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L’occupazione tiene, nonostante inflazione e crisi energetica*

L’aumento dei prezzi e dei costi dell’energia non sembra aver influenzato in modo particolare la dinamica dei posti di lavoro, neanche nelle imprese energivore e gasivore. La cassa integrazione è rimasta su livelli simili a quelli pre-pandemici.

Inflazione e crisi energetica

Per tutto il 2021 l’inflazione core nella Unione europea è rimasta su livelli non preoccupanti, nonostante una crescita considerevole dei prezzi dei prodotti energetici. L’invasione russa dell’Ucraina ha profondamente mutato lo scenario e alla fine del 2022 l’inflazione ha raggiunto il suo massimo negli ultimi trent’anni, superando gli 8 punti percentuali (per poi scendere al 3,6 a ottobre 2023). Analizzare, attraverso i dati amministrativi, quali sono gli effetti degli aumenti sull’occupazione è interessante poiché ex ante i risultati possibili sono ambigui. Infatti, anche se i prezzi sono molto cresciuti, l’energia è un input di produzione che non occupa un ruolo primario nella struttura dei costi in tutti i settori ed è perciò possibile che gli effetti sull’occupazione siano settorialmente molto concentrati.

Nell’ultimo rapporto annuale Inps 2023, si descrivono perciò gli andamenti dei flussi di lavoratori tra il 2018 e il 2022 per l’economia nel suo complesso e per alcuni settori caratterizzati da consumi di energia molto alti. Tali indicatori sono calcolati seguendo la letteratura empirica sul tema, come in alcuni lavori precedenti (qui e qui).

La dinamica dell’occupazione

Come mostra la figura 1.A, a partire dal secondo trimestre del 2021 e rispetto al corrispondente trimestre del 2020, la quantità di posti di lavoro creati dalle nuove imprese e da quelle che si espandono ha avuto un andamento crescente, con una battuta d’arresto nella seconda parte del 2022. Nel primo trimestre 2022 (e rispetto allo stesso trimestre 2021) la creazione di posti di lavoro ha superato il 15 per cento, il valore più alto osservato a partire dal 2018. L’indicatore mostra una flessione relativa negli ultimi trimestri del 2022 (14 per cento e 13,2 per cento), rimanendo comunque ampiamente al di sopra dei livelli del 2020 e in linea con quelli osservati nel 2021.

Allo stesso tempo, l’indicatore di distruzione di posti di lavoro (la quantità di posti di lavoro che vengono cancellati dalle imprese che riducono l’occupazione anche quando interrompono l’attività), risulta in calo, portandosi su livelli più bassi rispetto al 2018 (8 per cento nel primo trimestre 2022 rispetto al primo trimestre del 2021), pur ritornando lievemente a crescere nella seconda parte del 2022 (9 per cento). Alla fine del 2022, la combinazione di una minore crescita di posti di lavoro e il lieve incremento nella distruzione porta il cambio netto (dato dalla creazione di posti di lavoro meno la distruzione di posti di lavoro) al 4 per cento, in linea con i valori antecedenti alla pandemia. L’economia continua quindi a creare posti di lavoro, anche se in misura più contenuta rispetto alla prima metà del 2022, conservando un cambio netto positivo: ciò indica che la crisi inflattiva ha avuto conseguenze modeste sulla domanda di lavoro complessiva.

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Un’ulteriore conferma di queste evidenze si trova nella figura 1.B, in cui si mostrano gli stessi indicatori per le cosiddette imprese energivore e quelle gasivore. Si tratta di circa 4.400 imprese (3.700 energivore e circa 700 gasivore). Per queste aziende ad altissimo consumo energetico gli indicatori di flusso sono pressoché stabili lungo tutto il 2022 (nel secondo trimestre dell’anno rispettivamente 4,8 per cento e 2,5 per cento).

Figura 1 – Creazione-distruzione e cambio netto di lavoro (sx) totale economia (dx) imprese energivore e gasivore

L’utilizzo della cassa integrazione

La figura 2 mostra, per il totale delle imprese, l’andamento del numero di ore di cassa integrazione ordinaria (Cigo), scorporando nel pannello B le ore dovute alla sola causale specificamente prevista per le imprese colpite dalle restrizioni commerciali imposte alla Russia o dalle difficoltà di reperimento di fonti energetiche (da ora in poi, causale 25). Per quanto riguarda la Cigo, dopo il picco registrato nei primi mesi della pandemia (con oltre 250 milioni di ore di cassa), nel 2022 il numero medio mensile di ore è stato di 4 milioni. Il numero di quelle concesse attraverso la causale 25 ha cominciato a crescere già a partire dalla seconda metà del 2021, coerentemente con l’aumento dei prezzi energetici, raggiungendo un massimo di 1,3 milioni, un utilizzo molto più limitato rispetto alla Cigo nel suo complesso che, nello stesso periodo, ha comunque mostrato una bassa operatività.

Figura 2 – Andamento ore complessive di Cigo: (sx in alto) totale escludendo causale 25; (dx in alto) causale 25 andamento ore di Cigo imprese energivore e gasivore: (sx in basso) totale escludendo causale 25; (dx in basso) causale 25

La fruizione di Cigo con causale 25 tende a scendere nel 2022, suggerendo che le aspettative sulla crescita dei prezzi per le imprese colpite dalla crisi vengono verosimilmente aggiornate. Il 2022 sembra dunque un anno nella norma per il ricorso alla Cigo (circa 12 milioni di ore nell’ultimo trimestre, un decimo circa di quelle utilizzate nell’ultimo trimestre 2020).

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Le figure 2.C e 2.D mostrano gli stessi andamenti per le sole imprese energivore e gasivore, se ne evince un quadro simile a quello presentato in precedenza. La fruizione della causale 25 può aver contribuito alla esigua variabilità dei flussi del 2022 per questo tipo di aziende (figura 1.B). Interessante notare come il picco nella fruizione della causale 25 arrivi qualche mese in ritardo per le imprese energivore e gasivore rispetto al totale dell’economia. Ciò può essere spiegato dal fatto che si tratta di aziende di grandi dimensioni e pertanto hanno verosimilmente una migliore capacità di assorbire shock nei prezzi degli input di produzione.

La visione che si ricava da queste evidenze descrittive è che l’aumento del costo dell’energia, e più in generale dei prezzi, abbia influenzato la dinamica dei posti di lavoro in maniera modesta.

Questi risultati non sono del tutto inattesi. A beneficio di una loro migliore comprensione, è bene sottolineare che i prezzi dell’energia sono solo parzialmente legati a un aumento dei costi di produzione. Ad esempio, le bollette pagate per la fornitura dell’energia hanno spesso prezzi concordati che tendono a restare costanti fino al rinnovo dei contratti. Inoltre, il prezzo di un input produttivo come l’elettricità può modificare la quantità domandata degli altri (ad esempio, il lavoro) solo se vi è un alto grado di sostituibilità (o complementarità) tra i fattori, e questa relazione varia in maniera molto eterogenea tra i diversi settori dell’economia. Il grado di sostituibilità può essere, poi, limitato dai costi di licenziamento, che impediscono un rapido aggiustamento del fattore lavoro in risposta agli shock, soprattutto quando questi sono percepiti come temporanei. Le misure di sostegno alle imprese erogate nel periodo post pandemico potrebbero spiegare in parte la tenuta della creazione dei posti di lavoro.

* Questo articolo è pubblicato in contemporanea su Menabò di Etica ed Economia. Le opinioni qui espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente agli autori e non impegnano in alcun modo la responsabilità dell’Istituto di appartenenza.

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  1. Fausto Tagliabue

    I confronti reali vanno fatti sul totale delle ore lavorate!

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