Il decreto “salva Italia” fu varato dal governo Monti nel pieno della crisi del debito sovrano. Conteneva misure per rimuovere gli ostacoli che limitavano la concorrenza e, indirettamente, la crescita. Un insegnamento prezioso nella situazione attuale.
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Già provate dal lockdown, difficilmente le imprese potranno assumersi i costi aggiuntivi necessari alla riapertura e li riverseranno sui consumatori. E anche l’aumento dell’offerta monetaria potrebbe tradursi in un incremento dei prezzi. Per l’Italia potrebbe non essere un male.
La spesa sanitaria è un fattore determinante per rendere più sostenibile l’economia. Non a caso chi ha reagito meglio all’emergenza subirà meno gli effetti della crisi. Crisi che avrà un impatto pesante sulle fasce sociali in difficoltà, dopo un 2019 che ha visto un calo della povertà. Le politiche di contrasto ci sono, quello che manca è una valutazione di misure come il reddito di cittadinanza. Dove invece basterebbe applicare le norme già in vigore è la pubblica amministrazione, i cui adempimenti burocratici costano all’Italia circa 150 miliardi.
A comprimere le risorse disponibili per i servizi è soprattutto il costo del debito, al netto del quale la quota di spesa pubblica sul Pil non sarebbe di molto superiore alla media dell’Eurozona. Mentre sui ritardi nei lavori pubblici pesa anche l’inefficienza dei tribunali locali. A dimostrazione che una riforma organica della giustizia civile non è più prorogabile.
Sarebbe bastata un’attestazione di salute finanziaria e invece, in un momento già difficile, molte Srl dovranno nominare un revisore. Con conseguenze paradossali.
È online anche la quarta puntata del podcast del Festivaleconomia, realizzato da lavoce.info in collaborazione con l’Università di Trento. Parola chiave della settimana: Catene globali del valore, con Chiara Tomasi.
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Il debito pubblico italiano è destinato a crescere ancora per il peso delle misure dovute alla pandemia. Per farvi fronte, è stata proposta l’emissione di titoli perpetui. Ma le ragioni di chi ne sostiene l’efficacia non reggono alla prova dei fatti.
È paradossale che il governo stanzi ingenti risorse per fornire liquidità alle imprese attraverso le banche, mentre le pubbliche amministrazioni non pagano i propri debiti. Eppure, somme già stanziate in bilancio non si trasformano in pagamenti effettivi.
Ai comuni dovrebbe essere garantita la discrezionalità di finanza in deficit che il governo centrale si è già assicurato. L’ammontare complessivo andrebbe fissato come obbiettivo nella legge di bilancio. E andrebbe previsto un fondo straordinario verticale.
Giovedì i capi di governo europei si incontrano per discutere un piano di interventi. Attenti alle richieste irragionevoli: creano aspettative inevitabilmente deluse nella periferia europea, e risentimento negli altri paesi. La miscela perfetta per disintegrare l’Europa, non per unirla.
La Nadef non cambia i contenuti dell’azione di governo: più deficit per finanziare la manovra, quasi nulli gli interventi sulla spesa, scarsa la rilevanza delle privatizzazioni. E nessuna sottolineatura dell’importanza di diminuire il debito pubblico.
L’austerità basata sulla riduzione della spesa pubblica costa meno in termini di crescita di quella fondata sull’aumento delle entrate. Lo spiega, con un’analisi rigorosa, il libro di Alberto Alesina, Carlo Favero e Francesco Giavazzi in uscita per Rizzoli.
È arrivata la nota di aggiornamento al Def, con tante nuove voci di spesa. Il governo vuole imprudentemente puntare sull’incremento di deficit e debito proprio quando la Fed si attende di aumentare per tre volte il suo obiettivo di riferimento per i tassi di interesse.