. Ma la capacità di accumulazione di capitale è condizione essenziale per la crescita: la riforma si trasformerà in un ulteriore elemento di freno?
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La scelta sul Tfr rappresenta non solo un’occasione per promuovere la crescita della previdenza complementare, ma anche per informare i lavoratori sui temi della previdenza e del risparmio. Ed elevare il loro livello di informazione finanziaria. Sarà opportuno che l’informativa dei datori di lavoro sia accompagnata da una specifica campagna perché ciascun lavoratore sia messo in condizione di conoscere la propria posizione previdenziale, come previsto dalla riforma Dini. Permettendo così di valutare le diverse opzioni finanziarie.
Hanno risultati gestionali di breve termine generalmente buoni, ma le valutazioni di lungo periodo non annunciano un futuro roseo per le casse previdenziali dei liberi professionisti. La cura più efficace rimane il passaggio al metodo contributivo. E nessuna ha finora cercato di correggere il difetto della scarsa diversificazione del rischio. Dovrebbero essere le giovani generazioni, sulle quali maggiormente peserà l’onere delle attuali promesse, a invocare le soluzioni più lungimiranti, in grado di tutelare i loro interessi pensionistici.
E’ mancata una vera campagna informativa sui cambiamenti, prima di tutto culturali, conseguenti al passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo. Evidente poi la contraddittorietà del provvedimento sul Tfr. L’obiettivo dello sviluppo della previdenza complementare è incompatibile con quello di far affluire risorse finanziarie allo Stato. E si avverte un indebolimento delle strutture portanti del processo di riforma. Ma se si aprono più problemi di quanti se ne risolvano, questo non sarà lultimo intervento sul sistema previdenziale.
FondInps si configura come un “pilastrino” pubblico aggiuntivo con tre peculiarità: riguarda solo una parte dei lavoratori dipendenti; ha un patrimonio instabile data l’elevata liquidità del Tfr; prevede la liquidazione dell’intero montante capitalizzato al momento dell’uscita dal lavoro. Se poi fosse solo temporaneo, si sarebbero alterati gli assetti strutturali del sistema per dare opaca soluzione a un problema congiunturale di bilancio. Mentre la completa eliminazione del rischio finanziario minaccia la convenienza stessa della previdenza complementare.
Sulla scorta dei dati, la questione dello smobilizzo del Tfr può essere rivista in termini meno allarmisti e paternalistici per i bilanci delle micro e piccole imprese. L’avvio dei pilastri privati richiede scelte più coraggiose. A partire dalla rinuncia al fondo-infrastrutture e al fondo di garanzia. Per creare invece una cultura previdenziale, che sia anche tutela della effettiva libertà di scelta del lavoratore. E per realizzare le riforme strutturali che davvero aiutano le Pmi perché incidono sull’efficienza e sulla qualità dell’ambiente in cui vivono.
Meno di due mesi al via dell’operazione smobilizzo del trattamento di fine rapporto. Ma i suoi contorni restano ancora poco chiari. Per meglio informare i nostri lettori, Tito Boeri e Agar Brugiavini rivolgono sette domande al ministro Damiano su dove andranno i flussi di Tfr maturati nei primi sei mesi del 2007, come cambierà lorganizzazione dell’Inps, la previdenza complementare per gli autonomi, la trasformazione della liquidazione in rendite vitalizie, i fondi multicomparto e i requisiti previsti per entrare nel cda dei fondi. Nelle colonne di destra le risposte del ministro Cesare Damiano.
La trattativa sul Tfr ha visto protagonisti Governo e Confindustria, mentre il silenzio dei rappresentanti dei lavoratori è stato fragoroso. Il compromesso raggiunto circoscrive l’intervento alle imprese con più di cinquanta addetti. Una soluzione che crea ingiustificabili asimmetrie. Semmai, la discriminante dovrebbe essere l’età: i lavoratori più anziani possono anche lasciare il Tfr in azienda. Ma i giovani, che avranno una pensione pubblica molto più bassa, devono essere incentivati al trasferimento ai fondi pensione. Dovrebbe essere questo il compito del sindacato.
È sorprendente che in questi giorni si continui a discutere di Tfr a due voci (Confindustria e Governo) e nessuno parli in nome del vero proprietario di quei soldi: i lavoratori. Il trattamento di fine rapporto è un prestito obbligatorio dei lavoratori alle imprese che dà un rendimento piuttosto basso se confrontato con gli andamenti dei mercati. Delle sorti del Tfr devono perciò decidere i lavoratori, non le imprese.
Chi protesta e chi tace
Il disegno di legge Finanziaria prevede attualmente di destinare il 50 per cento dei flussi di Tfr "inoptati", cioè non espressamente indirizzati dai lavoratori ai fondi pensione, ad un fondo per il finanziamento delle infrastrutture istituito presso la Tesoreria, che dovrebbe raccogliere 6 miliardi di euro.
Le imprese – a cui questo provvedimento sottrae gradualmente liquidità – hanno protestato vivacemente e subito. Fragoroso, invece, il silenzio del sindacato. Qualche voce di dissenso si è, in un secondo tempo, levata da Cisl e Uil, ma il compromesso poi raggiunto fra Governo e parti sociali, ignora una volta di più le esigenze dei lavoratori. Si è infatti deciso di circoscrivere il trasferimento del Tfr all’Inps solo alle imprese con più di cinquanta addetti, quelle che hanno meno problemi di liquidità: è una soluzione che può andare bene alle imprese, ma che crea asimmetrie ingiustificabili tra i lavoratori.
Il vero problema
Per effetto delle riforme pensionistiche dellultimo decennio, per i giovani i tassi di rimpiazzo (ovvero il rapporto tra prima prestazione pensionistica e ultimo salario) delle generazioni che vanno in pensione ora sono irraggiungibili, pur conteggiando trenta o quaranta anni di versamenti al Tfr. Questo perché la pensione pubblica offrirà un rimpiazzo del reddito da lavoro del 35-40 per cento nei casi migliori, contro lattuale 65-70 per cento (1). Lunica via per coprire questo "buco" pensionistico è garantire, specialmente ai giovani, rendimenti più elevati allaccantonamento ora versato al trattamento di fine rapporto.
Quindi se cè una discriminante da applicare nel decidere le sorti del trattamento di fine rapporto, non è certo quella della dimensione dellimpresa, ma semmai quella delletà dei lavoratori: i più anziani possono anche lasciare che il Tfr rimanga in azienda (non ci piace lidea di trasferire il debito dalle imprese allo Stato). Mentre per i giovani deve essere incentivato al più presto il trasferimento del Tfr ai fondi pensione.
Non c’è tempo da perdere
L’unico elemento positivo dell’accordo raggiunto ieri consiste nell’anticipazione al 2007 della possibilità di conferire il Tfr ai fondi pensione. E’ un’occasione che non possiamo permetterci di perdere. I fondi pensione oggi in Italia amministrano un patrimonio inferiore a quello delle fondazioni bancarie. I giovani hanno bisogno di accedere a un ampio spettro di fondi pensione ad adesione collettiva. Sono quelli che permettono di contenere i costi amministrativi e di meglio distribuire il rischio fra i diversi aderenti. Ma perchè questo secondo pilastro offra prodotti adeguati ai lavoratori, bisogna che nuovi fondi pensione nascano e crescano e ci sia più competizione fra di loro.
Quindi lo smobilizzo del Tfr è un’occasione irripetibile per dare la possibilità ai giovani di diversificare il rischio, distribuendo i propri risparmi su diversi strumenti previdenziali. Il sindacato ha un ruolo molto importante nell’informare i giovani e nello spingerli a pensare al loro futuro.
(1) Si vedano le simulazioni di Gronchi e Sismondi in M.Messori (a cura di), La previdenza complementare in Italia, Il Mulino, 2006.
La Finanziaria prevede che il flusso di Tfr non destinato dai lavoratori ai fondi pensione venga versato su un fondo, istituito presso la Tesoreria centrale dello Stato e gestito dall’Inps, che dovrebbe servire a finanziare le infrastrutture. Il Governo si attende di ottenere da questo intervento 5,2 miliardi di euro. E’ un modo di fare cassa ai danni dei lavoratori più giovani, un’operazione di finanza creativa che speriamo non venga accettata da Bruxelles. Si tratta di soldi dei lavoratori e i debiti sono debiti.