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A scuola d’estate si impara meglio

Programmi svolti durante i mesi estivi e basati su attività di gruppo, giochi e tutoring personalizzati possono essere una risposta alle perdite di apprendimento, in particolare per gli studenti più fragili. I risultati di una sperimentazione.

Così la tecnologia aiuta la didattica

La didattica a distanza durante la pandemia ha comportato perdite di apprendimento tra gli studenti, ma non in modo omogeneo. Le differenze dipendono dagli insegnanti: alcuni hanno utilizzato bene gli strumenti didattici digitali, altri meno.

Segregazione scolastica: non è solo una questione di pari

Avere compagni di scuola con un background migratorio non porta a disuguaglianze educative. Ma concentrarsi solo sugli effetti dei pari fa trascurare altre conseguenze delle scuole segregate. Tanto più laddove il contesto scolastico può variare molto. 

L’età migliore per andare al nido

Quali sono e per quanto durano gli effetti dell’esperienza prescolare? Gli esiti in lettura, matematica e scienze misurati a 15 anni di studenti che da bambini hanno frequentato nido e scuola materna per periodi di tempo diversi aiutano a dare una risposta.

Italiani in deficit di educazione finanziaria

Milioni di famiglie fanno i conti con le conseguenze della stretta monetaria della Bce. Per comprenderne bene le implicazioni servirebbe un’adeguata educazione economica e finanziaria. Che in Italia manca. La scuola dovrebbe dedicarvi più attenzione.

Se al Nord la scuola passa alle regioni

Il confronto tra spesa storica e spesa standard per l’istruzione mostra che le regioni del Nord risultano penalizzate rispetto a quelle del Sud. Un passaggio di competenza sulla scuola non provocherebbe dunque danni economici alle altre zone del paese.

Carriera e retribuzioni degli insegnanti in Italia in cinque grafici

Obbligo scolastico: come funziona nei paesi dell’Ue

Alcuni partiti propongono di alzare l’obbligo scolastico. Ma per durata e inizio non si discosta molto dagli altri paesi europei. È sulla disponibilità di asili nido che il nostro paese resta indietro rispetto agli obiettivi europei, specie in alcune zone.

Come funziona l’obbligo scolastico in Italia e in Europa

Nella campagna elettorale, si è parlato anche di obbligo scolastico. In particolare, Terzo Polo e Partito democratico hanno avanzato proposte di riforma che mirano ad alzarne la soglia.

In Italia l’obbligo scolastico comincia a partire dai 6 anni (cioè, dal primo anno della scuola primaria) e si conclude a 16 anni (ossia, generalmente, al secondo anno della scuola secondaria di secondo grado). Successivamente, e fino al compimento dei 18 anni, sugli studenti grava un obbligo formativo, che consiste nel diritto/dovere di frequentare attività che garantiscano forme di didattica, anche se alternativa. È il caso, per esempio, dei contratti di apprendistato.

Una prima proposta avanzata sia dal Partito democratico sia dal Terzo Polo nei loro programmi elettorali mira a estendere l’obbligo scolastico da 16 fino a 18 anni, ossia fino al raggiungimento della maggiore età. Attualmente, come si evince dalla figura 1, l’Italia si colloca quasi perfettamente in linea con la media europea, che è di poco superiore ai 16 anni (16,2 per l’esattezza). Infatti, Spagna e Francia presentano la stessa “età limite” dell’Italia, mentre per la Germania è ancora più bassa. Meritano una menzione speciale Belgio, Austria e Polonia, che offrono la possibilità ai propri studenti di frequentare gli ultimi tre anni di istruzione (dai 15 ai 18 anni) con una soluzione a tempo parziale. Dunque, se la proposta di Pd e Terzo Polo fosse approvata, l’Italia si collocherebbe fra i paesi con un’età dell’obbligo più elevata.

Una seconda proposta avanzata dal Partito democratico, peraltro fortemente contestata al recente meeting di Rimini, vuole estendere l’obbligo scolastico a partire dai tre anni, in modo da rendere obbligatoria la frequentazione della scuola dell’infanzia (ex scuola materna).

Attualmente, come si vede dalla figura 2, l’Italia si attesta al di sopra della media europea, che è pari a poco più di 5 anni (5,48 per l’esattezza). In effetti, diversi paesi europei (come Polonia, Grecia e Svezia hanno reso parzialmente obbligatorio frequentare la cosiddetta pre-primary school, soprattutto per l’ultimo anno prima dell’inizio dell’istruzione primaria. Tuttavia, pur non essendo obbligatorio frequentare la scuola dell’infanzia, secondo alcuni dati della Banca Mondiale, in Italia il tasso di iscrizione nel 2020 è stato molto alto (94,6 per cento) e superiore alla media europea, che si assesta all’89,6 per cento.

Nidi in ritardo sugli obiettivi europei

L’Italia sembra dunque allineata alla media europea sia per quanto riguarda l’estremo inferiore sia l’estremo superiore del periodo dell’obbligo scolastico. Al contrario, un’area di criticità ben più urgente è quella degli asili nido, la cui capienza e distribuzione sul territorio italiano rappresentano un problema serio.

Nel 2002, il Consiglio europeo di Barcellona aveva fissato come obiettivo minimo per il 2010 che almeno il 33 per cento dei bambini compresi fra 0 e 2 anni avesse garantito un posto in un asilo nido in tutti i paesi europei. A distanza di vent’anni, l’Italia non ha ancora raggiunto l’obiettivo: infatti, il numero di posti nei servizi educativi per la prima infanzia è di 26,9 su 100 bambini e la distribuzione è estremamente variegata sul territorio nazionale: se le regioni del Centro-Nord raggiungono appena il target minimo, quelle del Sud ne sono molto distanti, con tassi compresi fra il 14,5 e il 15,7 per cento (per le Isole).

La scarsità di asili nido sul territorio implica non solo una carenza di capitale cognitivo dei bambini (con effetti sui risultati scolastici di lungo periodo), ma anche un’accresciuta disuguaglianza di genere. Infatti, come analizzato da Daniela Del Boca nel suo articolo “Pnrr, ultima chiamata per la parità di genere”, l’aumento degli investimenti complessivi negli asili nido avrebbe come effetto un aumento della partecipazione femminile al mondo del lavoro, soprattutto negli anni della maternità, e un aumento del tasso di natalità.

Se i partiti nascondono la loro idea di scuola

Qual è l’idea di scuola dei partiti? Nei programmi elettorali nessuno esplicita apertamente la propria visione, per paura di perdere consensi. Così il tema della formazione diventa sufficientemente generico da non essere discriminante per l’elettorato.

Un’analisi del programma del Movimento 5 Stelle sull’istruzione

Scuola e università sono citate, con più o meno spazio dedicato, nei programmi di tutti i partiti candidati alle politiche. In una serie di articoli, analizziamo alcune delle proposte. Ecco quelle dal programma del Movimento 5 Stelle.

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